Ho deciso di
aggiungere una parte importante all'ultima riflessione sulla vicenda Stadio (leggi qui),
contestazioni, De Rossi, Pallotta e la simpatia e così via.
Cosa intendo
per mancata empatia di Pallotta e di questa dirigenza.
La prima cosa
che mi viene in mente è, oltre ad ovvi errori di gestione della squadra,
l’inverosimile quantità di errori clamorosi di comunicazione. Errori
in merito a cosa dire, a come dirlo, a quando
dirlo. A volte sono ricorse tutte e tre le specifiche - cosa, come e quando
- altre solo una.
L’elenco è
lungo e sicuramente non esaustivo: ne avrò dimenticate chissà quante e citerò
solo quelle che mi vengono in mente senza dover fare una ricerca di archivio.
LA GESTIONE DELLA SQUADRA
Non mi
soffermerò sugli errori di gestione della squadra, intendendo con essi
l’assetto globale dell’intero staff tecnico e dei giocatori: fanno parte del
gioco, visto che comunque alla fine uno solo vince e tutti gli altri perdono.
Quindi, non parlerò della vendita di quel calciatore o dell’acquisto di
quell’altro. L’unica cosa che mi pare di poter ravvisare è quella di una
sostanziale carenza di “piano B”.
Mi spiego: Rudi
Garcia, a un certo punto, non è più riuscito a mettere in campo la squadra. La
ricerca del sostituto è stata tardiva e abbiamo perso una fetta di obiettivi
possibili.
Di Francesco,
lo stesso. Quando si pianifica una stagione, a mio parere, deve esistere una
sorta di “linea Maginot” dei risultati e, contemporaneamente, per quanto possa
apparire poco piacevole per chi c’è, anche un piano di riserva per non buttare
nel cesso una stagione cercando di salvarla quando è troppo tardi.
E veniamo agi errori di comunicazione.
TOTTI
E DE ROSSI
La fine della
carriera di campioni eccezionali è di per sé un trauma per chiunque.
Se poi quei campioni sono due bandiere, avendo militato in una sola
squadra, è ancora peggio. In più sono esponenti emblematici della città
stessa, sono stati i capitani della squadra di fatto per
oltre un ventennio.
Gestirne
l’addio sarebbe stato difficile e complicato per chiunque.
E questa
società ha commesso ogni errore possibile in entrambe le vicende. Con Totti,
per giunta, ha saputo creare le condizioni per cui il fardello del
trattamento di Totti sia finito addosso a Spalletti che, a torto o a
ragione, ha gestito il passaggio dagli scarpini alle oxford, bruciando
definitivamente il nome del Mister che a Roma difficilmente potrà rimettere
piede.
Con De Rossi
c’è l’aggravante del non aver proprio saputo gestire il tutto, per giunta dopo
l’esperienza avuta con Totti: il messaggio che è passato è che non si è
riusciti neanche a discutere con lui del suo contratto. Un capolavoro.
STADIO
Sullo Stadio di
Tor di Valle la quantità di errori è ancor più devastante: annunci
trionfalistici, chiamate alle armi cadute più o meno nel vuoto, totale distacco
dalla tifoseria di cui è mancato completamente il coinvolgimento. E non
puoi pensare di chiamare alla armi chi fino a ieri non hai mai neanche degnato
di uno sguardo.
DIRIGENTI
Non entro nel
merito delle competenze. Sicuramente Baldissoni, Fienga, Massara sono
eccellenti dirigenti. Ma, o sono per lo più ignoti, neanche
conoscendone i visi o il tono della voce, o riescono ad essere l’esatto
contrario di qualcuno con cui voler condividere una serata. Forse un corso
accelerato di comunicazione non guasterebbe.
TIFOSI
Le barriere e i
lancia cori all’Olimpico, il distacco dalla Curva - attenzione, non dai gruppi
organizzati ma dal calore della Curva - il totale mancato coinvolgimento della
tifoseria nelle scelte di base hanno esacerbato gli animi.
LE
USCITE DI PALLOTTA
Intempestive,
mal tradotte spesso (e spesso appositamente mal tradotte), peggio spiegate
hanno finito per scavare un solco difficile da colmare. Un solco che sembra aver
scelto lo Stadio come epitome: te frega solo dooosssadio!
DAL
SOGNO ALLA DELUSIONE
Questi sono
solo alcuni esempi di errori, non è un elenco: sarebbe tedioso e inutile. Del
resto, molti errori sono ripetitivi a dimostrazione, se non altro, di una certa
coerenza!
Tutto questo,
dopo sette anni, ha prodotto uno scollamento enorme fra i tifosi e la
proprietà/dirigenza.
È qualcosa che
a Roma abbiamo già visto: successe con Dino Viola, poi con
Franco Sensi,
solo per citare i presidenti vittoriosi degli ultimi decenni.
Tralasciamo gli
altri.
C’è
un’aggravante: voluta o meno, questa dirigenza è stata presentata e si
è presentata come la certezza del futuro. Meglio, di un radioso, luminoso e
vittorioso futuro.
E, diciamocelo,
noi romani abbiamo un po’ fatto la figura di quei pezzenti tipo Alberto Sordi
che “america’ america’”: ci sembrava finalmente arrivato quel premio
per tante amarezze, quel presidente impaccato di soldi, pronto ad aprire il
portafogli e a prendere un anno Messi e quello dopo Cristiano Ronaldo
(sono esempi, ndr). Dimentichi delle regole del Fair Play Finanziario - che, è
vero, non a tutti vengono applicate nello stesso modo ma è come con gli
arbitri… più ti agiti più fa male… - ci aspettavamo le vittorie.
Che non sono
arrivate. C’era il progggggetto, quello tanto caro a Zoro. E la
pazienza è andata avanti per un bel po’. Ora sembra finita perché da Luis
Enrique e le sue delusioni siamo passati a Rudi Garcia e le sue, poi a
Spalletti, poi a Di Francesco, poi a Ranieri. In mezzo con la parentesi di
Zeman e Andreazzoli.
Guardando la
cosa con l’occhio del tifoso che vorrebbe vincere sempre e comunque, siamo
rimasti con un pugno di mosche in mano.
SHAKESPEARE
Scrive William
Shakespeare, uno che di tragedie se ne intende: il male che gli uomini compiono sopravvive loro, il bene spesso viene sepolto
con le loro ossa.
Oggi, una fetta
di tifosi vede solo il male. E il bene l’ha dimenticato dietro l’ultimo
striscione.
Non so quanti
sono questi tifosi che protestano. Non penso siano la maggioranza, anzi. Credo
siano solo una minoranza molto rumorosa e molto ben organizzata. Ma certo non è
che la maggioranza silenziosa gradisca vedere sempre gli altri che vincono.
Sarebbe facile
ricordare sempre un paio di cose:
1. in ogni sport, uno solo vince.
2. quell’Arcadia favoleggiata con nostalgia è stata altrettanto avara di
vittorie
3. Dall’arrivo di questa dirigenza, abbiamo conseguito tre volte il secondo
posto in campionato, due volte terzi, e due volte sesti (nel conto sul sesto
posto c’è già inclusa anche questa stagione). Il che si è tradotto in una
stabile presenza in Champions League per un quinquennio consecutivo con 3 volte
il raggiungimento degli ottavi e una semifinale. Per chi ama le statistiche,
riguardarsi bene cosa successe con altri presidenti, comunque anche loro
contestati all’epoca.
4. Quelli che vincono in Europa hanno bilanci che fanno impallidire il nostro.
Le entrate del Real Madrid sono superiori di 4 volte quelle della Roma, vale a
dire che per ogni milione di euro che noi incassiamo, il Real ne ha incassati
4. E Barcellona, Bayern più le Inglesi stanno a livelli che noi possiamo solo
sognarci.
CONCUSIONE
Chiarisco un
concetto che dovrebbe essere ovvio ma forse non lo è: chi non fa, non
sbaglia. Ed è facile mettersi a pontificare seduti da un comodo divano ed è
difficile per chi arriva dopo una serie di Presidenti amanti e padri/padroni
della Società pensare di poter chiudere una stagione che è, in realtà, la
storia della As Roma fino al 2012 e cambiare la mentalità da una famiglia a
un’azienda, per usare un’espressione romantica - la prima - e una - la seconda
- molto stelle e strisce.
Di errori,
perciò, né sono stati compiuti a decine, centinaia. Alcuni più gravi, altri più
lievi ma la cui somma globale costituisce quel macigno che
solo una sequenza di grande Ds, grande allenatore, grande campagna acquisti e,
si spera, conseguente grande vittoria può rimuovere.
Aggiungo
un’ultima riflessione: l’aver commesso questi errori è stato
costantemente sfruttato da chi si è schierato contro questa dirigenza.
C’è
qualcosa, una sorta di contropotere occulto che si occupa
di far sopravvivere il male e sotterrare il bene compiuto,
amplificando il primo e anestetizzando il secondo.
È
quella poltiglia grigiastra e appiccicosa, dalla consistenza
fangosa e odorante di discarica composta da qualche puparo
radiofonico, qualche mezza figura del mondo del giornalismo,
qualche ex dell’ambiente degli spogliatoi oggi traslato a
opinionista, l’opaco mondo di certi soggetti che occupano in alternanza
un seggiolino allo Stadio e uno strapuntino a Regina Coeli.
Costoro
godono di una rete di relazioni di cui sarebbe sciocco negare l’importanza e
stranamente sono gli stessi che considerano questa poltiglia come una figura
mitologica, l’ambiente romano.
Come
spesso accade, costoro sono animati sicuramente da un grande amore per
questa squadra, sarebbe idiota disconoscere questo amore, ma anche da tangibili
interessi, a partire dalla gestione di un potere che prima avevano e che
oggi provano a riacquisire dopo che gli è stato loro sottratto proprio da
questa Società, da questa dirigenza.
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