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In questo blog mi dedico a guardare con occhio maliziosamente indipendente ciò che accade a Roma - e qualche volta anche nel resto del mondo - soprattutto attraverso ciò che della mia città raccontano i quotidiani. Generalmente prendo in considerazione i tre quotidiani più importanti per vendite e diffusione nella Capitale: Corriere della Sera, La Repubblica e il Messaggero. A volte troveranno spazio anche gli altri quotidiani, la cui lettura è comunque sempre accurata.

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lunedì 28 ottobre 2013

I miserabili



Gli omicidi sono eventi tragici. Alcuni, stranamente, sono molto più tragici di altri.

E la geografia diviene un elemento variabile, un accessorio della storia.

Potere della stampa: anestetizzare e normalizzare oppure amplificare e rilanciare, a volte anche forzando la geografia.
Una volta Anzio e Cerveteri sono territorio romano - mentre sono due comuni autonomi distanti circa 60 chilometri dalla Capitale - altre volte, Roma stess diviene un'entità vaga e sfumata, una nuance variabile.

Luglio 2012: criminali senza scrupoli uccidono a colpi di pistola un benzinaio sulla via Aurelia. Nel territorio del Comune di Cerveteri.

Ecco qualche titolo:

Per Repubblica.it l'omicidio è palesemente avvenuto nella Roma violenta. Sì, certo, poi a destra si vede anche la parolina Cerenova...

Il Pd capitolino... Beh, che dire...




Come si vede, l'ignoranza geografica è direttamente proporzionale alla voglia di strumentalizzare o a quella di amplificare.

A maggio 2013, in un solo giorno, tre episodi di violenza: uno a Focene - Comune di Fiumicino - uno è a Anzio, Comune di Anzio e uno a Roma.

Ma per i giornali, diventano tre omicidi a Roma. Roma violenta.



Oggi, omicidio a Roma, alla Marcigliana, zona a nord, ma territorio del Comune di Roma.

Ecco come Corriere e Repubblica trattano la notizia:



Quando si dice... I miserabili...








domenica 27 ottobre 2013

Il gioco delle tre carte

Per realizzare quel capolavoro che è la chiusura parzialissima al traffico privato di via dei Fori Imperiali, più comunemente nota come la "corsia preferenziale Fori Imperiali", il povero Ignazio ha fatto passare la spesa - due bei milioncini di euro abbondanti - come "opere accessorie alla cantieristica" della fermata Metro C di Colosseo.
 
In sostanza, quei due milioni sono stati presi dal "salvadanaio" dei fondi che sono stati stanziati per costruire la fermata Colosseo della linea C e dirottati per fare la segnaletica, mettere i jersey di cemento su via Labicana, pagare gli operai che hanno materialmente realizzato i lavori, installare le telecamere dei varchi elettronici e così via.
 
Ergo: non li ha pagati il cassiere del Campidoglio - il buon Maurizio Salvi - ma li ha cacciati fuori Roma Metropolitane.
 
Da un punto di vista contabile, quindi, non è Marino Ignazio sindaco ad aver "staccato l'assegno" ma un altro soggetto e, quindi, a costo zero per le casse capitoline.
 
Ma è davvero così?
Beh, in realtà, ovviamente, no.
Roma Metropolitane è finanziata dal Comune, dalla Regione e dallo Stato.
Quindi, quell'ammanco di due milioni e spicci, prima o poi, dovrà essere coperto: pena una fermata Colosseo tutta da rivedere (con aggravio di costi e tempi).
A parte le denunce di qualcuno - il senatore Andrea Augello - tutta la vicenda è passata piuttosto in cavalleria: né i giornali, né la Corte dei Conti per ora hanno sollevato dubbi sulla regolarità di questa operazione.
 
Tralasciamo le considerazioni in merito all'efficacia e alla soddisfazione che questa decisione di Marino ha suscitato in città: è cosa nota che i residenti e i commercianti del quadrante sono sul piede di guerra perché subiscono effetti negativi dal traffico così come i ciclisti e i favorevoli alla pedonalizzazione totale perché la ritengono una cosa parziale e inutile.
 
Ora, però, Marino ci riprova.
Rullo di tamburi e annuncio in pompa magna: a dicembre facciamo i cantieri per allargare i marciapiedi e fare la pista ciclabile.



Autobus, pullman turistici, taxi, Ncc, auto blu continueranno a passare come sempre sulla strada che, però, sarà ancor più ridotta. Fra i cantieri per la metro C e questo allargamento, via dei Fori Imperiali diventerà presto un rigagnolo di stradina tipo via della Lupa in centro: due carrozzine con bimbi a bordo devono alternarsi per passare!
In tutto questo annuncio, però, Marino si dimentica di dirci dove troverà i soldi per pagare queste opere. 



Certo, non sarà possibile farle passare di nuovo come opere accessorie del cantiere Metro C. Anche perché Metro C sta per chiudere.



Abbiamo vissuto un agosto-settembre al calor bianco: chiude o non chiude? 'Sta metropolitana si fa o no?
Nella maggioranza di Marino c'è chi - come Athos De Luca - ormai si è schierato contro la metropolitana. Evidentemente, ai verdi - area politica di provenienza di De Luca - conviene non averle, le metro, così, forse, possono continuare a fare la politica degli strilloni ambientalisti, senza mai trovare la vera soluzione al problema: il trasporto di massa sotto la superficie.
 
Fatto sta che dopo le decine di annunci - roba che Alemanno è davvero un dilettante in materia - siamo ancora come ad inizio agosto: se il Comune non sblocca i soldi, la metro C si ferma. E non aprirà mai, visto che i lavori non sono completati.
Quindi, non saranno né MetroC né Roma Metropolitane a tirar fuori i soldi per fare marciapiedi e ciclabile ai Fori.
E allora chi?
Sarebbe ben strano fosse il Campidoglio: da mesi Marino piange miseria e va elemosinando a destra e a manca (nel vero senso del termine) aiuti da tutti: da Zingaretti al Governo.
Ha tentato, Marino, in un primo momento di provare a far passare il "buco" come frutto della "malagestione" di Alemanno. E ha dovuto fare una marcia indietro precipitosa: non solo perché non è vero ma anche perché, pure lo fosse, a Marino serve anche l'appoggio di Alemanno e del centrodestra per evitare il commissariamento e, quindi, di andare a casa nel modo più ignominioso dopo nemmeno sei mesi di governo cittadino.
 
E pazienza se, in questi mesi, le sole delibere che Marino ha prodotto sono quelle delle assunzioni. Alla fine è normale: nonostante le roboanti rodomontane dichiarazioni da campagna elettorale, Marino deve coprire dei posti che sono vuoti, quelli dei diretti collaboratori di fiducia. Non venisse però a raccontare che li ha scelti per concorso, perché la gran parte sono funzionari di area PD-SeL, alcuni proprio funzionari di partito.
 
Sarà, quindi, interessante vedere se, dopo gli annunci, Marino chiarirà anche da dove prende i soldi per fare (sempre ammesso che ci riesca) questa nuova tranche di interventi sui martoriati Fori Imperiali. 

E, magari, contestualmente ci spiegherà anche come mai per riparare le strade i soldi non ci sono, per il verde pubblico i fondi mancano, per il sociale "non c'è una lira bamboli", sul decoro urbano non possiamo spendere, ma si può spendere per i consulenti e una preferenziale costosissima e inutile.

A meno che, ovviamente, Ignazio sindaco Marino non stia riprovando a usare i Fori come specchietto per le allodole e dirottare l'attenzione dai suoi problemi interni e far dimenticare il suo record: maggioranza a pezzi, Giunta in bilico, rischio commissariamento in meno di 5 mesi di governo.

mercoledì 23 ottobre 2013

Ma l'Ufficio Stampa di Marino per chi lavora?

Due milioni, 128mila, 382 euro e 79 centesimi: tanto costerà, fino al dicembre 2015, alle casse capitoline l'Ufficio Stampa della Giunta Marino composto - per ora - da dodici giornalisti che dovrebbero occuparsi della comunicazione di Sindaco e Assessori.
 
Dodici, forse.
E dovrebbero, appunto.
 
Dodici e non solo dodici, visto che alcune persone sono assunte ufficialmente nelle segreterie dei vari assessori ma in realtà si occupano della comunicazione giornalistico-istituzionale degli stessi. Cosa che, quindi, dovrebbe far lievitare il costo totale della spesa che il Comune paga per averli.
Ma rimaniamo su quelli ufficiali: 2 milioni e spicci sono più che sufficienti.
 
Occupiamoci del "dovrebbero": all'Ufficio Stampa della Giunta, infatti, compete la comunicazione politico-istituzionale del Sindaco, degli Assessori e, eventualmente, dei vertici amministrativi dell'Istituzione: dal capo dell'Avvocatura al Segretario Generale, dal Ragioniere Generale al Direttore esecutivo e così via.
 
Non compete, però, all'Ufficio Stampa della Giunta di divulgare i comunicati stampa dei consiglieri comunali. Il Consiglio comunale - o come si chiama oggi l'Assemblea Capitolina - è autonoma dalla Giunta: la Presidenza dell'Aula ha un proprio Ufficio Stampa e i Gruppi consiliari hanno il loro.
 
Invece, proprio oggi pomeriggio, l'Ufficio Stampa di Marino si è dilettato nell'utilizzare la posta istituzionale per inviare ben due comunicati stampa: uno di Luca Giansanti, capogruppo della Lista Civica Marino in Consiglio, contro Antonello Aurigemma, ex assessore alla Mobilità della Giunta Alemanno.  
 
 
 
 
 
L'altro di Franco Marino, cognome omonimo a quello del sindaco Ignazio, ma vicepresidente dell'Assemblea capitolina, con tanto di mittente dell'email: la signora Mariagrazia Ardito.
 
 
Siamo buoni e vogliamo pensare che, sottoposto allo stress incredibile di questi primi quattro mesi che hanno visto il Sindaco e la sua Giunta bersaglio di feroci critiche per la manifesta scarsa capacità di governare e i ripetuti scivoloni amministrativi e proprio di comunicazione, anche l'Ufficio Stampa di Marino ha "perso la brocca".
 
Non fosse così, infatti, si sarebbe costretti a pensare che i tanto vantati risparmi che Marino sbandiera sempre meno efficacemente, siano in realtà qualcosa che oscilla a metà fra lo schiavismo e il poco rispetto per le regole: con i soldi pubblici - vorrebbe dire - Marino paga non solo i funzionari piddini e di SeL ma anche la loro comunicazione politica.
 
E in questo caso, non sarebbe niente male per Mister Trasparenza!

 

lunedì 21 ottobre 2013

TREMA LA GIUNTA MARINO

SCOPERCHIATO IL "VASO DI PANDORA" DELL'"ESPROPRIO MONSTRE" DI TOR BELLA MONACA
IL TRIBUNALE CONDANNA LA GESTIONE COMMISSARIALE PER IL RIENTRO DAL DEBITO DI ROMA CAPITALE
 
Riceviamo da un collega e così pubblichiamo
 
Di Mario Correnti
 
 
 
18462. Cinque cifre che stanno facendo vacillare la Giunta presieduta dal sindaco di Roma, Ignazio Marino, a quattro mesi dal suo insediamento. Cinque cifre che corrispondono alla sentenza del Tribunale Ordinario di Roma, 2ª Sezione Civile, pronunciata il 18 settembre scorso con la quale il giudice Eugenio Curatola ha condannato la Gestione Commissariale per il piano di rientro di Roma Capitale «al pagamento in favore di Carlo Alberto Chichiarelli di 2.437.796,49 euro, oltre rivalutazione in base agli indici Istat dal 1° gennaio 2004 e interessi legali dal 20 dicembre 1980 all’effettivo soddisfo». La Gestione Commissariale, nella persona del commissario straordinario Massimo Varazzani, è stata altresì condannata alla «refusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte attrice», 11.300 euro.
Sviluppando, così come da sentenza, i dovuti calcoli di rivalutazione (dal 1° gennaio 2004) e degli interessi legali (con capitalizzazione annuale dal 20 dicembre 1980) si arriva alla cifra di oltre 13 milioni e mezzo di euro.
Una mazzata tanto spaventosa quanto inaspettata che va a sommarsi al già esorbitante cumulo di debiti accumulati dal Comune di Roma fino al 28 aprile 2008, certificato in poco meno di 13 miliardi di euro.
Da qui, nei primi mesi del mandato dell’allora sindaco Gianni Alemanno, nacque l’esigenza di elaborare un piano di rientro (approvato il 5 dicembre 2008 con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri) per evitare il default del Campidoglio, separando questa enorme «massa passiva» dalla compromessa gestione contabile del Comune di Roma e spostandola sui conti dello Stato, attraverso la costituzione della Gestione Commissariale con la nomina di un Commissario Straordinario del Governo. Carica oggi ricoperta dall’avvocato professor Massimo Varazzani, un rubicondo signore nato a Parma nel 1951, cresciuto all’Imi nella scuola del banchiere torinese Luigi Arcuti (morto il 12 gennaio 2013), amico di Romano Prodi e stimato da Giulio Tremonti, perfetta figura di tecnico bipartisan, ex amministratore della Cassa Depositi e Prestiti, già vice presidente dell’Enav, oggi alla guida di Fintecna (società del ministero del Tesoro che gestisce le partecipazioni statali e i processi di partecipazione), con la passione per il culatello (salume pregiato del quale sembra essere uno dei massimi esperti a livello mondiale), gli incarichi pubblici e le consulenze d’oro, noto alle cronache col soprannome di “mister millepoltrone”, capace di portare a casa un compenso di oltre 750mila euro all’anno.
Ma quello che sta seriamente preoccupando i vertici amministrativi di Roma Capitale (e cioè il Capo di Gabinetto Luigi Fucito, il Segretario Generale Liborio Ludicello e, soprattutto, l’attuale capo dell’Avvocatura capitolina, Rodolfo Murra) è un aspetto in particolare: la “tempesta perfetta” rappresentata non solo dal sommarsi di questo importo con quello stabilito sempre dal Tribunale di Roma il 26 aprile 2005 per il mancato pagamento da parte del Comune di Roma (che venne peraltro condannato anche al pagamento delle spese di causa) delle indennità di esproprio dei terreni degli eredi Vaselli: 43.880.336,895 euro (da rivalutarsi in base agli indici Istat dal 1° gennaio 2004 nonché gli interessi legali dal 20 dicembre 1980), ma soprattutto dal rischio di scoperchiamento della pentola dello scandalo Tor Bella Monaca, mantenuto fino a oggi segreto e inviolabile agli occhi dell’opinione pubblica.
Negli uffici dell’Avvocatura comunale, in via Tempio di Giove, c’è chi da giorni trema all’idea che tutta questa spaventosa vicenda possa finire sulle pagine dei giornali o, ancor peggio, all’attenzione dei magistrati della Procura di Roma. In effetti, la “pratica” Tor Bella Monaca in tutti questi anni è stata gestita personalmente e riservatamente proprio da un ristrettissimo numero di fidati avvocati capitolini i quali – ligi al delicatissimo incarico ricevuto – hanno avuto modo di seguire le varie fasi processuali e i vari gradi di giudizio, i tentativi di transazione e hanno, di volta in volta, consiliatura dopo consiliatura, Giunta dopo Giunta, sindaco dopo sindaco, suggerito, consigliato e manovrato per prendere tempo, al fine di rimandare a un futuro anteriore il giorno dell’inevitabile pagamento del salatissimo conto. Ma ormai la frittata è fatta e il bubbone è scoppiato.
tor-bella-monacaIn tutto sei pagine di motivazioni che aprono una devastante crepa nel cemento armato della diga alzata dal Comune di Roma sulla questione dell’esproprio dei terreni di Tor Bella Monaca dove l’Amministrazione capitolina ha realizzato il famigerato quartiere-borgata all’estrema periferia sud-est di Roma (un mostro urbanistico fatiscente e ormai fuori controllo nel quale proliferano inquietanti fenomeni di alienazione urbana, criminalità, violenza e degrado) che l’ex sindaco di destra Gianni Alemanno voleva velleitariamente e sbrigativamente demolire e ricostruire in quattro e quattr’otto, per lasciare il posto a una nuova mega lottizzazione (qualcosa come circa 900mila metri cubi di cemento) ispirata alle idee urbanistiche dell’architetto lussemburghese Lèon Krier che s’illudeva di portare ordine, villette e giardinetti del Nord Europa nella sperduta e selvaggia periferia romana.
Come dimenticarsi dello scoop dell’estate di tre anni fa quando, durante un dibattitto sul tema “Estetica delle città” organizzato nell’ambito della manifestazione di Enrico Cisnetto Cortina Incontra, l’allora sindaco di Roma lanciava la nuova «rivoluzione d’Ottobre» e cioè il progetto di demolizione e ricostruzione di Tor Bella Monaca. «Stiamo lavorando e lo presenteremo a fine ottobre» aveva dichiarato Alemanno.
Era il 23 agosto 2010.
Dopo un’infinita serie di annunci, comunicati stampa, presentazioni, dibattiti, convegni e conferenze pubbliche, il progetto finì ingloriosamente nel lungo elenco delle tante promesse faraoniche mai mantenute.
Alemanno non è stato rieletto, il Programma per la riqualificazione di Tor Bella Monaca è finito dritto nel cestino dei rifiuti del nuovo sindaco Ignazio Marino e, com’era purtroppo prevedibile, sono rimasti soltanto i debiti da pagare.
Il conto, che ricadrà inevitabilmente sulle spalle dei cittadini, è veramente salato.
Letta così non sembra dire un granché, ma dietro la sentenza del Tribunale di Roma 18462 del 18 settembre 2013 si nasconde l’ultimo e – per alcuni, non a torto – definitivo capitolo di uno dei più grandi e, se vogliamo, inesplorati scandali nella storia del Comune di Roma, oggi Roma Capitale.
Un intrigo politico-amministrativo che risale al 5 febbraio del 1980 quando l’allora Giunta comunale (presieduta dal sindaco Luigi Petroselli, Partito comunista, eletto il 27 settembre 1979 dopo le dimissioni di Giulio Carlo Argan, primo sindaco non democristiano di Roma eletto come indipendente nelle liste del Pci), con la delibera 420, attuativa del Piano di Zona 22 “Tor Bella Monaca”, dava l’avvio al procedimento di esproprio di una vastissima area edificatoria (dell’estensione di oltre un milione e mezzo di metri quadrati, in comprensorio E3 del Piano Regolatore Generale di proprietà degli eredi del conte Romolo Vaselli (11 novembre 1882 – 16 dicembre 1969).
Contestualmente alla delibera di Giunta 420, l’allora Giunta della Regione Lazio (presieduta dal socialista Giulio Santarelli) fissava anche l’importo dell’indennità provvisoria di esproprio in 1.603.822.600 lire, precisando inoltre che le espropriazioni dovevano essere compiute entro 24 mesi dalla data della delibera.
Il 20 dicembre 1980 il Comune di Roma entrava formalmente in possesso delle aree da espropriare. Questa è una data cruciale: da quel giorno, infatti, parte il calcolatore degli interessi legali necessario per definire il totale complessivo che dovrà pagare la Gestione Commissariale per il piano di rientro sulla base della sentenza del Tribunale di Roma del 18 settembre 2013. È vero che la Gestione Commissariale risponde al governo, ma per quanto riguarda i mandati di pagamento, il commissario Varazzani prende ordini dal Campidoglio il quale, attraverso determinazioni dirigenziali o delibere di Giunta, indica chi, cosa e quanto va liquidato.
I comproprietari dei terreni di Tor Bella Monaca, gli eredi Vaselli, comunicavano la loro disponibilità alla cessione volontaria delle aree al Comune di Roma. E così, il 5 ottobre del 1983, davanti al notaio Bertone veniva stipulato l’atto di cessione al prezzo complessivo di 2.405.733.900 lire (salvo conguaglio dal momento che sia i Vaselli che il Comune di Roma di riservarono il diritto di chiedere il conguaglio (in più per gli eredi Vaselli e, ovviamente, in meno per l’Amministrazione capitolina), qualora fossero intervenute future norme che avessero determinato nuove misure di indennità. A ben vedere, nell’atto di cessione, col quale i Vaselli avevano deciso di cedere volontariamente il bene al Comune di Roma per ottenere l’aumento del 50 per cento dell’indennità determinata dalla Giunta Regionale del Lazio, veniva espressamente dato atto della intervenuta sentenza della Corte di Cassazione che aveva dichiarato la incostituzionalità della legge 29 luglio 1980 n° 385 (norme provvisorie sulla indennità di espropriazione di aree edificabili), ma si faceva espressa riserva (da parte di entrambe le parti) di chiedere – come abbiamo detto – eventuale conguaglio qualora fossero intervenute future norme in materia di espropriazione.
Era l’autunno del 1983. Passano i mesi. Passano gli anni. Cade il Muro di Berlino, finisce la Guerra Fredda, crolla la Prima Repubblica, si dissolve l’Unione Sovietica, scoppia Tangentopoli, si avvicendano governi, presidenti del Consiglio e sindaci di Roma (dopo Petroselli arriveranno il socialista Pierluigi Severi, il compagno Ugo Vetere, e poi si alterneranno i democristiani Pietro Giubilo e Angelo Barbato, il socialista Franco Carraro, e infine il verde Francesco Rutelli e il democrat Walter Veltroni, senza contare le parentesi dei vari commissari straordinari, da Alessandro Voci ad Aldo Camporota fino a Enzo Mosino), ma l’ingranaggio dei pagamenti resta bloccato per quanto riguarda la liquidazione da parte del Comune di Roma delle indennità del mega esproprio di Tor Bella Monaca (l’area interessata si estendeva per oltre un milione e mezzo di metri quadri).
Gli eredi Vaselli (il cui numero, per evidenti ragioni generazionali, si era allargato comprendendo oltre ai figli anche i nipoti e i pro nipoti del conte), giustamente, stremati da un’attesa senza fine decidono di citare in giudizio l’inadempiente Comune di Roma davanti al Tribunale di Roma, chiedendo – in via principale – che venisse dichiarata «la nullità, la annullabilità rescissione e/o risoluzione del contratto di cessione per Notar Bertone e, in via subordinata, che venisse determinato il conguaglio del prezzo di cessione».
Prendeva così avvio una lunga e complessa causa che, attraverso una serie di passaggi e cavilli, veniva trasformata in un (apparente) inestricabile contenzioso, a tutto vantaggio dell’Amministrazione capitolina la quale, dopo aver proceduto all’esproprio e alla lottizzazione massiva di Tor Bella Monaca, riusciva a evitare di pagare le ingenti somme derivanti dal conguaglio chiesto dai Vaselli.
Il Tribunale di Roma, con sentenza 11046 dell’8 agosto 1992, rigettava la domanda principale (nullità, annullabilità e/o rescissione del contratto risalente all’ottobre del 1983), ritenendo la subordinata equivalente a una «opposizione alla stima dell’indennità espropriativa», e così facendo rimetteva gli atti davanti alla Corte d’Appello competente per materia. Quest’ultima, con ordinanza del 3 luglio 1995, senza pronunciarsi sull’impugnazione, chiedeva d’ufficio il relativo regolamento alla Corte di Cassazione la quale, con sentenza 5975 del 3 luglio 1997, dichiarava la competenza del Tribunale di Roma.
Per i Vaselli non restava altro da fare che tornare davanti al Tribunale Ordinario di Roma per ottenere giustizia. Si arriva in questo modo alla clamorosa sentenza 11026 del 26 aprile del 2005, nella quale – fra l’altro – si legge: «Dagli atti non risulta che il Comune di Roma abbia completato la procedura espropriativa, emettendo il definitivo decreto di esproprio, forse perché il suolo gli venne spontaneamente ceduto sia pure con la riserva di conguaglio, mai versato, nonostante sia il Tribunale di Roma che la Corte d’Appello lo avessero, sia pure indirettamente, riconosciuto. Pertanto – scrive il giudice unico, Gennaro d’Anna, nel provvedimento – trovandoci di fronte a una vera e propria espropriazione di fatto (iniziata legittimamente e terminata in modo illegittimo), gli attori hanno diritto a ottenere il controvalore di mercato al momento della costruzione delle opere e precisamente al momento della irreversibile trasformazione del suolo, oltre alla indennità per l’occupazione pregressa e non il contrario (restituzione del bene) non solo per l’intervenuta cessione volontaria, ma anche per la cosiddetta “accessione invertita” in base alla quale è stato fissato il principio della prevalenza oltre che economica, anche sociale dell’opera eseguita rispetto all’immobile sottratto al privato cittadino, il cui interesse (singolo) deve soccombere rispetto all’interesse collettivo sempre prevalente».
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Seguendo questo ragionamento, pertanto, il giudice – dopo aver affidato alla consulenza tecnica d’ufficio il compito di quantificare il valore del suolo (l’Avvocatura comunale, durante la causa, aveva cercato di convincere il giudice sul fatto che le aree espropriate erano ancora agricole) – calcolava l’importo finale (al quale venne sottratto quanto già percepito dai Vaselli e cioè 2.405.733.900 euro): 84.964.179.920 lire, pari a 43.880.336,895 euro, «ancora da rivalutarsi in base agli indici Istat dal 1° gennaio 2004 all’effettivo soddisfo, nonché da maggiorare degli interessi legali dal 20 dicembre 1980 all’effettivo soddisfo». E così condannava il Comune di Roma (sindaco Walter Veltroni) al pagamento in favore degli eredi Vaselli di qualcosa come 200 milioni di euro, più al pagamento delle spese di causa (oltre 35mila euro).
Per l’Avvocatura capitolina è «un contenzioso di notevolissima portata, sia sotto il profilo della rilevanza economica sia sotto quello della complessità giudiziaria». In una nota agli atti del fascicolo, gli avvocati del Comune di Roma mettevano nero su bianco il tema centrale dello scandalo: «Il Comune molti anni fa ebbe ad occupare vasti terreni siti in località Tor Bella Monaca, di proprietà degli eredi Vaselli, al fine di ivi realizzare l’omonimo Piano di zona per l’edilizia residenziale pubblica. Tale occupazione non si concretizzò mediante un procedimento espropriativo regolare cosicché i proprietari ebbero ad avviare un’azione per l’accertamento del loro diritto al ristoro da perdita della proprietà privata». Un errore, o qualcosa di molto più grave, che è costato (e costerà) somme da capogiro all’Amministrazione comunale. Ma nessuno fino a oggi, in Campidoglio, ha mai pagato per questi errori. E c’è da chiedersi perché la Corte dei Conti non ha mai voluto avviare un procedimento per accertare eventuali o palesi responsabilità da parte dell’Amministrazione capitolina nella gestione dell’esproprio di Tor Bella Monaca. Eppure il danno erariale è macroscopico.
Per avere un quadro completo, occorre a questo punto capire chi è Carlo Alberto Chichiarelli (il soggetto che ha portato in giudizio la Gestione Commissariale per il piano di rientro del Comune di Roma, facendola condannare dal Tribunale di Roma) e in quale veste e a quale titolo entra nella complessa vicenda dell’esproprio di Tor Bella Monaca.
Chichiarelli, cittadino argentino di origini abruzzesi con un passato da guerrigliero (è stato un combattente dei Montoneros e commando dell’Ejercito Revolucionario del Pueblo contro la dittatura militare seguita al colpo di Stato del 24 marzo 1976), oggi agricoltore, ha avuto una relazione di oltre sei anni con Emanuela Vaselli, 55 anni, casalinga, pro nipote del conte Romolo.
Il 29 dicembre 2000, con una scrittura privata stipulata davanti al notaio Paolo Girolami, Emanuela Vaselli cedeva a Chichiarelli una quota ereditaria pari a un diciottesimo a lei derivante dal credito caduto nell’asse ereditario del fu Romolo Vaselli. La storia tra Carlos e Emanuela nel volgere di qualche anno ebbe a finire, ma la cessione di quel diciottesimo dell’indennità di esproprio di Tor Bella Monaca («dovuto e quantificato dal Comune di Roma Ufficio competente») restava in piedi. E così iniziava per l’ex montoneros la lunga marcia forzata per vedere riconosciuti i suoi diritti e i suoi legittimi interessi. La cessione di credito, quantificata in 220 milioni di lire, è stata regolarmente pagata da Chichiarelli, ma – visto che la loro storia era ormai finita – Emanuela Vaselli – nonostante avesse di fatto accettato l’offerta – riteneva di tornare sui suoi passi, cercando di dichiarare nulla la scrittura privata e la relativa cessione di credito. Un vano tentativo, forse dettato dal rancore di una relazione sentimentale senza alcun futuro, che ha generato a cascata tutta una serie di ripercussioni giudiziarie e connesse col filone principale, e cioè quello tra gli eredi Vaselli e il Comune di Roma.
Sta di fatto che Chichiarelli, nonostante le resistenze della pro nipote di Romolo Vaselli, a partire dal 2001 ha iniziato a formalizzare una serie di istanze indirizzate al Comune di Roma e finalizzate al riconoscimento della  sua quota parte di credito sempre in ordine all’indennità di esproprio dei terreni Vaselli a Tor Bella Monaca. Quello sul quale Chichiarelli ha sbattuto fino allo scorso settembre è stato un muro di gomma impenetrabile. Lo scoglio più grande, in questo senso, è stato rappresentato dall’Avvocatura capitolina. Uno sbarramento a 360 gradi su tutta la linea, nonostante nessuno – anche in sede giudiziaria – abbia mai messo in discussione la validità della cessione di credito del 29 dicembre del 2000. In una delle tante istanze indirizzate al Comune di Roma, Chichiarelli scrive: «Per tale indennità l’Avvocatura comunale ha sempre frapposto ostacoli al pagamento al sottoscritto». E ancora: «Che peraltro il sottoscritto fa presente che proprio su iniziativa dell’Avvocatura, come vi è ampiamente documentato, è stata fatta pagare parte dell’indennità alla cedente Emanuela Vaselli, pur non avendo la stessa alcun titolo. Fatto, questo, gravissimo che si configura come un vero e proprio danno erariale da denuncia alla Corte dei Conti».
A cosa fa riferimento Chichiarelli in questa missiva del 19 dicembre del 2011?
All’inspiegabile, secondo Chichiarelli, pagamento – autorizzato proprio dall’allora capo dell’Avvocatura capitolina, Enrico Lorusso, con due determinazioni dirigenziali, firmate dall’avvocato Riccardo Marzolo e datate 4 e 24 ottobre 2006 – di una prima tranche di 1.848.730,27 euro (pari al 50 per cento dell’importo di 3.697.460,55 euro relativo alla quota ereditaria di due trentaseiesimi spettanza di Emanuela Vaselli) come indennità di esproprio dei terreni di Tor Bella Monaca. Il pagamento della seconda tranche, dello stesso importo di 1.848.730,27 euro, è stato bloccato a seguito dell’intervento di Chichiarelli nei confronti del Comune di Roma. È qui che si concretizza, di fatto, lo sbarramento dei vertici capitolini.
Chichiarelli mette i bastoni fra le ruote.
Chichiarelli deve restare fuori dai pagamenti.
Tutto ha funzionato bene, anche durante la gestione Alemanno, e il muro ha retto agli urti dell’argentino.
Tutte le porte sono state progressivamente chiuse in modo ermetico. Nel volgere di poco tempo, l’Avvocatura, il Segretariato Generale, la Gestione Commissariale hanno fatto un blocco unico nello sbarrare la strada a Chichiarelli nelle sue istanze volte a ottenere il riconoscimento dei suoi legittimi interessi.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata una nota a firma del commissario straordinario Massimo Varazzani, datata 29 luglio 2011, nella quale si dava atto del parare richiesto all’Avvocatura di Roma Capitale (parere stilato dall’avvocato Rodolfo Murra, promosso a capo dell’Avvocatura proprio da Ignazio Marino) in merito alla proposta transattiva presentata il 23 giugno 2011 proprio da Chichiarelli.
La lettera di Varazzani sembrava non ammettere alcuna replica: «Al riguardo si rende noto che, sulla base di quanto esposto nel suddetto parere, lo scrivente non può dare corso alla posposta transattiva».
Punto e fine.
Per Chichiarelli non restava altra strada se non quella giudiziaria, dopo 31 anni di causa e con una sentenza definitiva sull’esproprio di Tor Bella Monaca emessa dalla Corte di Cassazione il 28 febbraio 2011. Ed è proprio in questo modo, con un’ennesima causa iscritta al ruolo del Tribunale Ordinario di Roma, che il contenzioso veniva sottoposto nuovamente all’esame del giudice civile. Chichiarelli impugna proprio la nota del commissario Varazzani e su quella si articolerà la causa che poi si cristallizza nella sentenza 18462 del 18 settembre scorso, depositata in cancelleria il giorno seguente.
Vale la pena leggerne le motivazioni.
«Le osservazioni formulate dall’Amministrazione convenuta [leggi Gestione Commissariale] sono infondate per le seguenti considerazioni:
a) respingendo l’impugnazione proposta avverso la sentenza 11026/2005, la Corte d’Appello di Roma ha correttamente rilevato il mancato avveramento della condizione sospensiva apposta all’atto di cessione del credito del 15.12.2000 (pagamento del prezzo della cessione pari a lire 220.000.000). In effetti, alla data di emanazione della sentenza di Appello (30 giugno 2009), il Chichiarelli non aveva ancora provveduto all’adempimento della prestazione posta a suo carico, prestazione conclusa, invece, con l’accettazione dell’offerta reale da parte della Vaselli in data 18.12.2009.
b) la citata sentenza 14758 (peraltro non prodotta in giudizio dalla convenuta) ha avuto ad oggetto il precetto di pagamento notificato dal Chichiarelli il 5 febbraio 2007 in forza della sentenza 11206/2005 (e dell’atto di cessione del 15.12.2000), sull’erroneo presupposto dell’asserito rilascio in forma esecutiva del titolo quale cessionario di credito, per cui non appare ostativa rispetto al presente giudizio.
c) dagli atti prodotti in corso di causa risulta che la sentenza 11206/2005 è divenuta definitiva (determinazione dell’indennità spettante alla Vaselli) e che si è verificata la condizione sospensiva dell’efficacia del contratto di cessione del 15.12.2000 (offerta reale accettata). In considerazione di quanto sopra – prosegue la sentenza del giudice Eugenio Curatola – deve essere affermato il diritto in capo all’attore, quale cessionario del credito, di vedersi corrispondere l’indennità di esproprio in oggetto, nella misura determinata dal Tribunale di Roma in favore di Vaselli Emanuela con la sentenza 11206/2005. Per quanto attiene al quantum debeatur, la predetta sentenza ha determinato l’ammontare dell’indennità di esproprio in complessivi 43.880.336,895 euro, oltre rivalutazione in base agli indici Istat dall1.1.2004 e interessi legali dal 20.12.1980 all’effettivo soddisfo. Di conseguenza – conclude la sentenza – deve essere riconosciuto in favore dell’attore, quale cessionario del credito vantato da Vaselli Emanuela, l’importo di 2.437.796,49 euro (pari a 1/18 di 43.880.336,895 euro), oltre rivalutazione e interessi legali come sopra determinati».
ignazio-marino-pdIl 26 settembre la sentenza è stata formalmente notificata alla Gestione Commissariale, presso l’Avvocatura dello Stato.
Venerdì 25 ottobre diventa esecutiva.
Pagherà il condannato, e cioè la Gestione Commissariale per il piano di rientro di Roma Capitale? Senza un mandato scritto da parte del sindaco Marino, il commissario straordinario Massimo Varazzani non firmerà alcun mandato di pagamento.
Nel frattempo, in Campidoglio la vicenda degli espropri di Tor Bella Monaca ha polarizzato due cordate contrapposte: una favorevole a pagare subito quanto ordinato dal Tribunale di Roma, l’altra (in prima fila i falchi in capo all’Avvocatura) determinata a dare battaglia e a prendere ulteriore tempo, nella speranza di fiaccare l’avversario. Intanto il calcolatore della rivalutazione e degli interessi legali continua impietoso a girare, moltiplicando giorno dopo giorno il totale da liquidare.
Sul versante politico, nelle ultime settimane il vice sindaco Luigi Nieri (Sel), con delega al Patrimonio, si era interessato alla vicenda, attivandosi a vari livelli affinché si sbloccasse la situazione per procedere con il pagamento.
Ma all’improvviso, proprio nei giorni scorsi, è stato “azzoppato” con lo scandalo che ha visto protagonista il suo capo staff, Andrea Bianchi. Con un tempismo inedito, infatti, a seguito di un controllo interno qualcuno in Campidoglio ha scoperto che Bianchi, per ottenere quell’incarico da 115mila euro lordi l’anno, aveva millantato una laurea in Giurisprudenza mai conseguita. È stato Nieri in persona a darne notizia, dopo aver chiesto e ottenuto le immediate dimissioni del suo capo staff.
 
 

venerdì 18 ottobre 2013

Cadono teste

E così, dopo le denunce di sospette irregolarità nelle assunzioni nello staff di Marino e dei suoi assessori, cade la prima testa, quella di Andrea Bianchi, capo staff del vice sindaco, Luigi Nieri (SeL).
Assunto come laureto, con incarico dirigenziale, indicato come "dottore" nella delibera, dottore non è mai stato.



Ma quella di Bianchi può essere solo la prima testa a cadere.
La prima. Perché la questione può essere lunga e piuttosto dirompente.


Nel lungo elenco degli assunti da Marino, tutti con il famoso intuitu personae, infatti, si ravvisa una palese anomalia che può nascondere altri casi Bianchi.

I SIGNORI LAUREATI
L'anomalia è la seguente: su circa 40 assunti con contratto da laureato (D1), una venticinquina sono indicati nelle delibere di assunzione come "signore" o "signora", vale a dire l'espressione che viene utilizzata quando non si hanno altri titoli. Un laureato viene indicato con il titolo di "dottore" o "dottoressa".
La laurea è obbligatoria per chi va ad occupare posizioni dirigenziali e non tutti questi "signori laureati" la occupano. Ma un laureato percepisce uno stipendio di circa 2mila euro lordi l'anno in più rispetto a un non laureato. Come dire: è il valore di quel pezzo di carta che le nonne ci invogliavano sempre a prendere.

E se Andrea Bianchi non fosse, quindi, l'unico ma solo il primo caso?


LA TRASPARENZA
In nome della trasparenza - annunciata come rivoluzionaria da Marino in campagna elettorale e richiamata oggi da Nieri durante la conferenza stampa convocata in tutta fretta per prendere le distanze da un collaboratore decennale (!) - sarà interessante vedere quando i controlli capillari su tutti gli assunti da Marino produrranno i loro frutti.

Del resto con Bianchi siamo già a due episodi di persone chiamate a ricoprire ruoli per i quali non avevano titoli: il primo è stato il colonnello Liporace che Marino,voleva prendere dall'Arma dei Carabinieri per fargli comandare i Vigili Urbani. E il secondo, quindi, è Andre Bianchi.

IL QUESITO
Rimane un ultimo quesito: ma il Segretario Generale e tutti i vari dirigenti degli uffici che appongono le loro firme sulla regolarità contabile e amministrativa delle delibere di assunzione, che ci stanno a fare? Come riescono ad accertare la regolarità di atti che poi, regolari non sono?


giovedì 17 ottobre 2013

Marino commissaria Marino

Dopo la discreta quantità di figure barbine inanellate una dietro l'altra, il sindaco Marino ha, di fatto, commissariato l'assessore all'Ambiente, Estella Marino.

Nei giorni scorsi, infatti, all'Ama è giunta una richiesta perentoria da parte dell'inquilino del Campidoglio: qualsiasi documento deve prima di tutto essere inoltrato al Marino sindaco e poi, solo dopo il "visto di stampi", può essere consegnato alla Marino responsabile dell'Ambiente. 
Marino Estella che, ovviamente, dal Marino sindaco è stata tenuta all'oscuro di questo commissariamento.

Evidentemente seccato per le défaillance della Marino - dalla figuraccia sugli alberi abbattuti nei parchi pubblici dai vandali, alla fuga di notizie con successive smentite sulla sostituzione dei vertici proprio di Ama - la Marino non ne azzecca una.
In realtà, raccontano i bene informati, Estella Marino è considerata, pur da esterna, una testa di ponte di Legambiente. Con il prossimo (sussurrato) arrivo di Gianluca Cencia - direttore scientifico di Federambiente e membro del Comitato Scientifico di Legambiente - al posto probabilmente di Piergiorgio Benvenuti, Legambiente anela a inserirsi nel sistema di raccolta dei rifiuti della Capitale: tanti soldi (dello Stato e della Regione Lazio) da gestire.



Cencia, ingegnere ambientale, coniugato con Sabina Minardi, giornalista de L'Espresso, è considerato un tecnico esperto, di più che discreta fama. 

Rimane il problema se Cencia, dopo aver superato al fotofinish la concorrenza di Raphael Rossi, sarà in grado di gestire realmente un'azienda che non ha i soldi necessari per implementare ulteriormente la raccolta differenziata.