Due schieramenti e problemi infiniti.
Roma sta vivendo una crisi epocale.
Da una parte c'è il "Sindaco per caso", Ignazio Marino da Genova, approdato alla guida del Campidoglio con zainetto e bicicletta e che i suoi stanno provando a spedire altrove, magari in treno, tanto per far prima.
Dall'altra, un centrodestra annichilito, incapace di risollevarsi.
Di Marino è stato detto più e più volte. Non sa governare e non sa neanche ascoltare. Caratterialmente non lo digerisce nessuno. Politicamente, tanto da SeL quanto da tutte le anime piddine, stanno brigando tutti per liberarsene. E per liberarsene in fretta. Non una delle cose che fino a oggi ha provato a fare, funziona. La città è abbandonata a se stessa, sudicia, immobile, morta.
Più preoccupante è la parabola negativa dell'area di centrodestra.
Fra i tanti, perché certo non sono da soli, sono due i genitori "nobili" di questo stato di cose.
Gianni Alemanno da una parte, e Renata Polverini dall'altra, hanno accumulato un enorme carico di responsabilità.
Non tanto per la mancanza - almeno per il primo - di un minimo di chiaro disegno politico sul governo della realtà da loro amministrata, quanto per l'incapacità palese e manifesta di saper scegliere persone, tempi, modi e linguaggio per le loro sortite.
Né Alemanno, infatti, né la Polverini, una volta vinte le rispettive campagne elettorali, hanno saputo scegliere il linguaggio giusto per comunicare quanto stavano per fare o stavano facendo. Non hanno saputo identificare correttamente i tempi per prendere certe decisioni. A volte si è trattato di decisioni sbagliate. E, molto più spesso, si sono circondati di squali affamati.
La vera condanna di Alemanno, infatti, più che una nevicata - affrontata nel modo sbagliato, con il linguaggio sbagliato, nei tempi sbagliati - è stata la quantità inverosimile di persone border line - guarda caso finiti tutti nei guai con la giustizia - di cui l'ex Sindaco si è circondato. E lo stesso dicasi per la Polverini.
Né è necessario ripercorrere il numero inverosimile di inchieste giudiziarie che hanno interessato le due Amministrazioni: basta una breve ricerca su google per rinfrescarsi la memoria.
L'impressione che i cittadini hanno avuto è stata quella di un'area politica popolata di affamati, di persone che, con arroganza, hanno confuso un potere temporaneo e di cui render conto, con una regale proprietà privata di cui usare, abusare e disporre ad libitum.
E, aggiungiamo una considerazione: anche in tempi di crisi economica e sociale forti come quelli che Roma sta vivendo da circa sei anni, i cittadini sono disponibili a "passar sopra" qualche ruberia da polli. Purché, però, il sistema funzioni. E, sfortunatamente per loro - o anche grazie alla miopia di chi aveva il dovere di ricordare loro l'assoluta temporaneità dei loro incarichi e ha mancato a questo compito - il sistema è andato in tilt.
Con loro? O per loro colpa?
Con loro? O per loro colpa?
Qui, probabilmente, la verità sta nel mezzo. Nessuno dei due - Alemanno e Polverini - ha goduto di fondi cospicui come avvenuto in passato. Ed entrambi hanno dovuto affrontare sia una crisi strutturale del debito dei loro enti locali, sia enormi crisi di liquidità di cassa. Ma, contemporaneamente, se hanno saputo forse dimostrare in alcune materie un quadro abbastanza chiaro dello sviluppo futuro della Città e della Regione, hanno anche evidenziato una scellerata tendenza al "faraonismo", una incapacità di operare scelte chiare a fronte di risorse sempre più limitate e una sostanziale inconsistenza gestionale dell'ordinario. E l'esempio della nevicata è uno, ma se ne possono citare altri, dagli ospedali ai trasporti, alla gestione del ciclo dei rifiuti.
Il risultato finale della somma di queste mancanze è una crisi globale di tutta l'area di centrodestra: crisi di leader, crisi di ideologia, crisi organizzativa, crisi di consenso e, quindi, crisi elettorale.
La probabilità che nella primavera del prossimo anno si torni a votare per il Comune di Roma è altissima.
Il centrodestra ha pochissimo tempo per ricompattarsi, per dare una scossa seria ai suoi capetti locali, per identificare un programma credibile e uomini o donne credibili in grado di metterlo in pratica.
Il tempo è pochissimo e il risultato - ammesso che questa operazione riesca - è tutt'altro che scontato.
Ma, se si vuol provare a contendere lo scranno più alto di Palazzo Senatorio alla sinistra e ai grillini - che, non dimentichiamo, non sono affatto morti con queste elezioni - occorre mettersi al lavoro immediatamente: in primis c'è da recuperare uno svantaggio su Renzi. Non sul PD ma sul Premier, vero e solo vincitore di queste elezioni che - usando un linguaggio nuovo alla sinistra - ha riportato a votare un popolo che si era perso.
Infine, quelli che, in modo molto miope, a sinistra, hanno festeggiato questo crollo del centrodestra, prestino attenzione a due cose: la vittoria porta in sé il germe della sconfitta e, meglio è il nemico che si conosce e con il quale le armi dialettiche sono rodate di quello che è ignoto.