Caso mascherine fantasma a parte, con i suoi strascichi di veleni politici, c’è anche un altro caso che rischia di esplodere nel Lazio dopo la Lombardia e la Toscana. Quello dei tamponi che si potevano fare e la cui mancanza ha effetto sulle Residenze Sanitarie Assistite (RSA) che divengono facilmente focolai per il Covid.
Spiega Antonello Aurigemma, consigliere regionale di Fratelli d’Italia: “Ci sono una serie di documenti, di email e Pec, da cui risulta come la Regione a fronte della possibilità di utilizzare i laboratori privati, abbiamo preferito non farlo aggravando la situazione invece che alleviandola. C’è una circolare del Ministero della Salute che spiega come sia fondamentale eseguire i tamponi al personale sanitario. I degenti nelle RSA sono praticamente reclusi dall’inizio della pandemia senza poter vedere nessuno. Quindi, i contagi non possono essere avvenuti attraverso i contatti inesistenti con persone esterne alle strutture. Ecco perché era e resta fondamentale che la Regione si muova e faccia i tamponi. È sorprendente vedere come negli elenchi delle determine regionali per fronteggiare l’emergenza ci siano acquisti ingenti di mascherine ma solo 150mila tamponi”.
E, a sostegno della sua segnalazione, Aurigemma esibisce i documenti: il 2 aprile la sezione sanità dell’Unione Industriali spedisce una Pec al presidente della Regione, Nicola Zingaretti e all’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, con cui viene offerta la disponibilità dei “laboratori privati accreditati di tutto” il Lazio ad “eseguite i tamponi e i test ai cittadini”. Secondo gli industriali, questa possibilità avrebbe alleggerito “le strutture pubbliche, migliorando i tempi e la sicurezza degli operatori sanitari”. Non solo. Ma, aggiungeva Unindustria “saremo anche in grado di organizzare rapidamente l’effettuazione degli esami presso il domicilio del paziente nel rispetto di tutte le procedure di sicurezza”.
La risposta della Regione, sei giorni dopo, è gelida: “sono pervenute segnalazioni in merito a strutture private autorizzate proponenti in regime privatistico a prezzi esorbitanti test per il Covid”. Detto da una Regione che arriva a pagare 7 euro e mezzo una mascherina FFP2.
Poi si entra nel merito. Per i tamponi nasofaringei c’è “disponibilità limitata dei test” e “carenze nella disponibilità dei reagenti” ma il problema più grosso è che costano: “69,88 euro” a carico del Servizio Sanitario regionale, per cui “le strutture sanitarie autorizzate come laboratori analisi, seppure con settori specializzati in citogenetica e biologia molecolare, non sono autorizzate a fare tamponi”.
Però si potrebbero fare i test sul sangue. Qui però mancano dei “protocolli definiti a livello nazionale e regionale” quindi i laboratori privati che li fanno lo dovranno fare in “regime privatistico” ovvero, paga il paziente e il Servizio Sanitario non rimborsa. C’è anche il costo che la Regione stima congruo “per evitare fenomeni speculativi": 20 euro per il test rapido con il sangue capillare e 45 per quello con il prelievo in vena.
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