Il sette luglio scorso l’Amministrazione Raggi ha “festeggiato” il biennio in carica: era, infatti, il 7 luglio 2016 quando la Giunta si è presentata in Aula Giulio Cesare per l’insediamento ufficiale.
Due anni e sembran due secoli.
ASSESSORI, CARNE DA CANNONE AL FRONTE
Si è perso il conto degli Assessori che si sono insediati: rivedere la foto di quel giorno è “similabbile” - per perculare un po’ la Taverna e il suo forbito eloquio - a vedere una foto di qualche reggimento in partenza per il fronte nel 1914. La “mortalità”, in questo caso politica fortunatamente, è da record. Di fatto, fare l’Assessore con i 5Stelle è essere carne da cannone.
MANAGER NEL TRITACARNE DELL’INCOMPETENZA
Pasquale Cialdini lo aveva nominato la Raggi per fargli guidare Roma Metropolitane. Il compito - stando alla propaganda della prima ora targata grillini romani - era liquidare la società considerata uno spreco anche se lui ci tiene a sottolineare di aver detto sin dal primo momento che non era un commissario liquidatore ma un ingegnere e che lui le cose le costruisce non le distrugge.
Passano due anni (scarsi) e Cialdini si dimette in polemica costante e continua con la Raggi. Ora scopriamo che l’inversione a U della Raggi e dei suoi è perfetta: Roma Metropolitane avrà, nel suo futuro contratto di servizio, i soldi per progettare le due fenomenali funivie, quella di Battistini che nei rendering del MinCulPop pentastellato
dovrebbe avere un capolinea da costruire al posto della piscina comunale La Cupole (i cui manager non sanno ovviamente nulla), e quella di Jonio a Montesacro.
Cialdini è l’ultimo manager tritato dalla Raggi e dai suoi assessori a scadenza corta tipo yogurt: l’elenco è sterminato di gente che è venuta a Roma da altre città con idee per provare a rilanciare chi Atac, chi Ama, chi Farmacap, chi Assicurazioni di Roma e via discorrendo. E che sono stati ridotti a polpettine dai cambi di umore isterico di una maggioranza incapace di fare altro che due tweet.
GRANDI OPERE SÌ, NO, FORSE, MAGARI, CHISSÀ
La bussola di questa Amministrazione è impazzita. Non punta al nord. Punta dove tira il vento. Dove soffia il tweet, dove c’è l’hashtag migliore.
La Metro C è l’esempio più lampante: era lo spreco, anzi, il simbolo degli sprechi. Ora la vogliamo mandare avanti. Meglio tardi che mai. Parigi progetta altri 200 km di metropolitane nella regione periferica, in grado con 68 stazioni nuove, di collegare su ferro l’intero hinterland metropolitano. Cinque nuove linee che si sommeranno alle 14 metro già esistenti (più due linee bis) e alle 5 di RER.
Noi abbiamo perso due anni. Due anni di tentennamenti, di “la facciamo sì o no?”, di “dove passiamo?”. Adesso stiamo all’ennesimo censimento. Una Giunta che vive di censimenti infiniti, nel senso che mai hanno fine. Censiscono gli alberi, che continuano a cadere. Censiscono gli alloggi, i negozi, le strutture ma tutto resta come prima. Salvo qualche spolveratina da dar da bere ai gonzi coi profili twitter pieni di stelline che, poi, li vedi e 1 su 100 vive a Roma gli altri 99 (ammesso che siano individui in carne ed ossa) vivono ad almeno 400 km dalla Capitale. Censiscono il tracciato, rivedono tutto ma non prendono una decisione. E il tempo passa. Passano i mesi e, appunto, siamo a due anni. E sembra sempre il primo giorno dopo l’insediamento.
OPERE PRIVATE: CHISSÀ, MAGARI, FORSE, NO, SÌ
Speculazzzzzzione, no al cemento, morte ai palazzinari. Poi le interviste si fanno col giornale di proprietà dell’(ex) nemico pubblico numero 1. L’importante, però, è far credere. Sempre ai gonzi di prima, però. Perché chi sta a Roma, dopo due anni, aspetta ancora. Aspetta l’UCI Cinema Fermi che ha portato il Comune in Tribunale e ha vinto. In faccia a quegli attivisti che credono ancora che il privato investa per beneficienza.
Lo Stadio della Roma è l’esempio migliore di questa schizofrenia decisoria. Ora è l’ultimo progetto privato che è rimasto in piedi ma all’inizio era l’epitome del male assoluto. E la Raggi scelse Berdini per fare l’assessore all’Urbanistica. Alzi la mano chi ricorda la presentazione, a Ostia, di Paolo: “il nemico dei palazzinari”. Il Berdini nemico, sin dal primo momento, del progetto Stadio. Un progetto che - parole sue - non aveva mai letto. Ma che avversava senza sosta.
Berdini Paolo, un altro che ancora non ha capito la differenza fra governare e fare opposizione, fra fare l’intellettuale con lo spritz e l’assessore che deve dare risposte. Le sue furono tutti no.
No allo Stadio. No alla Città dei Giovani. No alle Torri dell’Eur. No a via Guido Reni. No ai Mercati Generali. No alla Fiera di Roma. Solo no. Ovviamente, tutti con un motivo nobilissimo: progetti troppo sbilanciati per il privato, senza verde e da bloccare per rifarli da capo. E stigrancazzi se c’erano soldi pronti e cantieri da aprire, posti di lavoro da creare. Il meglio doveva trionfare sul bene.
Qualcuno ricorda che Berdini era anche assessore ai Lavori Pubblici? Credo nessuno. E i suoi mesi al governo della città in questi due settori chiave li stiamo pagando a carissimo prezzo. Nessun progetto di lavori pubblici, non una manutenzione, non un programma. Otto mesi buttati nel cesso. E per l’urbanistica, cause su cause, rallentamenti e problemi. Che, Luca Montuori, il successore del degno Berdini, fatica ancora a far ripartire.
LO STADIO: EPITOME DEL GOVERNO DEGLI INCAPACI
Lo Stadio, dicevamo. Prima era no. E Berdini fa di tutto per affossarlo. Poi diventa sì. E i corifei del “no” di ieri - Raggi, Frongia, Stefano, De Vito - diventano gli alfieri dell’ultimo hashtag “#unostadiofattobene”. Che di fatto bene non ha davvero nulla.
Prima lo volevano cancellare: lo disse la Raggi a RadioRadio “cancelliamo la delibera di pubblico interesse”. Poi, quando si accorsero che cancellarlo rischiava di farli passare alla storia non solo come gli idioti più incapaci che mai si fossero assisi sugli scranni del Campidoglio, ma anche come quelli che il Campidoglio lo avrebbero portato al fallimento, arrivò la grande menzogna.
La grande menzogna narrata al mondo era il favore al costruttore, Luca Parnasi. Berdini fa rifare tutti i conti. Era convinto, Paolo, di questo regalo. Era certo che riguardando ogni singolo parametro avrebbe identificato una cementificazione selvaggia e superflua, tolta la quale lo Stadio (e solo lo Stadio) si sarebbe anche potuto fare ma senza tutta quella quantità di cemento. Quello era il regalo: nascondere la speculazione sotto il manto delle opere pubbliche.
Epperò, fatti i conti, rivista la SUL, le dimensioni, i perimetri, i valori e ogni singolo cazzo matematico/urbanistico, ecco che si disvela quanto illusoria fosse la grande menzogna: non c’era nessun regalo. L’importanza economica delle opere pubbliche imposte da Caudo a Parnasi e alla Roma era tale da essere compensata con giustezza dalla cubatura stabilita.
Che fare? Occorreva portare a casa qualcosa, un risultato qualsiasi. La Raggi non poteva certo andare dai sostenitori cinguettanti di Brescia e di Palermo e dire loro che aveva ragione Marino e che lo Stadio va fatto con quel popò di cemento. Quindi, tagliamo le torri, assurte a nuovo simbolo del male.
Come fare?
Ma ovvio: tagliamo le opere pubbliche. E diciamo che questo è uno stadio fatto bene. Anzi, come hashtag su twitter funziona benissimo. E inauguriamo la politica buona per i cinguettii.
Quindi, Paolo nostro racconta a quelli che credono alle scie chimiche che siccome c’è il Ponte dei Congressi non serve quello di Traiano. E che è inutile fare un pezzo di metropolitana. Facciamo che siccome la linea Roma-Lido è della Regione che ha soldi del Governo per rimetterla a posto, ci facciamo bastare quello. Quindi, via 50 milioni per la metro. E via 100 milioni del Ponte di Traiano. Centocinquanta milioni di euro di minori opere pubbliche corrispondono più o meno esattamente al valore delle tre torri in termini di cemento.
E chi cazzo se ne frega se poi la gente rimarrà imbottigliata nel traffico, tanto per quando lo Stadio sarà inaugurato il Sindaco sarà per forza un altro, mica la Raggi che è al secondo e ultimo mandato. Quindi, noi scriviamo una nuova delibera che lascia invariata la scatola (50% di tifosi col TPL) ma che la svuota di ogni contenuto. In più tagliamo le opere di mobiltà privata, eliminando il ponte. E così possiamo tagliare le famigerate Torri.
La Roma è contenta che avrà lo Stadio senza portare il Campidoglio in tribunale.
Parnasi è contento che il suo affare lo fa e lo paga molto meno di prima in termini di opere pubbliche.
E l’Amministrazione 5Stelle si può rivendere il grande successo a suon di hashtag.
Ora, non è che la Raggi deve dare retta alla stampa che da mesi scrive che l’opera rischia di essere insostenibile per la mobiltà e la sicurezza. Ma neanche quando arrivano le intercettazioni (Parnasi che dice ai suoi di non parlare dei futuri problemi di traffico causati dalle decisioni della Raggi), si accende la lampadina.
Sì, il dubbio è venuto. Ma invece di passare alla storia come un Sindaco lungimirante che comprende un errore fatto magari in buona fede ma comunque compiuto e lo corregge, l’Amministrazione Raggi va alla ricerca del bollino blu. Ci aveva provato con l’Anac di Cantone, trasformato in una specie di lavacro assolutorio preventivo. E Cantone le aveva risposto che Anac non rilascia bollini. E la storiaccia di chiedere al Politecnico di Torino (chissà poi scelto come e perché quello e non altri) un check sul traffico non è per fare una seria verifica scientifica.
No.
È solo per avere la certezza che quei due striminziti studi sul traffico non siano taroccati. E non lo sono, ovviamente. Li hanno già rincontrollati in duemila in Conferenza di Servizi. E figurati se sono taroccati: il software l’ha fornito il Campidoglio. I dati di partenza sul traffico pure. C’è poco da barare. Anche perché Parnasi le cose che non vanno le ha messe nero su bianco.
L’epitome del governo dato in mano agli incapaci è tutta nello Stadio. Che a fine inchiesta giudiziaria - non prima, inutile illudersi - riprenderà il suo iter da dove s’è interrotto. E che fra tre o quattro anni, quando aprirà, ci lascerà tutti in coda.
E LA CHIAMANO ESTATE...
Da molti anni - sostanzialmente dalla seconda consiliatura Veltroni - Roma ha un rapporto piuttosto conflittuale con i suoi alberi. Crollano. Crollano perchè molti sono vecchi, hanno raggiunto i limiti di vita. Molti altri hanno le radici danneggiate da scavi e controscavi. Altri si sono ammalati, come capita, purtroppo. Io ricordo il censimento delle alberature fatto da Veltroni. Quello di Alemanno. Quello di Marino. E quello della Raggi.
Ogni Sindaco e ogni Giunta hanno avviato il censimento e monitoraggio delle piante. Che continuano a cadere.
Ora, quindi, le cose sono due: o chi ha fatto il monitoraggio ha preso bellamente per il culo ogni Sindaco dal 2006 a oggi. Oppure, dopo i monitoraggi il nulla.
Solo che la novità di quest’ultima estate è che gli alberi cadono anche senza piogge. Senza vento. In piena estate. Almeno negli anni scorsi succedeva in concomitanza con grandi eventi meteo. Ora succede e basta.
A rinfrancar gli animi in questa estate torrida, poi, ci pensa la fervida fantasia di chi pensa che attrezzare un pezzo di lungotevere in una sorta di spiaggia sia bello e figo. 40 lettini quaranta: roba che il più piccolo degli stabilimenti di Ostia sembra Copa Cabana in confronto. Due doccette per puzza, ricavate in una specie di loculo tipo bagno chimico. Bagni... chimici che con questo caldo devono essere meravigliosi da usare. Niente ristoro. Niente bar. No wi-fi, niente acqua. Puoi solo vedere il “biondo” Tevere di fronte a te.
Eppure era stato annunciato a dicembre. Ma, come per Spelacchio, l’improvvisazione regna sovrana in questa Giunta. Natale è una sorpresa. Anche se lo si festeggia il 25 dicembre più o meno da un paio di migliaia di anni. E così l’estate. A Palazzo Senatorio sarà stata una sorpresa scoprire che la stagione estiva a Roma si apre con la festività dei Santi Pietro e Paolo e si chiude più o meno a metà settembre!
A dicembre l’annuncio. Il 4 agosto, l’apertura. Di una lettiera per gatti.
E la chiamano estate...
RIFIUTI: IL FALLIMENTO DELL’UNIVERSITÀ DELLA STRADA
È sulla questione rifiuti che la Raggi sta riuscendo a dimostrare - più dei suoi ministri Di Maio, Toninelli e Grillo - quanto l’università della strada (o se preferite la rete) formi dei perfetti incompetenti. E per di più arroganti.
In sintesi: la produzione di rifiuti diminuirà. Lo dice la Raggi nei suoi documenti. Quindi, sostiene, aumentando la differenziata non ci sarà bisogno di nuovi impianti, basterà far funzionare gli esistenti.
Poi, dati alla mano: la produzione totale di rifiuti aumenta, invece che diminuire. La differenziata marcia a passo di lumaca e, stime Legambiente, con questi ritmi ci vorranno 191 anni per coprire l’intera città con la differenziata.
Si progettano due nuovi impianti per il trattamento dell’umido. Quindi, impianti che non riguardano l’indifferenziato (la quota maggiore di rifiuti) ma una percentuale piccola del differenziato. Due impianti la cui progettazione è stata consegnata da poco alla Regione per il via libera (dopo due anni di governo cittadino) che saranno insufficienti a trattare l’organico prodotto in città anche quando la differenziata sarà al massimo delle sue potenzialità. E che, per di più, sfruttano la tecnologia aerobica, vecchia, costosa e superata. Un capolavoro.
Però, mentre Ama chiede di riaccendere gli inceneritori esistenti, il Comune rimane contrario a realizzare nuovi impianti.
Però importante è liti gare con la Regione di Zingaretti, almeno resta un (reciproco) nemico da additare al pubblico ludibrio per il lupanare mefitico che è Roma.
Ecco l’università della rete (o della strada): un mare di cazzate ripetute da una manica di cretini che non diventano vere per sfinimento. Ma restano false. E dimostrano come questa università sia un fallimento.
LA CREDIBILITÀ QUESTA SCONOSCIUTA
Non è da sola, la Raggi, nell’impresa di demolire la credibiltà dell’Istituzione Campidoglio. È in ottima compagnia: di Gianni Alemanno e Ignazio Marino, almeno. E forse - ma l’argomento è più complesso - anche di Veltroni.
L’inizio della distruzione della credibilità del Sindaco e, per estensione, dell’Amministrazione comunale inizia quando i Sindaci si dimenticano che devono governare la città e pensano ad altro. Pensano a passare alla storia e pensano alla politica nazionale.
Quando la sinistra sceglie Veltroni per contrapporlo a Berlusconi, Veltroni smette di governare Roma (si potrebbe aprire un lungo e profondo dibattito su quale sia stato l’apporto reale di Veltroni nei suoi 7 anni da Sindaco al miglioramento sul lungo periodo di questa città, ma non è questo il tema). Le sue iniziative sono sempre più marginali e sempre più di pura visibiltà ma attente a non urtare sensibilità, a non farsi nemici, a tenersi tutti buoni. Questa politica è sempre stata seguita da Veltroni e potrebbe essere considerata inclusiva o inciuciva, dipende dai punti di vista.
Una serie di episodi di cronaca nera, non dipendenti direttamente da quanto un Sindaco possa o non possa fare ma nati su un substrato si sostanziale abbandono della città, spingono Veltroni a iniziative mediatiche sul tema della sicurezza.
Tema che sarà sfruttato da Alemanno. E che per lui sarà un boomerang.
Il Sindaco non ha poteri in materia di sicurezza pubblica. Né i Vigili Urbani sono una vera forza di polizia, al di là del valore di singoli agenti e ufficiali. Le politiche seguite negli anni hanno reso i vigili urbani più o meno esattori comunali in divisa, adatti a fare le multe e, al massimo, a dirigere il traffico.
Con Alemanno vengono investiti di ruoli per i quali non sono sostanzialmente preparati e per i quali non sono neanche in numero sufficiente. Perché Alemanno pone al centro della sua azione politica prima di tutto la sicurezza. Cercando di dirigerla, senza poteri. E mettendoci la faccia. E perdendola, la faccia. Perché prima di parentopoli, c’è il fallimento delle politiche su Rom, prostituzione e illegalità varie patito dalla sua Giunta che lede l’immagine del Sindaco.
Alemanno si era proposto come il nuovo, dopo 15 anni di governo cittadino ininterrotto dello stesso gruppo di potere (gruppo politico, gruppo di uomini, gruppo di idee, gruppo di boiardi). E aveva puntato le sue fiches più importanti sulla sicurezza e il decoro cittadino. La morte di 4 bambini rom nell’incendio delle loro baracche, segna sostanzialmente la fine della politica del pugno duro.
Il fallimento, dopo due anni di buoni successi, degli effetti dell’ordinanza antiprostituzione segna la sconfitta sul decoro prima della sentenza della Consulta che dichiara l’illegittimità del Decreto Maroni sulla reiterazione delle ordinanze dei sindaci.
Poi arriva la neve. E poche cose come quel foglio agitato davanti alle telecamere con voce chioccia e parlata biascicata e incomprensibile di Alemanno ne danneggiano l’immagine: “chiàmoesssército” finisce per rendere il Sindaco di Roma una macchietta.
Poi, dopo, arriveranno Parentopoli e, ancora dopo - ma già non è più Sindaco - le accuse di corruzione.
Quando scoppia Parentopoli, la capacità di smentita di Alemanno come politico è già scesa dopo le prove su sicurezza, prostituzione e decoro e, infine, neve. E la scelta della linea di difesa su Parentopoli stronca definitivamente la credibilità personale di Alemanno. Lui e il suo gruppo appaiono - vittime anche della vicenda Fiorito e delle dimissioni della Polverini dalla guida della Regione - più o meno direttamente, nell’ottica popolare, arruffoni affamati di potere, poltrone, prebende e soldi.
Poi arriva Marino. Il gioco questa volta non è quello della sicurezza. Ma quello dell’onestà. Lui è il primo a usare l’onestà come arma mediatica. E per lui il gioco è facile. Un quinquennio in cui Alemanno è stato comunque prima massacrato dalla grande stampa - e all’epoca i social erano appena all’inizio - dal primo all’ultimo giorno della sua avventura in Campidoglio e un quinquennio in cui lui stesso c’ha messo tanto di suo, fanno bene il gioco di Marino.
Che però di politica non capisce assolutamente nulla.
Viene appoggiato dalla stampa: nessuno che faccia le pulci al suo programma elettorale. Promessa di 700 euro per uscire dai residence, promessa di 700 euro per le giovani coppie, promesse, promesse, promesse. Fatte davvero da un marziano. E non è un complimento: Marino non ha capito - ma chi lo circondava lo sapeva benissimo - che i bilanci comunali non avrebbero mai retto la quantità di promesse fatte.
Poi la storia della Panda rossa. E, infine quella degli scontrini. In mezzo, prima mezzo Pd che finisce sotto la mannaia di Mafia Capitale, poi il Papa che, di fatto, lo “scomunica” politicamente in mondovisione (sarebbe più saggio tacere anche sui retroscena filtrati di quel “non ho invitato io il sindaco Marino. Chiaro?”, i rapporti con la curia romana, l’arroganza di chi, a petto dei cardinali, se ne uscì riferendo a se stesso come dell’interlocutore privilegiato del Santo Padre, e via discorrendo).
Ognuna di queste cose distrugge la credibilità politica di Ignazio Marino. Che ci mette tantissimo del suo: litiga con i cittadini davanti alle telecamere. Insulta consiglieri e pubblico in Aula Giulio Cesare con comportamenti infantili che denotano un sempre maggior nervosismo. Si attacca alla gola con il suo partito. Gli assessori ruotano come palline nel flipper. Arrivano gli scioperi per Atac. Ama va sempre peggio e la città è sempre più sporca.
Ma nulla come gli scontrini uccide la figura del Sindaco. Non si dà al popolino il diritto di sindacare se il Primo Cittadino al ristorante ordina un piatto o un altro, beve un vino o un altro. Il volgo sempre tenterà di abbassare chi è sopra. È una legge vecchia come la politica e solo un idiota poteva credere che mettendo online gli scontrini delle cene, il popolo sarebbe stato dalla sua parte.
Il popolo che appoggia la scelta di una bottiglia di vino pregiato? Quando magari il proprio lo compra al discount?
E, anche fosse: vi sono attributi quasi sacri nella funzione che temporaneamente si è chiamati a svolgere. Svilire questi attributi significa distruggere quella funzione. E quando un organismo perde prima gli attributi sacri connessi con la sua funzione, finisce poi per perdere rapidamente anche la funzione stessa, divenendo inutile, superfluo e, alla fin fine, ghigliottinabile. Chiedere alla nobiltà di Francia e a Luigi XVI come va a finire la storia.
L’aveva fatto Alemanno quando aveva consegnato una macchietta ai comici.
Lo fa, anche peggio, Marino quando consente di farsi fare i conti in tasca.
E quando se ne andrà, la sua resistenza dell’ultimo minuto sarà patetica. Una triste metafora dell’uomo che è entrato da solo in Campidoglio, scelto in quanto il più “vendibile” al momento e non il più adatto, e che esce da solo, senza nessuno (o quasi) dei suoi che lo appoggi.
Arriva la Raggi. Che sta riuscendo nell’impresa ciclopica di fare peggio di Alemanno e Marino. Non solo in quanto amministratrice della cosa pubblica ma in quanto personaggio politico.
Organizzare conferenze stampa con la claque, sfuggire alle domande dei giornalisti rifugiandosi, quando va bene, in frasi di circostanza ripetute a pappagallo e, quando va male, semplicemente non rispondendo ai quesiti, considerare più importante un post su facebook o un cinguettio su twitter perché sono facili da fare piuttosto che confronti e dibattiti seri, finiscono per rendere la figura del Sindaco un orpello. Tanto decidono i Marra, i Lanzalone, i Giampaoletti.
Aver trasformato l’Amministrazione comunale in un mélange istituzionale di tipo assembleare è un altro errore che pagheremo carissimo in futuro. Non sono i consiglieri comunali che devono fare i regolamenti. Questo è compito degli Assessori, la cui funzione, altrimenti diventa assolutamente superflua. Né valgono quei video di una tristezza incommensurabile della Montanari (ieri della Muraro) a difesa di iniziative estemporanee e sbagliate (tipo la spiaggia sul Tevere) a ripristinare la funzione dell’Assessore. Non sono i consiglieri comunali che devono interloquire con le strutture di linea del Campidoglio: quello è compito degli Assessori. Mescolare queste funzioni le rende indistinguibili, fra loro sovrapponibili e sostituibili. E, come si sta vedendo, con pessimi effetti da un punto di vista amministrativo: bandi sbagliati e deserti perché basati su regolamenti sbagliati perché fatti da incompetenti.
LA POLITICA DA STADIO: STIAMO DISTRUGGENDO IL FUTURO
Ancora: continuare ad innalzare il livello dialettico dello scontro politico, polarizzandolo e chiudendolo in una sorta di tifo da curva di stadio è l’ultimo tassello di questa distruzione della credibilità dell’Istituzione. Che è di tutto. Non è vero ciò che asserisce ciascuna parte che governa temporaneamente l’Istituzione e che riconosce solo a se stessa la rappresentanza esclusiva del cambiamento, dei buoni, degli onesti, dei competenti, lasciando agli altri (che l’hanno preceduta) la rappresentanza dei mafiosi, dei corrotti, degli incapaci, dei retrogradi. Ma continuare a dirlo, assegna banalmente una brevissima vittoria sul momento ma rende solo macerie di ciò che si lascia al successore. Che dovrà sempre più alzare la posta: non più gli onesti, ma gli onestissimi. E dopo? Dopo gli onestissimi?
Per altro e per inciso: la corruzione, la disonestà, la mafiosità riescono sempre, come procellarie per le tempeste, a fiutare il vento e si buttano sul futuro vincitore. Quindi, attenti vincitori di oggi che fra le vostre fila c’è già annidato il mafioso di turno.
Uno dei più grandi errori metapolitici del Fascismo, un errore dal quale ancora non ci siamo ripresi, fu quello di identificare il Duce col Partito e il Partito con la Nazione. Caduto uno, distrutto uno, sono stati distrutti tutti: la Nazione, il Partito e il Duce. E se per i primi due è una vicenda (al di là della sua tragicità e del suo tributo di sangue) propria della politica, è l’identificazione della Nazione con i primi due elementi del sillogismo che ha distrutto in Italia il concetto di Nazione. Che oggi ritroviamo, per altro, come scimmiottatura sotto forma di “sovranismo”.
Identificare se stessi, la propria parte non solo come il tutto (“gli onesti sono con noi”, “gli italiani sono con noi”, “i romani sono con noi”) ma come un tutto qualificato (“onesti”, “buoni”, “competenti”) contrapponendolo agli altri, genererà alla fine, insieme alla distruzione del governante pro tempore, anche la distruzione del concetto di buono, competente e onesto.