Finisce l’avventura della signora Graziella Bartolucci, madre della senatrice 5Stelle Paola Taverna, come inquilina delle case popolari. Nel pomeriggio di ieri, Roberta Nardone, giudice della sesta sezione del tribunale civile di Roma, ha sentenziato che l’anziana mamma della Vicepresidente del Senato non ha più i titoli per occupare un alloggio pubblico e, quindi, lo deve lasciare. Nel tardo pomeriggio, poi, secondo quanto ha battuto l’Ansa, l'avvocato della signora ha scritto una lettera a Ater e avvocatura capitolina dando la disponibilità della signora Bartolucci a consegnare le chiavi dell'appartamento.
Ovviamente, alla notizia della sentenza si è scatenato letteralmente l’inferno: comunicati e social network sono impazziti, facendo schizzare l’hastag #Taverna fra i trend topic della giornata.
La storia nasce a metà degli anni ‘90 quando la signora Bartolucci ottiene dal Comune di Roma l'assegnazione di un appartamento, 75 metri quadri, di edilizia popolare, dell’Ater, nel quartiere Prenestino/Quarticciolo. Un affitto agevolato non superiore ai 150 euro. La mamma della futura Senatrice, va a viverci insieme alla figlia Paola, oggi appunto in Senato, e Annalisa, attivista cinquestelle. A seguito di una articolata indagine sui redditi familiari degli anni 2007, 2009 e 2011, Comune e Ater accertano che i redditi della madre della Taverna superavano i limiti stabiliti dal regolamento. Perchè la Senatrice è proprietaria di 4/6 di un immobile a Olbia, “partecipato” con delle quote anche dalla stessa madre. Inoltre, fra i beni posseduto rientra un locale commerciale su via Prenestina e un appartamento a Torre Angela. Insomma, secondo l’Ater ce n’era a sufficienza per considerare la madre ottantenne della senatrice in “esubero di reddito”.
I familiari della signora Bartolucci presentarono opposizione asserendo che non si potesse contestare lo sforamento dei limiti di reddito poiché sarebbe errato il cumulo fra il patrimonio della madre e quello della figlia che, secondo i legali della famiglia, dal ‘98 non abitano più insieme.
Le obiezioni vengono respinte dal Campidoglio anche perché da quanto risulta all’Anagrafe la senatrice Paola Taverna ha mantenuto la residenza nell’immobile Ater fino al giugno del 2012.
Si va avanti con lo sfratto, quindi, contro cui viene presentato ricorso: “Mia madre percepisce una pensione minima e vive in una casa popolare dove ho vissuto anche io per tanti anni: credo mia madre abbia tutto il diritto di desiderare di morire nella stessa casa dove è vissuta”, disse la Vicepresidente del Senato. Il Tribunale, però, ha deciso che non è così.
La decisione finale della signora Bartolucci di rinunciare all’appartamento assume però anche una valenza politica visto che al sindaco di Roma, Virginia Raggi, sarebbe spettato il compito di procedere con lo sfratto.
A poche settimane dal voto che poi porterà la Raggi a indossare la fascia tricolore, la Taverna parlò, con l’abituale fair play, di “un complotto per far vincere il M5S”, non esattamente una benedizione sulla testa della Raggi.
Lo scontro fra le due proseguì con le polemiche sulla presenza di Raffaele Marra a fianco del Sindaco e, quando Marra venne arrestato, riferendosi alle affermazioni rese dalla Raggi in Campidoglio sulla figura e l’importanza di Marra, Paola Taverna tuonò: “Non basta dire mi sono sbagliata e è solo uno dei 23mila dipendenti”.
Poi, ancora, la famosa lettera a Luigi Di Maio sul primo assessore all’Ambiente della Giunta Raggi, quella Paola Muraro prima indagata (poi assolta). Era la famosa email che il capo politico del Movimento 5Stelle, oggi vice premier, negò di conoscere fino a che non venne pubblicata dai giornali.
E non c’è solo Paola Taverna a non aver mai avuto buoni rapporti con Virginia Raggi. Indimenticabile un’intemerata di Annalisa, sorella della vicepresidente del Senato, sempre risalente al periodo Marra/Muraro. In quell’occasione, su facebook, Annalisa Taverna, nel colorito romanesco usato anche dalla sorella, attaccò pesantemente la Raggi: “Se non te dai una calmata te appendemo per le ‘recchie”.
Considerando, quindi, quanto siano stati tesi negli anni i rapporti fra la famiglia Taverna e la Raggi, viene il dubbio che la rinuncia, leggibile di primo acchito come un problema in meno per la Raggi, possa magari avere una lettura più machiavellica: evitare che il Sindaco possa ergersi a paladina della legalità.
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