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In questo blog mi dedico a guardare con occhio maliziosamente indipendente ciò che accade a Roma - e qualche volta anche nel resto del mondo - soprattutto attraverso ciò che della mia città raccontano i quotidiani. Generalmente prendo in considerazione i tre quotidiani più importanti per vendite e diffusione nella Capitale: Corriere della Sera, La Repubblica e il Messaggero. A volte troveranno spazio anche gli altri quotidiani, la cui lettura è comunque sempre accurata.

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sabato 2 marzo 2019

BAGNACANI: "IL COMUNE VUOL FAR FALLIRE AMA"


Non l’ha certo toccata piano, Lorenzo Bagnacani, ex Ad di Ama, ascoltato ieri mattina in Commissione Ambiente alla Regione Lazio: le difficoltà all’azienda sono state create a tavolino, si stanno aprendo le porte alla privatizzazione, il famoso buco da 18 milioni di euro (il casus belli della querelle fra la Giunta e il management aziendale) non basta a generare questa situazione e l’assessore al Bilancio, Gianni Lemmetti, chiede in modo irrituale di eliminare questi 18 milioni. E, ancora: l’Ama ha potenzialità ma a condizione di costruire impianti e di incassare i soldi che il Comune le deve. Un piccolo terremoto cui si aggiungono altre considerazioni espresse da Bagnacani al commissari regionali: la prima riguarda quella che l’ex Ad ha definito la “sinergia” fra il Campidoglio e il Collegio dei Sindaci, quello che prima aveva approvato il bilancio 2017 approvato a marzo 2018 e, subito dopo, l’aveva bocciato aprendo di fatto la strada alla crisi. 
Questo è uno degli elementi centrali della lunga e molto tecnica relazione Bagnacani: “Fino a maggio inoltrato non abbiamo ricevuto alcun feedback rispetto al bilancio proposto. Questi feedback sul piano informale cominciano ad arrivare a giugno e indicano che non c’è convinzione da parte dell’azionista (il Campidoglio, ndr) sui crediti cimiteriali. L’azienda ha fornito ogni dettaglio di documentazione su questi 18 milioni che sono crediti accumulati dal 2008 al 2016, approvati di anno in anno in tutti i bilanci di Ama, compreso quello del 2016, quando c’era già questo azionista che lo ha approvato. Fin da subito abbiamo capito che questa partita, esigua nei numeri, stava assumendo una portata strana che andava compresa e dovevamo essere ineccepibili e per questo abbiamo fatto periziare i numeri dal professor Bussoletti, che ci disse che il credito era certo, liquido ed esigibile”. Poi, la svolta: “Il 23 agosto 2018 arriva una lettera irrituale firmata da Lemmetti in cui, sul progetto di bilancio dice riferendosi ai 18 milioni, di ‘procedere a eliminare tale posta, trattandosi di crediti che Roma Capitale ai sensi dell’allora vigente contratto di servizio non riconosce’. Perché? Perché sì”.
Le dichiarazioni di Bagnacani si spostano, quindi, su un piano di lettura politico: se osserviamo la dinamica dei fatti per casualità si sta forse andando in un percorso dove il fatto che Ama rimarrà pubblica può essere messo in discussione. Immaginandoci due bilanci consecutivi da approvare allo stesso momento: con il bilancio 2017 è in perdita, se anche quello 2018 venisse chiuso in perdita, qualora l’azionista denunciasse l’inefficienza dell’azienda, la delibera 52/2015 del Comune apre la porta a una eventuale privatizzazione di Ama. La delibera 52 citata da Bagnacani era quella di Marino che, a determinate condizioni, apriva a una forma di privatizzazione di Ama, un testo che la Giunta Raggi si era impegnata a modificare senza mai andare oltre le chiacchiere.
Poi Bagnacani gira il coltello nel ventre molle della politica grillina sui rifiuti, quello degli impianti: “Senza investire l’azienda non si salva. Avevamo previsto un piano che prevedeva 13 impianti per Roma che avrebbero reso la città in grado di chiudere il ciclo dei rifiuti nel perimetro di Ama. Fare impianti significa assumere delle decisioni, prendere delle scelte. Avevamo pensato anche a emettere dei bond per finanziare questi progetti, esplorando il mercato per non ricorrere alle banche. Ci sono 230 milioni di crediti che Ama vanta verso il Comune, che sono iscritti a bilancio da diverso tempo e mai sono stati pagati. Se venissero pagati non avremmo più bisogno di linee bancarie e l’azienda smetterebbe di pagare milioni di interessi all’anno che vanno a incidere sulla Tari”.

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