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In questo blog mi dedico a guardare con occhio maliziosamente indipendente ciò che accade a Roma - e qualche volta anche nel resto del mondo - soprattutto attraverso ciò che della mia città raccontano i quotidiani. Generalmente prendo in considerazione i tre quotidiani più importanti per vendite e diffusione nella Capitale: Corriere della Sera, La Repubblica e il Messaggero. A volte troveranno spazio anche gli altri quotidiani, la cui lettura è comunque sempre accurata.

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martedì 3 dicembre 2019

CITTÀ DI NUOVO SOTT'ACQUA




Allagamenti fra Portonaccio e la Tangenziale Est, alla fermata metro Termini con accessi solo dal lato area commerciale, chiuse Repubblica e Manzoni (sempre metro A); strade chiuse (viale dei Romagnoli, complanare di via Nomentana): ennesima serata di ordinaria inefficienza Capitale con la città che, come piove, si blocca. Neanche il tempo di riaversi dal caos dei giorni scorsi che, ieri nel tardo pomeriggio, si è abbattuta una nuova ondata di piogge sulla città. Con le solite conseguenze. Anche per colpa di un’edilizia poco rispettosa, delle microdiscariche diffuse, della carenza di manutenzione del Comune per fossi e caditoie. È quanto sostiene l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale che, ieri, in Campidoglio, ha presentato il “Piano per la difesa dal rischio idrogeologico e la tutela ambientale dell’area metropolitana di Roma e dello Stato del Vaticano”.
A spiegare perché Roma si allaga, il presidente dell’Autorità di bacino, Erasmo De Angelis; con i suoi tecnici Carlo Ferranti e Letizia Oddi. Insieme a loro, fra gli altri, i presidenti dei Consigli nazionali dei Geologi, Francesco Peduto; e degli Ingegneri, Armando Cambrano; docenti universitari - Sapienza, Roma3, Perugia - la Soprintendenza di Stato, la Regione, il Campidoglio con l’assessore all’Urbanistica, Luca Montuori, e il direttore dell’Ufficio Tevere, Silvano Simoni; la Protezione Civile con capo, Angelo Borrelli; il Ministero dell’Ambiente con il sottosegretario Roberto Morassut.
Per cercare di porre un primo rimedio, sono stati stanziati 13 milioni di euro per la sicurezza idraulica di Roma e dei Comuni a nord della Capitale: 10 dal Ministero dell’Ambiente e 3 da quello delle Infrastrutture (MIT). I 3 milioni del MIT saranno usati per finanziare uno studio di fattibilità di un nuovo sistema di invasi da creare a nord di Roma, verso la zona di Orvieto che dovrà essere in grado di assorbire 50 milioni di metri cubi di piena. Con gli altri 10 milioni, spiega De Angelis, si riuscirà a ripulire più o meno il 10% dei fossi e canali di Roma che, nel corso degli anni, sono stati cancellati dalle mappe. “A Roma ci sono circa 700 km di canali, un dato che ha sorpreso anche noi. Questi canali svolgono una funziona importante di collettore delle acque verso il Tevere di cui sono tributari”. Fossi che con vegetazione mai rimossa, microdiscariche di qualunque materiale e, in qualche caso, edilizia, sono stati sepolti. I siti soggetti a fenomeni franosi nel territorio del Comune di Roma sono 383. Tra le altre sono “particolarmente a rischio” per fenomeni più recenti quattro zone: collina di Monte Mario, viale Tiziano, Monteverde Vecchio e Balduina. I Municipi più colpiti sono: V, VII, II (quartieri Tuscolano, Prenestino, Tiburtino) ma anche il centro storico con le aree dell’Aventino, del Palatino e dell’Esquilino. Nella porzione occidentale di Roma il Municipio che conta più voragini è il XII. Negli ultimi 10 anni si è assistito a un grande incremento del numero delle voragini: Ispra censisce che da una media di 16 all’anno (dal 1998 al 2008) si è passati a una media annuale di più di 90 voragini; il massimo di 104 è stato registrato nel 2013.
E lo stato di salute del Tevere, alla fine, risente di tutto questo. Spiega ancora De Angelis: “I muraglioni hanno migliorato la situazione. Noi facciamo riferimento alla piena del 1937 che superò, a Ripetta, i 16 metri”. Piene che, con l’incuria di questi anni di (non) governo del Fiume hanno portato all’affondamento di 22 imbarcazioni: tante ne sono state censite dalla Capitaneria di Porto e solo 4 in via di rimozione. La più famosa forse è la Tiber II, l’imbarcazione che rimase incastrata sotto Ponte Sant’Angelo, finendo per arenarsi sulla banchina di Lungotevere della Vittorio e diventando rifugio per sbandati e senza tetto.




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