“Considerato che il 31 dicembre 2016 è scaduta la concessione, dal 1 gennaio 2017 dovete pagare il canone originario”. Cordiali saluti e tirate fuori 211mila euro al mese, invece dei 5.500 che pagavate prima. Firmato, Dipartimento Sport del Campidoglio.
Nuova puntata nella spettacolare querelle che oppone il Comune di Roma alla Hippogroup, storica società che, da oltre 72 anni, gestisce l’ippodromo di Capannelle, il più grande impianto sportivo di proprietà del Campidoglio.
La storia affonda le radici lontano nel tempo: fino al 17 aprile 2018 era in vigore il vecchio regolamento per gli impianti sportivi comunali. Nel vecchio testo era previsto che, a fronte di investimenti economici per il miglioramento degli impianti, le concessioni venissero prorogate. Una proroga, di fatto, d’ufficio e quasi automatica ma che passava per l’ok con il voto in Consiglio comunale. Ad aprile di quest’anno entra in vigore il nuovo regolamento, predisposto dai 5stelle, che annulla di fatto questo sistema di proroghe. In mezzo, ci restano impigliati molte società che avevano ottenuto il via libera iniziale agli investimenti, accendendo mutui, ma cui mancava l’ok finale del Consiglio comunale. Insomma, come per Hippogroup, società rimaste in mezzo al guado pur avendo, ad esempio, “accolto” nel 2014, le gare di trotto “eredità” dell’ippodromo di Tor di Valle, e investendo, fra il 1998 e il 2016, ben 24,4 milioni di euro.
Foto 1 - La lettera di rettifica del canone |
Insieme a questo stato di difficoltà, si aggiunge anche il crollo dell’ippica che, negli anni, si è via via ridotta sempre più ai margini dello sport “ricco” con la conseguente crisi economica di molte società. Hippogroup compresa che, per Capannelle, chiede e ottiene dal Tribunale un concordato preventivo (uguale a quello chiesto dai 5Stelle per l’Atac). Il Tribunale, indica anche il canone annuo che Hippogroup deve pagare al comune: 66mila euro.
Nel frattempo, a novembre 2017 il Campidoglio diffida la Hippogroup a riconsegnare le chiavi dell’impianto entro il 19 maggio di quest’anno.
Ovviamente, la Hippogroup ricorre al Tar e questo ricorso finisce per spaventare il Campidoglio tanto che lo stesso funzionario che aveva intimato lo sfratto alla Hippogroup emana un nuovo provvedimento con il quale “si sospende in via cautelare l’efficacia” dello sfratto.
I botta e risposta, però, proseguono: da una parte il Campidoglio promette e si mostra disponibile verso la Hippogroup, dall’altra vengono protocollati atti che vanno in direzione opposta alle parole. L’esempio, ultimo, è proprio questo del canone con la lettera di adeguamento che disattende le promesse di mantenere a 66mila euro il canone annuo da versare nelle casse comunali.
Questo scollamento sostanziale fra gli uffici tecnici e gli uffici politici dell’Assessorato allo Sport ha costretto il Campidoglio a spedire in tutta fretta, a fine agosto, una lettera urgente al Ministero delle Politiche agricole per evitare lo stop alle corse. Il Ministero, infatti, non essendo più in vigore la convenzione fra Comune e Hippogroup, era obbligato a interrompere l’attività sportiva. Il che avrebbe condannato all’immediata chiusura l’impianto. Quindi, il Comune ha scritto in fretta e furia al Ministero segnalando come i gestori non siano occupanti abusivi ma “che l’Ippodromo delle Capannelle rimane nella disponibilità della Hippogroup fino alla definizione del ricorso al Tar”. Il tutto per evitare il “pregiudizio che l’interruzione delle corse di trotto e galoppo” avrebbe potuto comportare “al settore ippico internazionale”.
Ora siamo alla nuova puntata: la richiesta di ripristino del canone di affitto che, ovviamente, appare più come un modo per i dirigenti comunali di evitare il rischio, un domani, di essere chiamati a rispondere di danno erariale di fronte alla magistratura contabile.
In Campidoglio è maturata una consapevolezza: alla fine, il rischio è che se Hippogroup “mollasse” davvero l’Ippodromo, il Campidoglio si troverebbe a dover amministrare un impianto enorme, già soggetto ad atti vandalici da parte degli abitanti nel vicino campo rom di La Barbuta. Un costo, mezzo milione di euro al mese, che le esauste casse del Comune non potrebbero mai sostenere.
C’è anche un problema che riguarda il Ministero delle Politiche agricole - da cui dipende tutto il settore dell’ippica - che sta lentamente strangolando le società di gestione degli ippodromi. È la decisione - presa sotto il Governo Renzi (marzo 2016) dall’allora ministro, Maurizio Martina, e dal sottosegretario, Giuseppe Castiglione - di dare il via alla “classificazione degli ippodromi ai fini della loro remunerazione”. In sostanza, il Governo decise di avviare una sorta di censimento degli ippodromi che sarebbero stati divisi in varie categorie legando i contributi alla categoria di assegnazione del singolo ippodromo. Praticamente tutte le società di corse impugnarono questo decreto ministeriale (681/16) la cui applicazione venne prudentemente sospesa dallo stesso ministro Martina (governo Gentiloni, dicembre 2016) per l’intero anno 2017. L’avvicinarsi delle elezioni del 2018 ovviamente fagocita un po’ tutto e tutti, per cui il decreto rimane in vigore determinando una situazione paradossale: tutte le società di corse italiane stanno esercitando il compito di concessionari dello Stato nella raccolta delle scommesse e nell’organizzazione delle corse senza che vi siano autorizzazioni o contratti formali e, per giunta, senza conoscere l’ammontare del compenso spettante.
Di conseguenza, non vengono emesse fatture e, alla fine del giro, da gennaio 2018 a oggi nessuna di queste società ha incassato un euro dal Ministero in remunerazione del proprio lavoro.
Foto 2 - La nota stampa delle Società di gestione degli ippodromi d'Italia |
Non a caso, meno di una settimana fa, tutte le società di gestione degli ippodromi hanno lanciato un allarme: “restano indeterminati i tempi in ordine alla fatturazione e al pagamento” da parte del Ministero mettendo “a serio rischio l’operatività degli ippodromi italiani che stanno svolgendo la propria attività dal 1 gennaio senza un contratto, esponendo i loro amministratori a rischi civilistici e penali. Le Società di Corse - scrivono in una nota i gestori degli ippodromi italiani - che da dieci mesi non percepiscono soldi, non sono più in grado di far fronte agli impegni finanziari ed ai costi di esercizio e di gestione che devono anticipare per sostenere per la regolare prestazione dei servizi”.
Nessun commento:
Posta un commento