Quattro i principali nodi da sciogliere nella partita sullo Stadio che sta andando in onda in questi giorni fra la Roma e il Gruppo Parnasi da una parte e il Comune dall'altra.
La dichiarazione di “interesse pubblico”
Per poter realizzare lo Stadio occorre in primo luogo che il Comune, con una delibera di Assemblea Capitolina, dichiari l’”interesse pubblico” dell’opera. Le norme che regolano questa dichiarazione sono contenute nel comma 305 dell’articolo 1 della Legge di Stabilità 2014 (ex legge finanziaria, 147/2013). Si legge testualmente che, per poter accedere alle agevolazioni di cui la Roma e Parnasi vorrebbero avvalersi, “Gli interventi sono realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti o relativamente a impianti localizzati in aree già edificate”.
A Roma, com’è noto, esistono già il Flaminio e l’Olimpico.
Se per il Flaminio esistono oggettivi problemi - capienza e sicurezza - che rendono l’impianto non utilizzabile, si può affermare che la pessima visibilità degli incontri di calcio che si ha all’Olimpico sia ragione sufficiente per sostenere la dichiarazione di pubblica utilità del nuovo impianto di Tor di Valle? Migliorare la visibilità, legittimo e sacrosanto obiettivo della Roma e dei suoi tifosi, è effettivamente una ragione di pubblico interesse?
Le compensazioni: equo compenso o speculazione edilizia?
I proponenti del progetto asseriscono che la costruzione dello Stadio (e delle sue pertinenze: Hall of Fame, negozio Nike, centro Broadcasting, negozi, uffici a servizio dello Stadio e a servizio di terzi) non è sufficiente a ripagare il costo delle opere pubbliche necessarie a collegare lo Stadio con il resto della città. Queste opere di urbanizzazione (ponte sul Tevere, metropolitana, strade, fogne, parcheggi) costano 270 milioni mentre i proponenti possono “metterne” solo 50. A coprire questi 220 milioni mancanti (260 compresi gli oneri aggiuntivi) servono altri metri cubi (910 mila) per realizzare un Business Park (uffici, negozi, ristoranti, due hotel, etc etc) che compensi questo investimento e lo renda economicamente sostenibile.
Si tratta di una speculazione edilizia velata dalla costruzione dello Stadio oppure della vera necessità di rendere fattibile economicamente l’intero complesso, così come le norme (il comma 304 dell’articolo 1 della legge di Stabilità 2014) stabiliscono?
Questo è forse l’elemento principale per determinare l’interesse pubblico del Comune a che l’opera si realizzi o meno, usufruendo delle agevolazioni procedimenti previste dalla legge di Stabilità.
L’accessibilità allo Stadio
È uno dei grandi nodi da sciogliere: come arrivare allo Stadio.
L’assessore all’Urbanistica, Giovanni Caudo, ha a più riprese, evidenziato la necessità che l’accesso dei tifosi allo Stadio debba essere garantito con la metropolitana.
Ma quale metropolitana? E con quale progetto? Parliamo di un tram leggero? O di una metro vera e propria?
In realtà il Comune non ha alcun progetto, nemmeno abbozzato, di sviluppo trasportistico su ferro in quella zona. Caudo si limita a dire: “la nostra (del Comune) condizione è chiara: allo stadio bisogna poter arrivare in metropolitana”.
Solo che: come? Con la linea B? Con la Roma-Lido di Ostia? O usando il trenino per Fiumicino Aeroporto?
Le ipotesi accademiche sviluppate in via orale da funzionari capitolini parlano di due possibili soluzioni: la prima, sulla Roma-Lido. La seconda, sulla Metro B.
Per la Roma-Lido si tratterebbe di costruire un “tronchino” in superficie di tre binari da Magliana a Tor di Valle. Spesa circa 10 milioni, fattibilità semplice in quanto le aree sono quasi tutte pubbliche e libere. Inconveniente? I trasbordi: a parte chi vive sulla linea, tutti gli altri residenti entro il GRA dovrebbero prenderla a Piramide poi scendere a Magliana aspettando la partenza dei treni. Quindi, già almeno un trasbordo con attesa. Se poi si vive in prossimità della linea B, occorre scendere a Piramide e da lì aspettare la partenza del trenino fino a Magliana. Quindi, secondo trasbordo. Non parliamo poi se si vive altrove: se sei sulla linea A, ti tocca arrivare a Termini, poi prendere la B, poi il trenino. E siamo a 3. Se poi, infine, ti tocca pure l’autobus per arrivare alla linea A… fai prima con la macchina. E, in più, la Roma-Lido di Ostia è di proprietà della Regione e diviene “poco elegante” fare la spesa in casa d’altri. Inoltre, a maggio scorso, dalla Regione si era ventilata l’ipotesi di cedere far subentrare ad Atac i francesi di Ratp nella gestione della tratta in cambio di 250 milioni di euro.
Ipotesi metro B: molto più onerosa, almeno almeno 100 milioni di euro e con tempi di realizzazione non semplici da ipotizzare. Si tratta di creare uno “sfioccamento con ‘salto del montone’” (citazione testuale!) a Magliana. In sostanza, si farebbe come a Bologna per la B1: uno scambio.
Per la felicità dei romani che hanno già sperimentato sulla loro pelle cosa questo comporti.
Ma non basta. Poiché fra la fermata con scambio e lo Stadio c’è un fascio di binari. Questo dovrebbe essere saltato (il “salto del montone”, appunto) con un ponte (più facile e meno costoso) oppure con un sottovia (molto meno facile e molto, molto più oneroso).
In entrambi i casi, poi, rimarrebbero aperti alcuni quesiti. Quando non ci sono né partite né eventi, con queste tratte ferroviarie, cosa ci si fa? Chi si occuperebbe della manutenzione? E i treni a servizio di queste tratte? Ne vanno comprati altri? O si usano quelli già esistenti? E, se se ne comprano altri, chi li paga?
E, ancora: sia la Roma-Lido che la metro B sono infrastrutture vecchie, la B progettata durante il Fascismo, la Roma-Lido addirittura prima. E sono già oltre il limite, tanto che si rompono con grande frequenza. Sarebbero, quindi, in grado di assorbire questo nuovo appesantimento del servizio? E che accadrebbe se si rompessero proprio in occasione delle partite o di un evento?
Infine, quindi, perché mai dovrebbe essere la Roma e il Gruppo Parnasi a farsi carico e promotore di una progettualità così complessa quando il Comune non ha mai neanche buttato su carta un’ipotesi credibile?
I parcheggi
Altro grande nodo, quello dei parcheggi. Due le problematiche. La prima riguarda i parcheggi ipotizzati per il complesso Stadio e la seconda, più di carattere normativo che funzionale, per quelli ipotizzati per il Business Park aggiuntivo.
Andiamo per ordine: i promotori del progetto identificano come necessari agli standard minimi circa 181mila e 500 metri quadri di superficie. Sia a raso che multipiano. Il primo nodo riguarda proprio i multipiano. Non è specificato se interrati o meno. In caso di parcheggi interrati, da 6 anni a questa parte, l’orientamento del Comune è di esprimere parare negativo ai parcheggi multipiano interrati per ragioni di sicurezza, di manutenzione e pulizia.
Il secondo punto, concerne, come detto, i parcheggi pertinenziali al Business Park, cioè all’area di cubature aggiuntiva necessaria, per i proponenti, al raggiungimento dell’equilibrio economico e finanziario del progetto.
Nel progetto si legge che in questo caso sarebbero necessari solo 35mila e spicci metri quadri di aree destinate al parcheggio, poiché il sistema negozi/uffici del Business Park usufruirebbe anche delle aree di parcheggio dello Stadio che rimangono vuote quando non ci sono partite o eventi.
Pur essendo una considerazione abbastanza logica (tranne nell’ipotetico caso in cui un match si disputi in orari in cui uffici e negozi sono ancora aperti), rimane il fatto che le norme (art. 7 delle Norme Tecniche del PRG, punto 14 e legge Tognoli) prevedono che ogni edificio di questo genere abbia i propri parcheggi indipendentemente da ciò che lo circonda.
Infine, nella sezione trasporti e mobilità del progetto, a pagina 20, i promotori, considerando il massimo afflusso possibile allo stadio, ipotizzano 13.400 posti auto gratuiti, 10.300 posti a 5 euro a partita e 7.300 posti a 10 euro a partita. In totale, quindi, per ogni incontro si incasserebbero 124mila e 500 euro. Ma chi li metterebbe in tasca? Il Comune? La proprietà dello Stadio? Tutti e due insieme a percentuale? Anche quest’ultimo, può essere un elemento per comprendere la “pubblica utilità” dell’opera.
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