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In questo blog mi dedico a guardare con occhio maliziosamente indipendente ciò che accade a Roma - e qualche volta anche nel resto del mondo - soprattutto attraverso ciò che della mia città raccontano i quotidiani. Generalmente prendo in considerazione i tre quotidiani più importanti per vendite e diffusione nella Capitale: Corriere della Sera, La Repubblica e il Messaggero. A volte troveranno spazio anche gli altri quotidiani, la cui lettura è comunque sempre accurata.

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martedì 30 gennaio 2018

ELEZIONI, I DEM SILURATI NEL LAZIO


Nel Lazio è più o meno un’epurazione. Politica più ancora che elettorale. 
Fuori due pezzi da novanta dei Dem romani, due che la storia del partito nell’ultimo decennio l’hanno scritta: Marco Miccoli e Umberto Marroni. Entrambi hanno acquisito meriti durante il quinquennio di Gianni Alemanno in Campidoglio: Marco Miccoli nel ruolo di segretario romano e Marroni in quello di capogruppo in Aula Giulio Cesare hanno guidato l’opposizione dei Democrat romani al primo Sindaco di centrodestra dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Marroni era l’unico dalemiano in una pattuglia di veltroniani o bettiniani, Miccoli, venendo dalle fila della Cgil, etichettò Alemanno come “il peggior sindaco” di Roma. Nessuno dei due, pur avendo collaborato con Renzi, non può essere annoverato di certo fra i renziani. Anzi. Per Miccoli era stato offerto il collegio di Torre Angela, poi finito al socialista Oreste Pastorelli. E questo ha spinto l’ex federale romano a rinunciare a correre: “Il nostro destino personale, specie in momenti come questo, viene dopo quello generale”. Per Marroni, considerato in quota Emiliano, la partita è stata più complessa: Renzi è riuscito a relegare Emiliano alla sola sua regione di provenienza, la Puglia, quindi tutti i candidati a lui riconducibili al di fuori della Puglia - Marroni nel Lazio, Beppe Lumia in Sicilia e Simone Valiante in Campania - sono stati cassati dalle liste. “Nella surreale assenza di un confronto con i vertici del Partito regionale - scrive Marroni sulla sua pagina facebook - appare una conduzione autoreferenziale dei vertici del PD con cadute di stile anche nei rapporti personali che dovrebbero essere il collante di una comunità politica, pur nelle scelte difficili”.
In realtà, però, i vertici del Pd danno per persi i collegi uninominali romani: 1, Tor Bella Monaca, dovrebbe finire ai 5Stelle e tutti gli altri al centrodestra. Questo ha spinto anche Nicola Zingaretti a non sacrificare uno dei suoi uomini forti, Mario Ciarla, per il quale avrebbe dovuto ingaggiare una battaglia per poi farlo finire in un collegio impossibile. Fuori pure l’ex direttore generale dell’Anci e attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Angelo Rughetti, uno dei tecnici più preparati del Pd. Nel gioco delle candidature incrociate politiche-regionali, sembra, invece, che l’accordo per portare Michela De Biase, (il cui consorte è il ministro ai Beni Culturali, Dario Franceschini) attuale capogruppo dem in Aula Giulio Cesare sugli scranni del Consiglio regionale, abbia “salvato” la ricandidatura di Bruno Astorre, uomo forte del Pd ma di origine “Margherita”. 
Altro esponente del partito democratico di estrazione non certo di sinistra tutt’altro che matematicamente certo di ritrovare il suo seggio in Parlamento è Beppe Fioroni che sarà candidato a Viterbo, suo collegio storico (è stato anche Sindaco) e sua città natale, ma senza avere nessun paracadute: o la va o la spacca. Per Roberto Giachetti, vicepresidente uscente della Camera, candidato sindaco contro la Raggi e consigliere Dem in Aula Giulio Cesare, le polemiche si sono sprecate: prima rinuncia “alla candidatura sicura nel plurinominale per combattere esclusivamente nel collegio uninominale di Roma 10 dove vivo da sempre”, scrive sulla sua pagina facebook, poi deve rinunciarvi per non far saltare l’accordo coi radicali e quindi viene “candidato in un collegio della Toscana” che “è più sicuro di quello dove volevo candidarmi”.

lunedì 29 gennaio 2018

ECCO QUANTO CI COSTANO GLI "SFATICATI" DEL CAMPIDOGLIO




Quarantotto consiglieri comunali, 12 Commissioni consiliari permanenti più cinque speciali, un magro bottino di delibere approvate tanto nel numero quanto, soprattutto, nella qualità, e un bel po’ di costi sostenuti per un Consiglio comunale che sembra ridotto più al rango di passacarte che a quello di “casa dei romani”.
Con la fine del 2017 si è chiuso il primo anno e mezzo completo di governo 5Stelle della città. Sul sito istituzionale del Comune - decisamente nascosto e tutt’altro che semplice da trovare per i cittadini - c’è sia il computo delle presenze dei vari consiglieri comunali alle sedute sia dell’Assemblea capitolina che delle diverse Commissioni consiliari. E vi è anche la quantità di soldi che il pubblico erario ha versato a ogni consigliere come gettone di presenza. Sono tutti elenchi divisi mese per mese. 
Due annotazioni: com’è ovvio, i parlamentari eletti anche consiglieri comunali (Roberto Giachetti, Stefano Fassina e Giorgia Meloni) non ricevono alcun compenso per la loro attività in Consiglio. Un’attività - secondo punto - che è naturalmente più esigua numericamente rispetto a quella degli altri colleghi così come le presenze del sindaco, Virginia Raggi, in Aula sono altrettanto sporadiche. Si tratta, come è facile comprendere, di impegni istituzionali e politici che diradano le presenze nei dibattiti comunali.




Anche perché, andando a dare una rapida occhiata a cosa si fa in consiglio comunale, ci si accorge di quanto questa Istituzione si stia sempre più svuotando di responsabilità. Il 60% delle 309 delibere trattate fra il 1 luglio 2016 e il 31 dicembre 2017, ben 184 votazioni, sono state dedicate ad approvare debiti fuori bilancio. Si tratta di sentenze che vedono il Comune soccombere, davanti al Tar o al Consiglio di Stato, o al giudice ordinario o a quello del lavoro, e il Consiglio comunale è chiamato stancamente solo a votare il riconoscimento di questo debito. Ci sono poi 37 delibere che autorizzano interventi in somma urgenza su scuole o strade o nei parchi (32 nel 2016 e 5 nel 2017); 28 delibere che, a vario titolo, riguardano un atto obbligatorio come il Bilancio, fra previsionale, assestamenti, tariffe. E, finalmente, 60 votazioni, su 309 totali (il 19%) sono state quelle su delibere vere e proprie, quelle sulle quali in qualche modo si svolge la reale funzione dell’Assemblea, anche se in questo numero rientrano atti dovuti come la convalida degli eletti e le elezioni degli organi interni dell’Assemblea stessa. La vuota verbosità del Consiglio si dimostra con il numero di mozioni (85) e di Ordini del Giorno (187) approvati negli ultimi 18 mesi: tante chiacchiere, sostanza pochissima. Tra l’altro, le cose più politicamente rilevanti finisco per essere costantemente delegate dal Consiglio alla Giunta attraverso proprio lo strumento delle Mozioni e degli Ordini del Giorno. Alla fine, atti dovuti a parte, questo Consiglio sembra contraddistinguersi per la totale volontà di non decidere nulla ma di chiacchierare su tutto. 



Ci sono i supersecchioni: sono quattro, due di Fratelli d’Italia, Andrea De Priamo e il capogruppo Fabrizio Ghera, e due 5Stelle, Angelo Sturni e Marci Terranova. Per loro 117 presenze su 117 sedute dal 1 luglio 2016 al 31 dicembre 2017. E poi ci sono quelli che il Consiglio comunale lo vedono una tantum. I primi tre posti sono occupati da Giorgia Meloni, con 30 presenze, da Alfio Marchini, 35 sedute lo hanno visto in Aula, e dal sindaco, Virginia Raggi che di presenze ne fa registrare 40. A seguire nell’elenco degli assenti c’è il vicepresidente della Camera, Roberto Giachetti (Pd), in compagnia a quota 85 cartellini timbrati, della “pasionaria” 5Stelle Cristina Grancio. Poi con 94 strike il deputato Stefano Fassina, quindi a 95 Fabio Tranchina, a 96 Alisa Mariani, tutti e due della pattuglia pentastellata, quindi un altro Pd, l’ex presidente del Municipi San Lorenzo e Centro Storico, Orlando Corsetti, e, ultima sotto quota 100, a 99, la “civica” Svetlana Celli.
Per la Meloni, Giachetti, Fassina e la Raggi è ovvio che il computo delle presenze sia diverso dagli altri consiglieri: si tratta di leader nazionali e parlamentari per i primi tre più il Sindaco le due agende risentono degli altri impegni istituzionali.
La medaglia d’argento per le presenze se la aggiudicano ex aequo quattro grillini: il presidente del Consiglio comunale, Marcello De Vito, poi Pietro Calabrese, Maria Agnese Catini e Valentina Vivarelli, tutti a quota 116 presenze, avendone saltata, dal 1 luglio 2016 al 31 dicembre 2017, solo una.
Infine, il terzo posto del podio se lo dividono Maurizio Politi di Fratelli d’Italia e Marco Di Palma, 5stelle, con 115 presenze su 117 sedute. 
Il sito istituzionale del Campidoglio, però, riporta anche le presenze fatte registrare nelle sedute delle varie commissioni consiliari. Qui il computo è molto più complesso di quello relativo alle sedute del Consiglio comunale, partendo dal fatto che ogni consigliere è membro almeno di non meno di tre diverse commissioni, a volte anche fino a 6. Dato, questo, che si riflette in modo diretto sulle presenze. 
Passiamo al lato dei primi della classe. Come detto, sul dato presenze pesa in modo diretto la quantità di commissioni cui un singolo Consigliere è membro. In testa di questa speciale classifica come numero di presenze c’è la pentastellata Monica Montella. Per lei, stando alle carte del sito del Comune, si contano ben 523 presenze in Commissione. Il dato, però, va “stemperato”: la Montella è membro di ben 6 diverse commissioni consiliari (Bilancio, Cultura, Turismo, Controllo e garanzia, delle Elette e, infine, quella Elettorale). A seguire c’è l’inossidabile Fabrizio Ghera (FdI), componente di 4 Commissioni (Mobilità, Cultura, Sport e speciale sui Piani di Zona) risulta presente per 456 volte. Terzo posto per la Pd Valeria Baglio: anche per lei 4 commissioni (BIlancio, Ambiente, Scuola e Elette) con 449 presenze. A seguire ancora due 5Stelle: Carola Penna che siede nelle Commissioni Cultura, Sport, Turismo e Elette, segna 434 presenze. L’ultimo stakanovista del gruppetto di testa è Pietro Calabrese, sempre con 4 Commissioni (Mobilità, Ambiente, Urbanistica e speciale sui Piani di Zona) fa segnare 402 presenze. 

Dal computo vanno esclusi Ignazio Cozzoli Poli e la subentrante (ad aprile 2017) Giulia Tempesta: entrambi molto presenti ma ovviamente non conteggiabili visto l’avvicendamento.  


Centotremila euro al mese, per 18 mesi per un totale di 1 milione e 828 mila euro (e spicci): tanto, fino a oggi ci è costato il Consiglio comunale come “stipendio” ai Consiglieri. Stipendio che, in realtà, non è uno stipendio vero e proprio ed è legato alle presenze in Consiglio e Commissione. Ogni mese un Consigliere può arrivare ad incassare 2.440 euro (e 74 centesimi) lordi se arriva a partecipare a 19 sedute fra Assemblea capitolina e Commissioni. In pratica, ogni gettone di presenza finisce per costare effettivamente alle casse capitoline 128 euro lordi. Nulla è dovuto, invece, ai parlamentari eletti anche in Comune (Giorgia Meloni, Roberto Giachetti e Stefano Fassina) che in Campidoglio ci vanno gratis, visto che già percepiscono l’indennità di parlamentare.
Fuori da questo conteggio c’è il presidente dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito, al quale la legge riconosce un’indennità superiore per la funzione per cui, da luglio 2016 al dicembre 2017, ci è “costato” qualcosa in più di 113 mila euro, 6.300 quasi al mese lordi, per circa 3.500 euro netti al mese. Ovvio che De Vito risulti il “paperone” del Consiglio comunale mentre il meno retribuito è Alfio Marchini che, fino a oggi, avendo partecipato poco alla vita dell’Aula e delle Commissioni, si è fermato a poco più di 5mila euro in 18 mesi, 280 euro lordi al mese. Insomma, al netto equivalente a circa un paio di caffè al giorno. 
Dal computo globale vanno espunti due consiglieri: Ignazio Cozzoli Poli, decaduto ad aprile 2017, e la subentrante Giulia Tempesta (Pd). Per loro si gioca un campionato a parte. 
Anche Svetlana Celli, andata in maternità, ha partecipato meno alle sedute e, quindi, ha percepito una diaria inferiore in totale ai suoi colleghi. 
Per la quasi totalità dei consiglieri, questi 18 mesi di impegno per la città hanno fruttato emolumenti totali che oscillano di poche centinaia di euro fra i 40 e i 42 mila lordi, il che significa, appunto, che quasi tutti hanno raggiunto o anche superato quota 19 presenze (se sono di più, sempre 19 ne vengono pagate: niente straordinari in Campidoglio). La piazza d’onore spetta a Pietro Calabrese, 5Stelle, con 42mila 284 euro, seguito a pari merito da Fabrizio Ghera (FdI), Enrico Stefàno e Marco Terranova (5Stelle) con 42mila 155 euro, quindi ancora due pentastellate: Annalisa Bernabei (42.042) e, per un soffio, Maria Agnese Catini (42.025).
Qualcuno invece rimane un po’ sotto quota 40mila lordi. Escludendo i parlamentari eletti in Campidoglio e Alfio Marchini, l più bassa indennità, stando sempre ai dati pubblicati sul sito istituzionale del del Campidoglio ed riferiti a un periodo di 18 mesi, fra luglio 2016 e dicembre 2017, spetta a Cristina Grancio, la pasionaria dell’urbanistica 5stelle già in rotta di collisione con il suo gruppo sulla vicenda Stadio della Roma: per lei in 18 mesi solo 30mila euro. A seguire, la capogruppo Dem, Michela Di Biase che si ferma a poco più di 31 mila euro; quindi Alessandro Onorato (lista Marchini) con 32mila. Poi c’è un nutrito gruppo di Cinque Stelle: rimborsi sotto i 40 mila euro per Alisa Mariani (36mila), Gemma Guerrini (37mila), Nello Angelucci (38mila) Donatella Iorio, Simona Ficcardi, Cristiana Paciocco (tutte a 39mila). Stessa cifra anche per Francesco Figliomeni di Fratelli d’Italia e Ilaria Piccolo del Partito Democratico. 

domenica 28 gennaio 2018

LO STADIO PROCEDE A RILENTO


L’ok al progetto della Roma di costruire il suo stadio a Tor di Valle era arrivato il 5 dicembre. A fine gennaio la burocrazia ancora imperversa e l’iter per l’adozione della variante al Piano regolatore non parte. E il Ponte di Traiano torna in altissimo mare.
Già, perché giusto venerdì la Regione Lazio, dopo aver ricevuto alcune osservazioni da parte degli Enti coinvolti nella Conferenza dei Servizi in merito alla completezza del verbale finale, ha scritto ai proponenti indicando loro la necessità di consegnare in Campidoglio tutte le carte progettuali così come modificate dalle prescrizioni emerse dalla Conferenza dei Servizi. 
La verifica della corretta ed esaustiva rappresentazione delle prescrizioni impartite - si legge nella lettera del Campidoglio - presupporrebbe che gli elaborati del progetto fossero stati adeguati al recepimento delle prescrizioni. Solo due elaborati del Definitivo sono stati adeguati e appare evidente l’impossibilità da parte degli uffici di questa Amministrazione (e si immagina anche delle altre) di verificare il recepimento di tutte le prescrizioni”. Stesso rilievo anche dalla Città Metropolitana che, aggiunge, “la verifica richiesta si colloca al di fuori di un modulo procedimentale non risultando procedura ‘di rito’”. 
Insomma, non basta che i proponenti abbiano prodotto l’impegno a recepire tutte le prescrizioni in sede di progetto esecutivo, occorre che consegnino tutti gli elaborati con la versione dei progetti emersa dalla Conferenza. E c’è pure il dubbio che comunque questa parte della procedura non sia “di rito”. 
Il lavoro di adeguamento dei progetti - per gran parte si tratta di piccoli aggiustamenti e lievi modifiche - era già iniziato durante le sedute della Conferenza, man mano che emergevano le diverse prescrizioni. Tuttavia, la necessità di produrre concretamente il “pezzo di carta” modificato imporrà certamente un ulteriore slittamento ai tempi di avvio dell’iter di adozione della variante urbanistica.
E torna in alto mare il Ponte di Traiano. Scrive il Comune: “nel merito della richiesta dell’inserimento nella variante urbanistica del Ponte, così come contenuta nella colonna prescrizioni, si fa presente che la stessa è stata accolta esclusivamente come raccomandazione ma non può essere oggetto della variante urbanistica come da verbale del 5 dicembre”. Quindi, due notizie: la Regione ha inserito il ponte effettivamente come una prescrizione e il Comune si affretta a rispedire la palla al mittente: è solo una raccomandazione, in variante non ci va. 


mercoledì 24 gennaio 2018

LA CAPITALE DELLE OPERE INCOMPIUTE


Partendo dalle Vele di Calatrava, l’altra grande incompiuta sportiva romana è lo Stadio Flaminio, ridotto a un bel rudere vincolato. A rischio di fare un bis a breve c’è l’ippodromo di Capannelle dove è partito il contenzioso in Tribunale fra lo storico concessionario, la Hippogroup, e il Campidoglio ma che potrebbe a breve rimanere inutilizzato e preda di vandali. 
Poi ci sono le strutture viarie: la più scandalosa e trafficata è la via Tiburtina il cui raddoppio è partito nell’era Alemanno, già a singhiozzo per una serie di ritrovamenti archeologici, e poi impantanatosi del tutto nell’epoca di Marino. Ancora oggi, passando sulla Tiburtina, barriere jersey, restringimenti e salti di corsia costellano quasi l’intero tracciato ma di operai non si vede traccia. Via Boccea e via Pineta Sacchetti dovevano allargarsi, la prima addirittura raddoppiare. Dovevano, appunto. Poi c’è lo scandalo dietro Piazza del Popolo: il parcheggio di Lungotevere Arnaldo da Brescia era iniziato sotto Veltroni. O, meglio: sotto Veltroni vennero messe le barriere che delimitavano l’area di cantiere. Le barriere e il cantiere stanno ancora lì, del parcheggio non c’è traccia. Come non c’è traccia dei ponti: quello della Scafa e quello di Dragona, Ostia il primo e Acilia il secondo. Da decenni se ne parla, ma chi abita nel quadrante continua a sognarli. Un po’ tipo il ponte dei Congressi: tante chiacchiere, cantieri zero.
Poi c’è il lungo elenco delle opere di urbanistica o, come le chiamano oggi, di “rigenerazione urbana”. Tralasciando lo Sdo - Sistema direzionale orientale - di Pietralata ormai entrato di diritto nel mito, il tour per le grandi incompiute parte dall’Eur, con le Torri di Ligini che poche settimane fa hanno visto il Campidoglio soccombere al Tar per aver bloccato l’operazione Telecom. Il Campidoglio è corso ai ripari con i ricorsi ma il rischio è che possa arrivare un salasso di oltre 320 milioni di euro di danni da pagare a Telecom e a Cassa Depositi e Presiti. Intanto, mentre Sparta e Atene litigano, quei ruderi stanno lì, a fianco alla Nuvola di Fuksas. Poco oltre, sempre sulla Colombo, c’è lo sfregio di piazza dei Navigatori, quasi di fronte la sede della Giunta Regionale del Lazio, con il gran palazzo di vetro e acciaio, che più anonimo non si può, a troneggiare nel nulla. Anche nel nulla delle opere di urbanizzazione. A seguire l’elenco “ex”: ex Mercati generali, ex caserme di via Guido Reni, ex Mattatoio, ex Fiera di Roma. Tutti complessi immobiliari sparsi per la città per i quali si sono ipotizzate mille destinazioni diverse, spesso con progetti approvati e poi rimessi in discussione all’ultimo. Anche qui, rischio ricorsi e salate penali da mettere sul conto della Tesoreria capitolina. Ma che, nel frattempo, stanno lì, ferme ad ammuffire e ad ammalorarsi.
Anche piazza Augusto Imperatore piano piano sembra rientrare nel limbo: bellissima la recinzione pagata e marchiata con il logo di Tim, con la trovata del viso del successore di Giulio Cesare a sbalzo che pare seguire con lo sguardo il visitatore. Ma oltre la cancellata, sembra esserci ancora troppo poco per parlare di una riqualificazione della piazza e del Mausoleo dell’Imperatore. 
I lavori, oramai, sono bloccati da oltre 100 giorni: la speranza è che il nodo Pigneto (metro C/ferrovie) non finisca per rientrare nell’elenco delle incompiute, come il prolungamento della linea B da Rebibbia a Casal Monastero, il nuovo capolinea della Roma-Civita Castellana-Viterbo a Flaminio e la nuova stazione Acilia Sud della Roma-Lido. 

SMOG OLTRE I LIMITI, INUTILI LE DOMENICHE VERDI

Se piove, strade allagate, alberi che cadono, traffico impazzito. Se non piove, smog alle stelle. E a nulla servono le domeniche ecologiche e i blocchi del traffico: Roma annaspa nell’inquinamento. E così, dopo la seconda domenica ecologica, andata in onda tre giorni fa con la suspence degli orari ballerini per l’incapacità programmatoria della Giunta Raggi che aveva dimenticato la partita casalinga della Lazio, ora ci risiamo. Lo smog è salito alle stelle e il Campidoglio, non avendo altre armi disponibili, chiede ai romani di non usare la macchina ma gli autobus, di limitare l’uso dei riscaldamenti, adoperare eventualmente il car sharing, prendere la bicicletta o andare a piedi. E ai Vigili urbani indica la necessità di rinforzare la presenza dei pizzardoni su alcune strade per cercare di snellire il traffico. 
Questo è quanto è contenuto in due determinazioni dirigenziali, firmate dal direttore del Dipartimento Ambiente, Pasquale Pelusi, rivolte una ai romani e l’altra al Corpo della Polizia locale.
In entrambe le determinazioni si legge: “le previsioni modellistiche sullo stato della qualità dell’aria e della sua evoluzione fornite dall’Arpa Lazio (l’Agenzia Regionale di Protezione Ambientale) indicano, sull’area di Roma, nell’arco delle prossime 72 ore una situazione di criticità e il rischio di superamento dei valori limite per le concentrazioni degli inquinanti”. 

E, quindi, per i Vigili - determinazione 85 - che per la giornata odierna “venga rafforzata la vigilanza urbana finalizzata alla decongestione del traffico veicolare” in una serie di strade. 

Si parte dalle vie adiacenti il centro storico: Lungotevere, Corso d’Italia, viale Castro Pretorio, Manzoni e Labicana, San Gregorio e il Circo Massimo. A seguire l’asse Acqua Bullicante-Portonaccio, la Prenestina, la zona di San Giovanni con Magna Grecia, via Cerveteri e via Appia; Corso Francia nel quadrante nord; via Quirino Maiorana, viale Guglielmo Marconi e via Oderisi da Gubbio e, infine, a viale Trastevere. 

Altro discorso per la determinazione dirigenziale indirizzata ai “civili”. Intanto “bambini, donne in gravidanza, persone anziane, cardiopatici e soggetti con patologie respiratorie” e coloro i quali “sono soggetti a prolungate esposizioni” allo smog dovrebbero starsene a casa: “è opportuno che evitino di esporsi prolungatamente alle alte concentrazioni di inquinanti”, scrive il Dipartimento Ambiente. Però, nel più puro stile italico della situazione che è grave ma non seria, ci si affida alle “azioni volontarie” della cittadinanza. È scritto proprio così: “risulta necessario da parte della cittadinanza attuare una serie di azioni volontarie volte alla riduzione delle emissioni” inquinanti. 
E giù l’elenco: usare il trasporto pubblico che, se funzionasse, sarebbe davvero una idea brillante. Poi usare “in modo condiviso” l’automobile, quindi il car sharing. Preferire veicoli elettrici, ibridi o alimentati a combustibili a basso impatto (metano): domattina ci sarà la corsa dei romani negli autosaloni per comprarne uno nuovo per l’occasione. 
Seguono i consigli sulla guida moderata e la manutenzione dei veicoli, tipo moderare la velocità, pulire i filtri motore, spegnere la macchina se si è in coda. 
Manca solo l’invito estivo a bere molto e non uscire nelle ore calde. Quindi, limitare gli orari di accensione dei riscaldamenti. E
, se poi nulla di tutto ciò funzionasse, si può sempre prendere la bicicletta oppure “preferire, ove possibile, spostamenti a piedi”. Cosa che i romani già fanno visto il servizio reso da Atac.

martedì 23 gennaio 2018

CAPANNELLE, SCATTA IL RICORSO AL TAR



Ennesimo capitolo dell’esperienza 5Stelle in Campidoglio che rischia di finire davanti a un giudice. Questa volta tocca a Capannelle, alla società, la Hippogroup, che da 72 anni gestisce lo storico ippodromo e che si è vista ingiungere dai grillini la restituzione delle chiavi a maggio 2018. Ieri, la Hippogroup ha reso noto di aver presentato “ricorso al Tar senza istanza cautelare” (si va direttamente a sentenza senza la sospensiva) contro la determinazione dirigenziale del Comune che chiude l’esperienza ultradecennale della Società nella gestione dello storico ippodromo romano, il più grande impianto sportivo di proprietà comunale.
In sintesi, la Hippogroup porta al Tar non solo le decisioni capitoline che la riguardano, ma fa finire sul banco degli imputati l’intera architettura del nuovo Regolamento sugli impianti sportivi comunali che i 5Stelle stanno finendo di scrivere e che a breve inizierà il suo iter approvativo. Per giunta, se il Comune perdesse questa causa, ci sarebbe il rischio concreto di pagare i danni alla Hippogroup. Nella nota diffusa ieri, infatti, si parla della necessità di “salvaguardare gli ingenti investimenti realizzati dalla Società sulla scorta del legittimo affidamento ingenerato dall’Amministrazione capitolina”. Non si indicano cifre ma si parla di una richiesta di risarcimento danni per ben 24 milioni di euro.
Il ricorso della Hippogroup, in più, rappresenta un enorme problema per il Campidoglio a trazione grillina: in tribunale ci finisce l’idea che impianti ed eventi sportivi comunali debbano indiscriminatamente essere messi a bando di gara (altro esempio è la Maratona di Roma su cui si gioca un’enorme partita politica che vede in prima linea, oltre il Comune, anche la Federazione di Atletica Leggera) senza tenere conto degli investimenti sostenuti dai privati nel corso del tempo basate sull’assenso dell’Amministrazione comunale.

Si legge ancora nella nota della Hippogroup: obiettivo del ricorso è “conseguire il ristoro dei danni patiti a causa dell’abnorme ritardo con cui Roma Capitale, pur essendosi dimostrata in molteplici occasioni non contraria al riconoscimento della proroga della concessione, in linea con la vigente normativa, ha alfine opposto il contestato diniego. La Società conferma di avere regolarmente assolto a tutte le obbligazioni derivanti dal rapporto in essere con l’Amministrazione proprietaria del bene e, più in generale, la assoluta correttezza del proprio operato quale concessionario dell’Impianto, ribadendo che, a tutela dell’onorabilità propria e dei propri azionisti, agirà nelle opportune sedi contro chiunque si renderà protagonista di affermazioni mendaci e lesive dell’immagine della Società in merito a questa amara vicenda che mina il futuro di centinaia di famiglie”.

La nota Hippogroup segue di pochi giorni il sopralluogo della Commissione Sport, presieduta dal grillino Angelo Diario primo firmatario della mozione votata in Consiglio a inizio mese sulle gare per gli eventi sportivi e coautore, insieme all’assessore allo Sport, Daniele Frongia, del nuovo Regolamento in preparazione. In occasione del sopralluogo, Diario aveva cercato di fare il pompiere “nessun rischio Flaminio per Capannelle”. In realtà, a maggio Hippogroup dovrà restituire le chiavi e ci vorranno mesi prima che il Regolamento sia approvato, si facciano le gare europee e si consegnerà l’impianto al nuovo concessionario. Il rischio Flaminio e distruzione dell’impianto è più che reale. E, in aggiunta, pure con il possibile risarcimento danni da pagare. Dopo l’urbanistica, la cura grillina colpisce anche lo sport.

venerdì 12 gennaio 2018

CONSIGLIO: PROTESTA MULTISERVIZI E TABÙ RIFIUTI, LO PSICODRAMMA GRILLINO


Multiservizi e rifiuti, più la riforma dello Statuto: menu della caldissima seduta di ieri del Consiglio comunale. 
5Stelle che tentano di centrare la seduta sullo Statuto, bocciando le richieste di inversione dell’ordine dei lavori sia per Multiservizi che per i rifiuti. Poi, con le proteste vibranti dei lavoratori Multiservizi presenti in massa in Aula, un livido presidente dell’Assemblea, Marcello De Vito, capitola e, insieme ai suoi consiglieri, interrompe a metà mattinata le chiacchiere sullo Statuto per parlare della crisi di Multiservizi. 
Va in onda lo psicodramma 5Stelle, prontissimi in campagna elettorale a promettere la luna ai lavoratori e facendo la consueta giravolta giunti al potere.  
Inizia l’assessore alle Partecipate di Roma, Alessandro Gennaro: “ho inviato una nota ad Ama, sto chiedendo un incontro con la presidente della Multiservizi” e fine qui. 
Banchettano le opposizioni: Stefano Fassina (Sinistra), Valeria Baglio (Pd), Fabrizio Ghera (FdI) di fronte a tanta pochezza assurgono al ruolo di statisti. Il senso è: “Multiservizi è al 51 per cento controllata da Ama, dal Comune di Roma, e lei ci sta dicendo che ancora non ha parlato con la presidente di Roma Multiservizi e non sa neanche se le procedure siano state correttamente vagliate. Avete promesso che si sarebbero tutelati i lavoratori, fermatevi e troviamo una soluzione che qualifichi i servizi e tuteli davvero i lavoratori”. 
E i 5Stelle che arrancano: “I vertici hanno tradito gli accordi, è vero abbiamo fatto promesse ma non era la strada giusta”. 
Alla fine, ovviamente, i 5Stelle in blocco votano contro le proposte delle opposizioni e si approvano da soli il loro ordine del giorno che impegna la Raggi a sostituire l’Ad di Multiservizi, passandolo in capo all’Ama.
Seduta che prosegue, con mille interruzioni sullo Statuto (la proposta non passa in prima lettura non raggiungendo i 2/3 dei voti favorevoli) poi sulle mozioni. Dalle 6 alle 8 di sera salta in continuazione il numero legale: magari per mettere la sordina al consiglio sui rifiuti. Che, finalmente, si apre alle 8 e 20, con il Pd che abbandona l’Aula per protesta verso il ritardo e con la relazione dell’assessore Montanari che in sintesi è “questa città non è sommersa dai rifiuti ma ha delle criticità strutturali, i cittadini ci scrivono che sono contenti, stiamo facendo bene”. 
Del resto, era la stessa Montanari che a Roma i topi non li ha mai visti. 
Ovviamente, mirabolanti promesse sulla raccolta differenziata che risolverà tutti i problemi e che la colpa è della Regione e “dateci il tempo” che “operiamo nel rispetto della legalità”. Insomma, se Roma non affoga di rifiuti è perché il governatore dell’Abruzzo, Luciano D’Alfonso, annuncia l’ok a ricevere la mondezza romana: 39 mila tonnellate (che si aggiungono alle 40 mila annue derivanti dalla precedente intesa del 2014) che saranno trattate per un periodo limitato di 90 giorni nelle tre strutture di Chieti, Sulmona e Aielli. Un accordo, questo che, unito a quello con Rida Ambiente di Aprilia, potrebbe allontanare lo spettro di una crisi rifiuti stile Napoli. 

giovedì 11 gennaio 2018

A GALLERIA SORDI CHIUDONO ANCHE I BAR


Alla fine anche i bar della Galleria Alberto Sordi - quella davanti Palazzo Chigi, aperta nel lontano 2003 dopo un restyling curato dall’architetto Luca Trazzi - hanno chiuso. Via tavoli e sedie, niente più odorino di cornetti caldi la mattina e di caffè tostato tutto il giorno: tutto chiuso. Spazi restituiti alla proprietà dell’intera Galleria, il gruppo Sorgente, oltre una trentina di lavoratori nuovi disoccupati e fine di uno dei luoghi simbolo anche della politica e della cultura. Non era raro, infatti, imbattersi in deputati e senatori seduti a quei tavolini, magari con scrittori o giornalisti al tavolo vicino.
L’annuncio della chiusura era già stato anticipato a ottobre scorso e faceva seguito alla chiusura del ristorante della Galleria, arrivato all’inizio dell’estate 2017. 
La chiusura dei bar, tuttavia, non è solo la mancanza di un ottimo caffè da degustare in zona ma è solo l’ultimo tassello in una serie di problemi che stanno progressivamente deteriorando l’appeal della Galleria. A partire da affitti decisamente vertiginosi - si parla di 25mila euro al mese per un locale di una cinquantina di metri quadri - per finire con altri problemi, come la lunghissima chiusura dei bagni interni per ristrutturazione, una cosa che non ha mancato di creare molteplici problemi con i clienti.
Negli anni scorsi la libreria Feltrinelli era stata sul punto di chiudere, salvata poi da una riduzione del 25% del costo del canone di locazione. 
Poi, però, la Rinascente - che aveva preso i locali all’ingresso dopo aver lasciato a Zara l’antistante Palazzo Bocconi - aveva lasciato a maggio scorso la Galleria per trasferirsi, dopo svariati anni di lavori, nel nuovo gran quartieri generale di via del Tritone, aperto tre mesi fa a inizio ottobre. 
Se n’era andato anche il negozio di borse Nannini e, dopo l’addio di Zara, era entrato un altro marchio del gruppo Inditex, la boutique Massimo Dutti, a riequilibrare un po’ le sorti della Galleria. 
Ufficialmente si parla della necessità di avviare grandi lavori di ristrutturazione che vadano a rendere la Galleria sempre più rivolta verso i marchi del lusso. Anche perché va considerato che a brevissimo chiuderà il negozio Zara di via del Corso con il conseguente potenziamento di Palazzo Bocconi, quello di fronte la Galleria Sordi. Questo potenziamento, insieme alla prossima apertura de megastore Apple dentro Palazzo Marignoli a via del Corso (quello dove una volta c’era il grande bar Alemagna) insieme alla Rinascente di via del Tritone, renderebbe più appetibile la Galleria Sordi come il naturale completamento di un sistema di grandi brand a pochissimi metri di distanza l’uno dall’altro.
Il rovescio della medaglia, però, è legato a quanto potrà durare questa ristrutturazione: più di qualche negoziante teme uno stop che renda economicamente insostenibile la permanenza dentro i locali e, inoltre, la presenza dei due bar (e del ristorante) generava comunque un traffico di persone che, oggi, con i punti ristoro chiusi, rappresenta sicuramente un elemento di ulteriore crisi.

SU SPELACCHIO INDAGA L'ANAC


Fino a tutt’oggi torreggerà ancora a piazza Venezia, spoglio, tristo e misero pur con tutti gli addobbi argentati che il Comune gli ha appiccicato addosso senza, per altro, migliorarne l’aspetto. Ma per il povero Spelacchio - assurto a simbolo della spettacolare capacità dei 5Stelle di mortificare perfino il Natale - continua  a non esserci pace. Questa volta è il turno dell’Autorità Anticorruzione di Cantone, l’Anac, che, dopo una verifica condotta a seguito di un esposto, sentenzia: il Comune di Roma ha affidato il servizio grosso modo alla stessa cifra per la quale nel 2015 allestì due abeti e, in più, nel corso degli ultimi tre anni il servizio di trasporto, posizionamento e rimozione dell'abete è stato sempre affidato alla stessa ditta, senza rispettare il principio di rotazione.
Insomma, l’ennesima figuraccia di un’Amministrazione incapace di fare le cose per bene, neanche a Natale.
L’Anac ha inviato nei giorni scorsi tutta la documentazione in Campidoglio chiedendo di fornire chiarimenti entro 30 giorni sul contratto e sulle spese. 
L’esposto a Cantone era partito dal Codacons e ha portato l’Autorità a verificare le procedure di affidamento degli ultimi tre anni. 
In sostanza, l’Anac ha fatto un raffronto fra gli addobbi degli scorsi anni e i costi sostenuti dal Comune: nel 2015, per due alberi da circa 22 metri da posizionare in due zone della città tra cui piazza Venezia, l'affidamento del servizio di trasporto, posizionamento e successiva rimozione e smaltimento dei due alberi aveva un importo di partenza di 38 mila euro più oneri di sicurezza e Iva e se la aggiudicò la Ecofast Sistema con un ribasso intorno al 20%. 
L’anno scorso, la procedura riguardò un solo albero della stessa altezza ma si partì come base di gara da un importo molto più basso, di poco superiore agli 11mila euro più oneri e Iva, al punto che nessuna ditta rispose e molti segnalarono che la cifra era troppo esigua per il servizio richiesto. Siccome Natale pero' era ormai alle porte, si decise per una procedura d'urgenza in affidamento diretto sempre alla Ecofast per una cifra di poco superiore ai 12mila euro più oneri e Iva comprensiva però solo del trasporto dal comune di provenienza e posizionamento. 
E l’anno scorso l’albero di piazza Venezia era così bruttino da meritarsi il soprannome di “Povero Tristo”. Chi sperava che quest’anno le cose migliorassero è rimasto deluso: siamo passati da “Povero Tristo” a “Spelacchio”. Solo che quest’anno il servizio è andato, in trattativa diretta, allo stesso operatore economico che lo aveva avuto nei due anni precedenti. Pagando però quasi 50mila euro: il servizio è stato pagato 37mila e 700 euro più oneri e Iva (ecco come si arriva ai quasi 50mila euro), in pratica assegnato senza nessun ribasso. Tutto questo, secondo Anac è in contrasto con il principio di rotazione previsto dal codice degli appalti per le procedure sotto soglia (gli affidamenti diretti) anche perché, rileva l’Autorità, l’importo è di fatto lo stesso del 2015, quando però gli abeti erano due.
Oggi è prevista la macabra festa per lo smontaggio del povero Spelacchio che, nella visione pentastellata diventerà una "Baby little Home", una casetta in legno per consentire alle mamme di accudire i propri bambini con fasciatoio, poltrona per l'allattamento e tavolino da gioco per i piccoli.
E, ancora una volta, sul corpo del povero Spelacchio si consuma lo scontro politico: il candidato premier dei 5Stelle, Di Maio, spara addirittura un “aumento del 10 di turisti a piazza Venezia”, neanche esistesse un conta turisti nella piazza! E, ovviamente, si tira dietro gli sberleffi del resto del mondo politico “inventa torpedoni” (Piccolo, Pd) e “il mondo ci ha riso dietro per esser incapaci perfino di mettere nella Capitale un bell'albero di Natale” (Giorgia Meloni, FdI).

RIFIUTI; PD CAPITOLINO ALL'ATTACCO: "ECCO LE BUFALE A 5STELLE"

“Intanto chiederemo di invertire l’ordine dei lavori e di iniziare il Consiglio con la discussione sui rifiuti alla quale ci auguriamo che, oltre che l’assessore Pinuccia Montanari, intervenga anche il sindaco, Virginia Raggi”. 
Si preannuncia una seduta non proprio rilassata, oggi, in Aula Giulio Cesare, dove l’Assemblea capitolina, su richiesta della capogruppo del Pd, Michela Di Biase, terrà un consiglio straordinario dedicato al tema dei rifiuti. 
E ieri, i democrat romani hanno illustrato alla stampa il loro punto di vista sulla situazione rifiuti in città. La sintesi è: Roma è al collasso dopo 19 mesi di fallimenti a 5stelle.

FORTISSIMO DEGRADO 
Di Biase, Marco Palumbo, Giulia Tempesta e Valeria Baglio hanno attaccato duro: “A fronte dell'emergenza si continua a dire che va tutto bene. Mentre noi abbiamo segnalazioni sul fortissimo degrado in cui versano tutti i quartieri. Domani chiediamo che la sindaca sia in Aula per parlare dei rifiuti. Perché al posto di farlo, inventa gadget su Spelacchio. Dica ad esempio dove farà gli impianti. Senza trasportare rifiuti nelle altre regioni, Roma vive in pieno caos”, dicono i dem.
Certo, che la chiusura di Malagrotta, avvenuta con Marino sindaco, senza che fosse pronto un piano alternativo di smaltimento dei rifiuti è una responsabilità che pesa tutta intera sulle spalle del Pd romano, così come pesa non essere riusciti dal 2001 (anno in cui Malagrotta avrebbe dovuto chiudere) al 2008 e poi dal 2013 al 2015 a trovare né metodi né luoghi dove trattare e chiudere il ciclo dei rifiuti. Una responsabilità, quest’ultima, che il Pd romano condivide con la giunta di centrodestra di Alemanno in carica dal 2008 al 2013.

APRILIA NON BASTA
"L'amministrazione Marino - replicano i Dem - aveva deciso che il tema rifiuti andava affrontato con gli ecodistretti e noi eravamo a favore. Il sindaco Raggi al di là delle polemiche non ha spiegato come intende concludere il ciclo”.
Inoltre, secondo il Pd romano: “l'emergenza era prevedibile e l'accordo con Rida non è sufficiente perché ad Aprilia ci andranno 130 tonnellate al giorno e fino a settembre ne prendevano 160. E ottomila tonnellate sono ferme nei Tmb Ama. Roma è stracolma di immondizia, senza più distinzione tra centro e periferia”.

RAGGI NEGA L’EMERGENZA
Spiega la Di Biase: nella scorsa seduta del Consiglio comunale “questa amministrazione continua a negare che questa città stia vivendo una situazione di emergenza: la città è allo sbando e i cittadini sono ormai rassegnati all'idea di vedere il pattume in strada. E in Aula stiamo perdendo tempo su un argomento, come la revisione dello statuto, che non ci sembra dirimente per questa città". 

SULL'EMILIA UN NO IMMOTIVATO
Poi si entra nel merito delle ultime vicende, comprese le accuse che i 5Stelle ripetono come un mantra per attribuire il caos rifiuti alla Regione di Zingaretti: “c'e' stato un grande lavoro e una grande disponibilità da parte di Zingaretti e del presidente Bonaccini (Emilia-Romagna) ad accogliere la richiesta partita da Ama e quindi dal Comune di Roma, ma c'è stato un ripensamento immotivato. Quella del costo è una motivazione che non regge perché la cifra è regolato da un accordo interregionale". 

DIFFERENZIATA AL PALO
Inoltre "ci sono stati diversi cambi ai vertici di Ama ma con la raccolta differenziata siamo fermi al 42% del 2016 secondo i dati Ispra. Fosse anche arrivata al 44%, come dice questa amministrazione, non c'è stato quell'aumento del 7-8% come promesso da Raggi. Gli impianti sono al collasso e lo stesso vale per le flotte e le officine di Ama. A noi non risultano 280 mezzi in più in circolazione così come sbandierato dall'assessore. E poi ancora le famose sedi decentrate di Ama: ci sono già sette aree che hanno avuto l'ok dai Municipi ma ancora non se ne sa nulla. Tra l'altro in alcuni casi, come a Casal Selce, si tratta di aree che non sono neanche del Comune di Roma". 

IL RITARDO BLOCCA LA REGIONE
Insomma, dietro gli annunci, per il Pd, il nulla: “Nei giorni passati l'assessore Montanari ha detto che la Regione Lazio è in ritardo con il piano rifiuti regionale, ma sa bene che la Regione non può procedere perché il Comune non ha comunicato quali sono i siti in cui saranno collocati gli impianti”.