Nel profilo Instagram si vede una ragazza bionda, capelli lunghi, qualche sorriso accennato, a volte con un sondino nasogastrico fermato con cerotti ritagliati a forma di cuore, Noa Pothoven. Aveva 17 anni, Noa, e viveva in Olanda, ad Arnhem, città passata alla storia per il famoso “ultimo ponte” sul Reno nell’avanzata degli Alleati nella Seconda Guerra mondiale.
Domenica scorsa Noa ha smesso di vivere. Lo ha deciso lei: a 17 anni ha preferito l’eutanasia a una vita che sentiva insopportabile.
Perché Noa era stata violentata. E il peso di questo dramma era diventato troppo difficile da sorreggere.
Noa ha scelto Instagram per annunciare la sua decisione finale. Instagram dove il sondino nasogastrico trova una spiegazione: aveva smesso di bere e di mangiare. Ma, come scriveva: “respiro, ma non ho mai vissuto”.
Ansia, anoressia, depressione, stress post traumatico: in 17 anni Noa ha vissuto tutta la catena dell’incubo condensata in una sola, breve esistenza. In Olanda l’eutanasia è legale ma Noa ha dovuto combattere una lunga battaglia legale al termine della quale ha ottenuto di poter rinunciare alla vita e finalmente riposare, forse, senza incubi.

Dal 2002 l’Olanda, primo paese in Europa, si è dotata di una normativa che disciplina l’eutanasia diretta e il suicidio assistito. In sintesi, la legge olandese consente l’eutanasia a partire dai 12 anni di età. Precondizione essenziale è una certificazione delle autorità sanitarie che la sofferenza del paziente è insopportabile e priva di vie d’uscita. Per le persone fra 12 e 16 anni è obbligatorio il consenso dei genitori. Nel nostro Paese, dopo il dibattito degli ultimi anni, ora è in itinere una proposta di legge dei 5Stelle per regolamentare la dolce morte e il diritto all’obiezione da parte dei medici.
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