PICCOLO RETROSCENA DELLO PSICODRAMMA LAZIALE
Piovve, alla fine. La manovra del Gruppo di Forza Italia finisce in un clamoroso autogol: passa ∫, grillino, che diviene il delegato (in quota opposizione) del Lazio per l'elezione del prossimo Presidente della Repubblica.
Per chi non lo sapesse, il Capo dello Stato viene eletto dal Parlamento (Camera e Senato) riunito in seduta comune. Ai 630 deputati e 315 senatori (più quelli a vita) si sommano i delegati delle Regioni.
Ora, in termini numerici, l'opposizione conta 22 consiglieri su 50 (51 compreso il presidente Zingaretti) di cui 7 dei 5 Stelle (gruppo consiliare singolo più consistente) e 15 che fanno capo (più o meno) all'area di centrodestra, frazionati in vari gruppi.
Sulla carta, quindi, se il centrodestra avesse espresso una posizione unitaria, non ci sarebbe stata partita.
Invece, alla fine, ha prevalso, con un mezzo colpo di teatro, un candidato minoritario: 10 voti sono andati a Perilli, 9 a Cangemi (NCD e candidato di bandiera del centrodestra), 2 schede bianche, un assente.
Il tutto nasce - almeno sulla base di dichiarazioni ufficiali - dal fatto che il Gruppo di Forza Italia ha ritenuto inadatto a ricoprire il ruolo di grande elettore l'ex governatore del Lazio, ex ministro della Salute ed candidato sconfitto da Zingaretti nella scorsa tornata delle Regionali.
Negli ultimi due giorni Storace ha lanciato messaggi vari e trasversali. Praticamente rimasti inascoltati.
Oggi, il redde rationem nel più classico "fra i due litiganti, il terzo gode".
Storace ha dimostrato di poter bene o male orientare un totale di cinque voti, senza considerare l'assenza di De Lillo.
La questione vera, però, è "perché".
Perché bruciare un candidato, Storace, che, forse, per il 15%, avrebbe potuto non garantire un voto di disciplina per sceglierne uno, Cangemi, che al 100%, essendo NCD parte integrante della coalizione di governo che sostiene Renzi, avrebbe votato un'indicazione che poteva non essere coincidente con quella di Forza Italia?
Perché rischiare invece una rottura interna del centrodestra già di suo lacerato, garantendo - ciò che è poi avvenuto - che alla fine trionfasse il candidato grillino?
Da qualsiasi parte la si guardi, questa è una scelta politica miope e sciocca: nessun vantaggio immediato e, al contrario, rischi altissimi di sconfitta.
E, attenzione, la sconfitta non è solo numerica. In fondo, parliamo di un delegato che starà alla Camera qualche giorno, farà un paio di interviste (se gli va bene), e poi sarà una scheda su 1.009.
È una sconfitta politica, che dimostra pochezza di pensiero, scarsa lungimiranza, incapacità programmatoria.
Ora, con una manovra d'aula di grande furbizia, il conto è stato presentato.
Se il centrodestra intende davvero ricompattarsi, il messaggio dovrebbe essere giunto a destinazione.
Adesso è il momento di seppellire l'ascia di guerra: l'incidente lascerà poche tracce visibili, ma è un (ennesimo) campanello d'allarme.