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In questo blog mi dedico a guardare con occhio maliziosamente indipendente ciò che accade a Roma - e qualche volta anche nel resto del mondo - soprattutto attraverso ciò che della mia città raccontano i quotidiani. Generalmente prendo in considerazione i tre quotidiani più importanti per vendite e diffusione nella Capitale: Corriere della Sera, La Repubblica e il Messaggero. A volte troveranno spazio anche gli altri quotidiani, la cui lettura è comunque sempre accurata.

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martedì 11 giugno 2019

AMMINISTRATIVE 2019; FOCUS SUI BALLOTTAGGI


NETTUNO
Era il gelido novembre del 2005 quando il Governo - era il Berlusconi III, Silvio a Palazzo Chigi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta; ministro dell’Interno il forzista Beppe Pisanu - decise di sciogliere il consiglio comunale di Nettuno, all’epoca di centrodestra, per infiltrazioni mafiose.
Quindici anni dopo il centrodestra torna alla guida della città. Nel frattempo, le due inchieste  giudiziarie, “Appia” e “Mythos” non hanno visto coinvolti i vecchi esponenti politici nessuno dei quali è finito alla sbarra ma ha visto confermare le tesi accusatorie iniziali degli inquirenti nei confronti delle famiglie Gallace e Novella, originarie di Guardavalle, per traffico di droga e, comunque, per la capacità di penetrare il Comune.
Fra primo grado e appello, infatti, sono state comminate pene per un paio di secoli di carcere a una quindicina di imputati e una decina sono state le assoluzioni. Ma il Consiglio comunale non ne è uscito indenne: dopo lo scioglimento, venne presentato un ricorso al TAR, respinto, e un appello al Consiglio di Stato, respinto anch’esso con la motivazione che “lo scioglimento” era  “stato adeguatamente motivato” dal “Ministro dell’interno” dopo “una istruttoria molto approfondita, in cui non sembra essere stato trascurato alcun aspetto”.
Fatto sta che quello scioglimento ha comunque cambiato per un quindicennio la vita politica nettunense: da quel momento, due mandati elettorali al centrosinistra e uno ai 5Stelle. 
Da ieri, sul nuovo sindaco, Alessandro Coppola - cui sono andati 9.903 voti al primo turno (45%) e 9.735 (60%) al ballottaggio - e sulla sua una coalizione che comprende il centrodestra in versione classica, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega, UDC, più una lista civica, ricade l’onere di far piazza pulita dalle ombre del passato, quello del centrodestra uscito con le ossa rotte nel 2005.


CASSINO E TARQUINIA
Una volta alcuni personaggi sarebbero stati considerati un usato sicuro sul quale scommettere. Nusco con il neosindaco, il novantunenne Ciriaco De Mita, è l’esempio migliore. 
Poi ci sono altri casi, come Mario Abbruzzese da Cassino e Gianni Moscherini da Tarquinia sono il caso contrario, quello di un usato sicuro che non convince gli elettori.
A Cassino, provincia di Frosinone, Enzo Salera si aggiudica la fascia tricolore con 9.933 voti (59%) battendo al ballottaggio Mario Abbruzzese, cui sono andati 6.947 voti (41%) nel turno di ballottaggio.
Abbruzzese è - meglio, era - uno degli uomini forti del frusinate: già presidente del Consiglio regionale del Lazio durante il breve periodo del Governo Polverini nella Regione, era considerato ancora uno dei grandi nomi della politica locale. Anche se le ultime performance ne avevano comunque appannato l’immagine, la gestione della candidatura a sindaco da parte di Abbruzzese era stata magistrale: mettendo a nudo le debolezze dello schieramento di centrodestra è riuscito a far cadere uno a uno tutti i possibili altri candidati. Questo, però, non è bastato e Cassino sarà retta dal centrosinistra.
A Tarquinia si è consumata la parabola di Gianni Moscherini. Prima presidente dell’Autorità portuale di Fiumicino, Gaeta e Civitavecchia fra il 2001 e il 2006, poi sindaco di Civitavecchia, Moscherini era stato arrestato, nel 2016, nell’ambito di un’inchiesta per tentata estorsione da cui era stato assolto per non aver commesso il fatto. Dopo le vicissitudini giudiziarie, Moscherini ha tentato un rilancio, candidandosi a Tarquinia come sindaco ma raccogliendo 2.863 voti (42%) guidando una coalizione di centrodestra con Fratelli d’Italia e 3 liste civiche, perdendo contro Alessandro Giulivi, neo sindaco, che ha raccolto 3.990 voti (58%) alla testa di una coalizione di centrodestra con Lega e due civiche. 



FERRARA E FORLÌ
A mezzanotte e 47 minuti il sito Eligendo del Ministero dell’Interno si ferma e, in una specie di istantanea, congela un momento particolare: per la prima volta dal dopoguerra a oggi, Ferrara non sarà più amministrata dalla sinistra. Finisce un’era che partiva dal Pci di Longo e Secchia, passava per il Pds di Achille Occhetto e finiva con il Pd di Nicola Zingaretti. Una specie di tradizione che si interrompe e che è uno choc non dissimile da quello vissuto dalla sinistra quando nella rossa Bologna vinse, nel 1999, Giorgio Guazzaloca.
A Ferrara il nuovo sindaco è Alan Fabbri che, guidando una colazione basata sul centrodestra classico - Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia - più due liste civiche, ottiene 37mila voti, quasi il 57% e lascia ad Aldo Modonesi - Pd, +Europa e 5 liste civiche a sostegno - solo 28mila consensi, il 43%. Non è riuscito, dunque, il candidato della sinistra a recuperare lo svantaggio che già si era registrato al primo turno: a Fabbri erano andati 36.629 voti (49%) e a Modonesi 24mila (31).
Anche Forlì cambia colore e da rosso, passa a blu. Vince Gian Luca Zattini che al ballottaggio prende il 53% (27mila voti) contro Giorgio Calderoni che si ferma al 47% con 24mila voti.
Da evidenziare come nelle precedenti elezioni comunali, nella città che fu di Caterina Sforza, il Pd e la sinistra avevano stravinto a mani basse con il 54% dei voti e Davide Drei primo cittadino.

All’epoca, la Lega raccolse la miseria di 2.110 voti, il 2,44%. In questa tornata, invece, la Lega si è portata a casa 14.456 voti, pari al 24,24%. Nel 2014, il Pd aveva sbaragliato la concorrenza con oltre 28mila voti di lista, cioè il 46,35%. Questa volta si è fermato a 16.421 consensi, pari al 27,54%. Mettendo a paragone di due dati, la Lega ha moltiplicato quasi per 7 i suoi consensi e il Pd ha perso invece un elettore su 4. 


ASCOLI E PIOMBINO
A maggio 2015 non c’era stata partita: il Pd, con due civiche, s’era portato a casa il sindaco - Massimo Giuliani - con quasi il 55,5% dei voti. Distaccatissimo il Movimento5Stelle, secondo, con uno scarso 16%. La crisi del centrodestra sembrava irreversibile: Francesco Ferrari era terzo, con tutta la coalizione azzurra, a meno dell’11%. 
Cinque anni dopo, la rivincita è sonante. Francesco Ferrari, Fratelli d’Italia, strappa Piombino, da 70 anni nelle mani della sinistra: 64% dei consensi, quasi 10.500 voti e la fascia tricolore va a destra, a una coalizione in cui la Lega prende 2.840 voti e Fratelli d’Italia 324. Nel 2015, l’intera coalizione di centrodestra raccolse 1800 voti. 
E il Pd? Cinque anni fa aveva 8.800 elettori che lo scelsero, quasi un piombinese su due. Domenica sono stati 4.139 (24% scarso). Un piombinese su due che scelse i Democrat un quinquennio fa ha lasciato. In un paese a grande vocazione industriale con le acciaierie, la sconfitta dem, per quanto non del tutto imprevista, deve comunque suonare come un campanello d’allarme.
E l’altro storico risultato è sull’altra sponda d’Italia, ad Ascoli dove Fratelli d’Italia si prende il sindaco, Marco Fioravanti, battendo al ballottaggio Pietro Celani, vicepresidente del Consiglio regionale delle Marche di Forza Italia, alla guida di una coalizione di liste civiche tutte di centrodestra.
Ascoli al centrodestra non è una novità: era già successo nel 2015 con Guido Castelli sindaco. 
Quel che colpisce è che Piombino e Ascoli segnano una vittoria per Fratelli d’Italia che progressivamente riesce nell’impresa di uscire fuori dal confine segnato dal Grande Raccordo Anulare di Roma, accusa che più o meno velatamente e costantemente è sempre stata mossa a Giorgia Meloni e ai suoi quando si è trattato di scegliere le candidature non romane.

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