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In questo blog mi dedico a guardare con occhio maliziosamente indipendente ciò che accade a Roma - e qualche volta anche nel resto del mondo - soprattutto attraverso ciò che della mia città raccontano i quotidiani. Generalmente prendo in considerazione i tre quotidiani più importanti per vendite e diffusione nella Capitale: Corriere della Sera, La Repubblica e il Messaggero. A volte troveranno spazio anche gli altri quotidiani, la cui lettura è comunque sempre accurata.

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venerdì 12 luglio 2019

STADIO: "FARE I 'FROCI' COR CULO DELL'ALTRI" (titolo ironico)


Pareri segreti, appelli al Sindaco e manovrine di piccolo cabotaggio: più che lo “Stadio della Roma” di Tor di Valle sembra uno spy movie di serie C. Dove l’ignoranza, colossale e abissale, regna sovrana: ignoranza delle leggi e delle procedure. E, insieme all’ignoranza, albergano giochi politici più lerci e maleodoranti dei cassonetti di Roma.
Armatevi di un po’ di pazienza per leggere tutto…

PARERI LEGALI A GOGO
Iniziamo dal giochino dei pareri legali. Senza entrare nell’autorevolezza del singolo legale che li estende, per tanti pareri contrari allo Stadio se ne troveranno altrettanti favorevoli. 

Un po’ perché – parafrasando quel celebre sketch di Gigi Proietti avvocato (“te se inculano”, “se li inculamo”) – lo studio legale risponde alla domanda del cliente, ma, soprattutto, perché non esiste una vera giurisprudenza in materia di “legge Stadi”.

Perciò in primo luogo dipende dal cliente e poi dalla domanda che il cliente pone. Con tutto il rispetto per un qualunque studio legale è lecito domandarsi quale tipo di risposta potrebbe venire già solo in relazione a quale cliente ponga il quesito: se fosse la Roma, le risposte di chi ha detto “no”, sarebbero sempre “no”?
O, se fosse qualche antiStadio a rivolgersi a uno studio legale che ha espresso “sì” al progetto, la risposta sarebbe sempre “sì”?
Inoltre, la risposta dipende sempre dalla formulazione e dalla sostanza della domanda.
Due variabili – cliente e formulazione della domanda – che da sole legittimano il dubbio sulla risposta.

Dopo di che, ci sono aspetti giuridicamente oggettivi della vicenda.
Il caso As Roma/Tor di Valle è una prima assoluta e, quindi, a meno che le domande non siano palesemente campate per aria (e, negli anni ne abbiamo vista più di qualcuna) potremmo dire quasi che “uno vale uno”. Quanto meno, un parere varrà un altro almeno fino a che non si andrà davanti all’organo giurisdizionale preposto (la magistratura amministrativa, cioè Tar e Consiglio di Stato) che ci spiegherà con sentenza come determinate norme vadano interpretate.
Quindi, che lo Studio Legale Milton dica “sì” o “no” all’iter, garantisca che vi siano rischi o che non vi siano rischi di risarcimento, suggerisca o sconsigli di procedere verso una qualunque ipotesi di soluzione, vale esattamente come il suo contrario.

Detto questo, passiamo ad esaminare le ultime posizioni espresse – il parere segreto dell’ultim’ora – partendo, però, dalle sue connotazioni meno giuridiche e più politiche.

Un Gruppo consiliare – M5S – commissiona un parere legale a uno studio privato.
Solo che chi lo commissiona non è certo un amico della Raggi (stantia anzicheno la querelle Lombardi-Raggi, tipo cane e gatto) e, con la Raggi in palese difficoltà praticamente ovunque, dimostra solo che le bande dei grillini esistono, sono vive e lottano fra di loro senza ritegno. Ma dimostra anche un’altra cosa: che il gruppo dei lombardiani – dopo aver perso i due leader, uno in carcere, Marcello De Vito, l’altro per strada, Paolo Ferrara – esiste in Consiglio comunale ed è quello che non garantisce alla Raggi di avere la maggioranza sul voto per lo Stadio.
La seconda considerazione: al netto del valore di un parere legale terzo, è interessante vedere il “vai avanti, cretino” di banfiana memoria: il gruppo grillino che lo commissiona non è mica chiamato al voto. Non è né sulla Lombardi, né su Porrello né su alcun altro pentastellato alla Pisana che, un domani, può appuntarsi l’attenzione della tanto temuta Corte dei Conti. Insomma, usando il vecchio detto romano, è davvero facile “fa er frocio cor culo dell’altri”.



Trasponendo il tutto su un piano meno colloquiale: una fazione di un gruppo che non deve votare nulla in quanto appartenente ad altro Ente e quindi totalmente privo di responsabilità, dice a un altro gruppo – questo sì che deve votare e, quindi, è esposto al rischio causa, risarcimenti e corte dei conti – di votare in un certo modo e eroga questo alto consiglio forte di un parere legale.

Il parere legale
Entriamo, ora, nel merito del parere legale.
Prima considerazione: al netto, lo ripeto, dell’acume legale del singolo avvocato o gruppo di avvocati che stende un parere; al netto della specializzazione del/dei legale/i di cui sopra; al netto della conoscenza minuziosa e approfondita di ogni carta prodotta in questo lungo e travagliato iter; al netto del cliente che pone il quesito; e, infine, al netto della formulazione del quesito stesso; va evidenziato un fatto.
Se – dio non volesse – il gruppo consiliare M5S capitolino chiamato al voto seguisse il consiglio ricevuto e, un domani, di fronte all’eventuale causa, il Comune venisse sconfitto, di tutti quelli potenzialmente chiamati a risarcire il pubblico erario non vi sarebbe mai e poi mai lo studio legale che quel parere ha rilasciato.
Perché il Comune un supporto legale ce l’ha già: si chiama Avvocatura comunale.
Può piacere o non piacere: è formata da alcuni avvocati molto bravi se non altro perché da anni e anni si occupano solo certe materie, perché l’iter Stadio l’hanno seguito fin dall’inizio, giorno per giorno, e, soprattutto, perché, in caso di errore professionale, possono esserne chiamati a risponderne dalla Corte dei Conti.
In sostanza, se l’Avvocatura comunale sbaglia a consigliare il Sindaco, la Giunta e l’Aula Giulio Cesare, l’Avvocato che ha errato può essere chiamato a pagare di tasca propria l’errore.
Cosa che non avviene con uno Studio Legale terzo. Fosse pure, appunto, quello di John Milton.

Seconda considerazione, molto più legale.
Esistono solo due modi per cancellare il progetto Stadio.
Il primo è l’annullamento d’ufficio (più volgarmente chiamato “in autotutela”). Procedura regolata dall’articolo 21 nonies della legge 241/1990.
Il secondo è la revoca, regolata dall’articolo 21 quinquies sempre della 241/90.

Cosa dice il testo di legge (allegato alla fine in forma integrale).
È illegittimo un provvedimento amministrativo che sia stato adottato in violazione di legge, viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
Il provvedimento illegittimo può essere annullato d’ufficio, “sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”.

Inoltre, “i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi”.

Per semplificare la materia, quindi: il Comune ha (aveva) al massimo 18 mesi per annullare un atto amministrativo che sia (fosse) stato adottato in violazione di legge.

  • Nel caso della Delibera Marino (la 132 del 22/12/2014) i 18 mesi sono scaduti il 20 giugno 2016.
  • Nel caso della Delibera Raggi (la 32 del 14/06/2017) i 18 mesi sono scaduti l’11 dicembre 2018.
  • Nel caso della Conferenza di Servizi decisoria, il Verbale del 22 dicembre 2018, ha completato i suoi 18 mesi il 21 giugno 2019.


Al di là del fatto che il Consiglio comunale, organo oggi interessato dalla querelle, non ha potere di annullamento del Verbale della Conferenza di Servizi decisoria trattandosi di determinazione assunta da altro Ente, come si vede i 18 mesi che la legge indica come tempo massimo entro cui procedere all’annullamento dei soli tre atti adottati dalla Pubblica Amministrazione in questi lunghi anni sono già esauriti.

Tuttavia, la norma dice anche che questi 18 mesi possono essere superati se gli atti da annullare sono stati redatti “sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.

Va quindi evidenziato come non solo non esiste nessuna sentenza passata in giudicato (sentenza passata in giudicato è quella che ha superato tutti i gradi di giudizio oppure che non è stata appellata entro il termine previsto) ma qui non siamo neanche giunti, nel caso Parnasi, alla sentenza di primo grado! Figuriamoci a quella passata in giudicato!
Inoltre – e sono le dichiarazioni ufficiali del procuratore, Paolo Ielo, supportate da atti conseguenti della Procura di Roma – l’iter dello Stadio è stato riconosciuto come non toccato dall’inchiesta penale riguardante Luca Parnasi, i suoi collaboratori, l’avvocato Luca Lanzalone, i politici coinvolti nella prima inchiesta (“Rinascimento”) e in quella successiva, Marcello De Vito e altri.
Non sembra proprio, quindi, esistere nessun tipo di appiglio giuridico valido di fronte a un giudice per poter derogare ai 18 mesi.
Non a caso, questa è la posizione più volte espressa in modo netto dall’Avvocatura capitolina ai Consiglieri comunali: attenzione, l’annullamento d’ufficio non è una strada giuridicamente percorribile in modo valido; prenderla significa andare a sbattere e farsi (molto) male.

E, allora, perché si continua a cercare – almeno da un punto di vista mediatico – una via per ricorrere all’annullamento d’ufficio?

Semplice: è gratis. O quasi. L’annullamento d’ufficio non comporta la corresponsione di un indennizzo. Almeno su carta. Perché poi, con l’ovvia causa, il rischio che la pubblica amministrazione qualcosa possa dover pagare c’è sempre anche se è minimo. Sicuramente, anche fosse espresso un giudizio in questo senso, sarebbe comunque un pagamento esiguo e davvero minimo.



Questo perché l’altro modo di cancellare il progetto, la revoca, invece, prevede – in modo esplicito – il pagamento al danneggiato di un indennizzo.

La revoca, infatti, è disciplinata sempre dall’articolo 21 della legge 241/90 ma, in questo caso, dal comma quinquies che recita che “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico”.

In sintesi: il Comune può sempre revocare un suo provvedimento. Potrebbe farlo anche il giorno prima dell’apertura del cantiere dello Stadio. Può farlo perché politicamente si assume la responsabilità di dire che è cambiato il pubblico interesse. Tuttavia, questo cambiamento ha un costo che è, quanto meno, calcolabile sulla base del “danno emergente”. Vale a dire: non ti ripago certo i futuri mancati incassi da biglietti o eventi perché soggetti a elementi casuali e non predeterminabili ma solo per il danno che hai effettivamente subito. Il che, attenzione, non include solo le spese effettivamente sostenute non tanto o non solo per presentare il progetto quanto per modificarlo a ogni sussurro, starnuto, sospiro del Comune, ma anche del danno che può derivarti dagli eventuali accordi commerciali.
Facendo un esempio: la Roma ha con la società XYZ un accordo per la vendita dei diritti sul nome dello Stadio alla cifra V per N anni. Il danno emergente, quindi, sarebbe calcolabile moltiplicando il danno ricevuto ogni anno per il numero di anni.
E, infine, quello più temuto: il danno di immagine. Andare in giro per il mondo, banca banca, a chiedere finanziamenti garantendo con la propria faccia che un’opera sia fattibile e sia in via di approvazione causa un danno di immagine enorme. Che, se riconosciuto dal giudice, rischia di valere da solo molto più dei danni da spese sostenute e accordi saltati.
Nel caso Tor di Valle, è lecito supporre che la richiesta di risarcimento danni possa essere quanto meno pari al valore dell’opera stessa (800 milioni/1 miliardo di euro)

Sia chiaro: richiesta, non condanna. La condanna arriva alla fine del processo. E non è mica detto che se la Roma chieda 100, il giudice le riconosca effettivamente 100. 


Tuttavia, c’è un problema pratico. Le norme sulla formazione del bilancio del Comune.
Se il tavolo salta e ci si vede in tribunale, il Comune ha l’obbligo di accantonare sui propri bilanci la somma che la Roma richiede scontata al massimo della ragionevole probabilità di condanna divisa per la presumibile durata annua del processo.
Traduzione: la Roma chiede 1 miliardo di euro e il processo potrebbe durare 5 anni?
Il Comune deve mettere da parte 200 milioni di euro l’anno per cinque anni (200milioni x 5 anni = 1 miliardo). Al massimo, se la stima sulla possibile condanna è di un risarcimento di 800 milioni il Ragioniere Generale dovrà “bloccare” 160 milioni annui per un quinquennio.

Tutto questo perché esiste il cosiddetto “legittimo affidamento”: il fatto cioè che il soggetto proponente “legittimamente” nutra “fiducia” verso il buon esito della sua proposta visto che la Pubblica Amministrazione l’ha portata avanti.

Anche perché – va ricordato – la Pubblica Amministrazione ha il brutto viziaccio di procedere per carte bollate. Ovvero: non è che il primo che si sveglia, si alza e dice “facciamo così”. Ci sono procedure che vanno rispettate. Fra queste, nel nostro caso, c’è il fatto che Penelope e la sua tela vanno bene nell’Odissea ma non nelle trattative su Tor di Valle.
Scendendo dal letterario al pratico: se tu tratti con la Roma tutti i giorni o quasi, ogni giorno di trattative – fossero pure tempestose come può capitare ed è capitato – rafforzano la posizione della Roma sotto il profilo del “legittimo affidamento”. E non puoi mentre di giorno tratti, di sera tramare per cancellare l’opera. Perché poi la Roma cattiva ti porta in Tribunale ed è assai probabile che ti faccia a fette.

Se il Comune, legittimamente, decidesse di revocare il progetto Stadio, ha un iter specifico da seguire. Chiaro e netto e analogo a quello seguito per approvarlo.
Primo: scrive una formale PEC alla Roma comunicando, “ai sensi dell’articolo 21 quinquies della legge 241/90” di voler “revocare il pubblico interesse al progetto Stadio” di Tor di Valle e che, pertanto, “con la presente” si interrompono formalmente i colloqui per la “stesura della Convenzione urbanistica” e, “contestualmente” si avvieranno le procedure di revoca, cioè delibera di Giunta e seguente voto del Consiglio comunale. Si ricorda, infatti, che solo l’organo che ha emanato un provvedimento è legittimato a revocarlo, quindi, visto che le delibere di pubblico interesse sono state votate dal Consiglio, sarà il Consiglio a doverle revocare.
Che poi ci si veda in Tribunale per gli indennizzi, questo è cosa più o meno pacifica.





Art. 21-quinquies. (Revoca del provvedimento)

1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo.

1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico.

Art. 21-nonies. (Annullamento d'ufficio)

1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.

2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.

2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.




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