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In questo blog mi dedico a guardare con occhio maliziosamente indipendente ciò che accade a Roma - e qualche volta anche nel resto del mondo - soprattutto attraverso ciò che della mia città raccontano i quotidiani. Generalmente prendo in considerazione i tre quotidiani più importanti per vendite e diffusione nella Capitale: Corriere della Sera, La Repubblica e il Messaggero. A volte troveranno spazio anche gli altri quotidiani, la cui lettura è comunque sempre accurata.

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martedì 20 gennaio 2015

SEMPRE CARO MI FU QUELL'ERMO COLLE

PICCOLO RETROSCENA DELLO PSICODRAMMA LAZIALE

Piovve, alla fine. La manovra del Gruppo di Forza Italia finisce in un clamoroso autogol: passa ∫, grillino, che diviene il delegato (in quota opposizione) del Lazio per l'elezione del prossimo Presidente della Repubblica.



Per chi non lo sapesse, il Capo dello Stato viene eletto dal Parlamento (Camera e Senato) riunito in seduta comune. Ai 630 deputati e 315 senatori (più quelli a vita) si sommano i delegati delle Regioni.

 Ogni Regione esprime 3 delegati (tranne la Valle d'Aosta che ne ha uno solo), per prassi due per la maggioranza che governa la Regione e uno per l'opposizione. Nel Lazio, quindi, i delegati saranno il presidente della Regione, Nicola Zingaretti, il presidente del Consiglio regionale, Daniele Leodori, le due cariche più importanti della Regione, entrambi in quota maggioranza e Pd. Il terzo delegato, appunto, sarà Gianluca Perilli, consigliere del Gruppo Movimento 5 Stelle. 

Ora, in termini numerici, l'opposizione conta 22 consiglieri su 50 (51 compreso il presidente Zingaretti) di cui 7 dei 5 Stelle (gruppo consiliare singolo più consistente) e 15 che fanno capo (più o meno) all'area di centrodestra, frazionati in vari gruppi.
Sulla carta, quindi, se il centrodestra avesse espresso una posizione unitaria, non ci sarebbe stata partita.
Invece, alla fine, ha prevalso, con un mezzo colpo di teatro, un candidato minoritario: 10 voti sono andati a Perilli, 9 a Cangemi (NCD e candidato di bandiera del centrodestra), 2 schede bianche, un assente.

Il tutto nasce - almeno sulla base di dichiarazioni ufficiali - dal fatto che il Gruppo di Forza Italia ha ritenuto inadatto a ricoprire il ruolo di grande elettore l'ex governatore del Lazio, ex ministro della Salute ed candidato sconfitto da Zingaretti nella scorsa tornata delle Regionali.
Inadatto - sempre secondo i sentito dire - perchè Storace non sarebbe stato in grado di garantire il voto a scatola chiusa a favore o contro i voleri dei vertici nazionali del partito. Certo, la versione della condanna per vilipendio del Capo dello Stato (comminata a Storace in primo grado) è, soprattutto in un Parlamento che pullula di condannati (anche in via definitiva) e di indagati, un'ottima foglia di fico!

Negli ultimi due giorni Storace ha lanciato messaggi vari e trasversali. Praticamente rimasti inascoltati.

Oggi, il redde rationem nel più classico "fra i due litiganti, il terzo gode".
Storace ha dimostrato di poter bene o male orientare un totale di cinque voti, senza considerare l'assenza di De Lillo.

Chi ha manovrato per bruciare Storace è rimasto a sua volta bruciato.

La questione vera, però, è "perché". 
Perché bruciare un candidato, Storace, che, forse, per il 15%, avrebbe potuto non garantire un voto di disciplina per sceglierne uno, Cangemi, che al 100%, essendo NCD parte integrante della coalizione di governo che sostiene Renzi, avrebbe votato un'indicazione che poteva non essere coincidente con quella di Forza Italia?
Perché rischiare invece una rottura interna del centrodestra già di suo lacerato, garantendo - ciò che è poi avvenuto - che alla fine trionfasse il candidato grillino?

Da qualsiasi parte la si guardi, questa è una scelta politica miope e sciocca: nessun vantaggio immediato e, al contrario, rischi altissimi di sconfitta. 

E, attenzione, la sconfitta non è solo numerica. In fondo, parliamo di un delegato che starà alla Camera qualche giorno, farà un paio di interviste (se gli va bene), e poi sarà una scheda su 1.009. 
È una sconfitta politica, che dimostra pochezza di pensiero, scarsa lungimiranza, incapacità programmatoria. 

Ora, con una manovra d'aula di grande furbizia, il conto è stato presentato. 

Se il centrodestra intende davvero ricompattarsi, il messaggio dovrebbe essere giunto a destinazione. 

Adesso è il momento di seppellire l'ascia di guerra: l'incidente lascerà poche tracce visibili, ma è un (ennesimo) campanello d'allarme.
Chi oggi porta a casa il risultato del delegato all'elezione del Quirinale, dopo la retorica dei festeggiamenti, torni coi piedi per terra e comprenda che il regalo è una manna piovuta dai litigi interni di altri. La libertà non c'entra nulla.

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