Trentuno pagine che sono una mazzata. Non tanto al lavoro svolto dalla Procura, quanto al metodo seguito dal Giudice per le Indagini preliminari (GIP) e poi dal Tribunale del Riesame nel (mal) valutare gli elementi probatori a carico di Marcello De Vito, Camillo Mezzocapo, Gianluca Bardelli e Fortunato Pititto, i quattro indagati e, poi, finiti in carcere o ai domiciliari, nell’ambito dell’Inchiesta “Congiuntura Astrale”, ovvero la costola delle indagini della Procura che nasce dalla vicenda Scarpellini confluita poi nel fascicolo “Rinascimento” a carico di Luca Parnasi, alcuni suoi collaboratori, Luca Lanzalone e altri politici, sullo sfondo del progetto Stadio della Roma di Tor di Valle.
Le trentuno pagine le hanno vergate i giudici della Corte di Cassazione, quindi l’organo supremo della magistratura ordinaria. La sentenza pubblicata integralmente a questo link - numero 1343 del 2019; camera di consiglio dell’11 luglio e depositata in cancelleria il 19 agosto - esamina l’intera vicenda che ha portato alle misure di privazione della libertà personale di De Vito, presidente dell’Assemblea Capitolina e uomo di punta del Movimento 5Stelle a Roma; l’avvocato Mezzocapo, che di De Vito è socio di studio. Più gli altri due esponenti del mondo grillino, Bardelli e Pititto.
LA CASSAZIONE ANNULLA L’ORDINANZA DI ARRESTO
I Giudici di ultima istanza sconfessano totalmente l’operato del GIP e del Tribunale del Riesame di Roma, rinviando a quest’ultimo le posizioni di De Vito e Mezzocapo, e annullando senza rinvio le misure cautelari a carico di Bardelli e Pititto.
Senza rinvio, vuol dire che i due tornano liberi direttamente.
Con rinvio, vuol dire che il Tribunale del Riesame dovrà rifare la propria ordinanza ma tenendo conto dei rilievi mossi dalla Cassazione alla prima emessa il 3 aprile scorso (e che confermava gli arresti e l’impianto accusatorio così come uscito dalle ordinanza emesse dal GIP).
In sostanza, o la Procura porterà a questa nuova udienza (fissata per il prossimo 10 settembre) nuove e molto più consistenti prove che il Riesame dovrà attentamente vagliare, oppure De Vito e Mezzocapo torneranno in libertà. Con la possibilità, neanche troppo improbabile, che di lì a poco, De Vito riprenda a condurre i lavori dell’Aula Giulio Cesare.
Vediamo, allora, un po’ più nel dettaglio i rilievi mossi dagli “ermellini” al lavoro svolto da Procura, GIP e Tribunale del Riesame.
CASSAZIONE: SEPARAZIONE FRA INQUIRENTI E GIUDICI
Partiamo da una considerazione che i Giudici esprimono in un passaggio fondamentale (pag. 29): “nella logica del codice vigente, il procedimento di applicazione delle misure cautelari è informato alla netta separazione dei ruoli tra soggetto istante e organo decidente” - ovvero fra Procura (soggeto istante) e GIP e Riesame (organo decidente) - “a significare, cioè, che spetta al pubblico ministero il potere-dovere di richiedere la misura, con il supporto dell’allegazione degli elementi sui cui la stessa si fonda, cui si correla il potere-dovere del giudice di provvedere con un atto motivato”.
Ovvero: il PM, se le prove lo supportano, ha il potere e il dovere di chiedere le misure di privazione della libertà personale di un indagato, ma il giudice ha il potere-dovere di vagliare queste prove e non è che pedissequamente prende e firma i mandati di arresto.
CASSAZIONE: NON È REATO DIALOGO FRA POLITICI E IMPRENDITORI
Non solo. Stigmatizzano i Supremi Giudici: la discutibile “pressoché automatica criminalizzazione del livello di interlocuzione fra un imprenditore, interessato a un progetto di ampio respiro e di notevole esborso economico, ed un soggetto appartenente alla maggioranza politica che dovrà valutare il progetto medesimo”.
Ovvero: non è che il semplice fatto che un imprenditore e un politico se parlino ne fa automaticamente dei criminali.
E, infatti, aggiungono gli ermellini: “il paradigma della corruzione richiede che l’atto oggetto di mercimonio rientri nelle specifiche competenze del pubblico ufficiale corrotto ovvero comunque nella sfera di influenza dell’ufficio cui il predetto è assegnato, per l’effetto in grado di esercitare una qualsivoglia forma di ingerenza”.
Vale a dire: la corruzione non è data da una chiacchierata ma dal fatto che l’atto da corrompere debba essere corruttibile dal pubblico ufficiale. Insomma, io imprenditore che corrompo, devo corrompere qualcuno che possa effettivamente intervenire e darmi una mano.
Questi tre elementi - poteri-doveri del giudice nel valutare le prove; non è corruzione un dialogo fra politici e imprenditori; e, infine, perché vi sia corruzione si deve corrompere qualcuno che possa intervenire concretamente - rendono la posizione del De Vito “corrotto” decisamente poco realistica.
L’APPROVAZIONE DELLA DELIBERA RAGGI SULLO STADIO
Infatti, a pagina 24, i Giudici affermano che, “in relazione alla realizzazione dello Stadio della Roma”, l’”atto contrario ai doveri d’ufficio” compiuto - secondo la Procura e il GIP e il Riesame - da De Vito andrebbe identificato “nell’aver il De Vito presieduto l’Assemblea del 14 giugno 2017, esprimendo in quella sede il proprio voto favorevole all’approvazione del progetto medesimo e alle connesse varianti di PRG (avvenuta con 28 voti favorevoli e 9 contrari)”.
Ora, sin dall’inizio, è apparso semplicemente un mostro giuridico imputare come reato al Presidente di un’Assemblea elettiva come è De Vito il compimento dei propri doveri connessi con la funzione svolta: il presidente non determina l’iter di una delibera, né il calendario dei lavori che viene deciso dalla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari (la capigruppo).
E certo, non poteva essere il voto di De Vito determinante ai fini dell’approvazione del provvedimento visto che questo aveva ricevuto - su 37 voti espressi - ben 29 a favore e solo 9 contro, ovvero c’erano ben altri 10 voti favorevoli che resero quello di De Vito assolutamente ininfluente ai fini dell’approvazione della Delibera di pubblico interesse sullo Stadio (Delibera di Assemblea Capitolina - DAC - 32/2017).
Non mancano, infatti, i giudici di sottolineare questo passaggio: “la ricordata seduta”, scrivono a pagina 25, “del 14 giugno 2017 - presieduta da De Vito coerentemente alla veste istituzionale propria - interviene all’esito di un già apprezzabile iter procedurale scandito, dopo la presentazione del progetto oltre 3 anni prima sotto la sindacatura Marino e una prima dichiarazione di pubblico interesse dell’opera da parte della Giunta del tempo (in realtà dell’Assemblea Capitolina, delibera 132/2014; ndr), da una convergente dichiarazione pubblica in tal senso del sindaco Raggi e dalla successiva adozione di una collimante delibera di Giunta cui avevano fatto seguito i pareri positivi delle Commissioni permanenti e del IX Municipio interessato dell’esecuzione del progetto, prima della seduta” del 14 giugno 2017.
Non solo. I giudici vanno più in profondità e sottolineano in modo molto netto come la votazione della delibera Raggi sul pubblico interesse (DAC 32/2017) si avvenuta senza che siano state prodotte prove che testimonino “l’inopinato mutamento di linea” da parte dei Pentastellati né “un’attività da parte di De Vito” volta o a “scongiurare siffatta ipotesi” di cambio di linea politica o a favorire “gli interessi del privato”.
Insomma, secondo la Cassazione, non esistono prove che De Vito abbia esercitato né un potere di alterazione dell’atto, né una forma di coercizione/convincimento verso i consiglieri del proprio gruppo, né abbia fatto altro che svolgere le proprie funzioni di presidente del Consiglio comunale guidando i lavori dell’Assemblea che approvò la Delibera Raggi che aveva avuto un iter “apprezzabile”.
PERCHÉ DE VITO È IN CARCERE, ALLORA?
E, allora, come mai De Vito è finito in carcere?
Anche qui, i Giudici danno una sferzata piuttosto pesante alle ricostruzioni degli organi inquirenti e dei giudici di prima istanza.
Scrivono gli ermellini: “l’incipit” dell’Ordinanza di arresto firmata dal GIP e successivamente convalidata dal Riesame, si richiama al “metodo Parnasi” e al “gruppo criminale Parnasi”. E, effettivamente, “l’erogazione di denaro in occasione di elezioni” o la “messa a disposizione ai politici di varie altre utilità” può essere “finalizzata all’instaurazione e concretizzazione di vere e proprie pratiche correttive” ma questa “circostanza non può risolversi in un automatico pre-giudizio alla stregua del quale orientare la lettura di tutti i fatti successivi” perchè occorre, soprattutto “in funzione dell’emissione di un provvedimento cautelare”, che esso sia supportato da “una provvista indiziaria che assicuri una qualificata probabilità di colpevolezza” nel giudizio.
A dimostrazione di questa posizione molto netta, la Cassazione scrive che “le dichiarazioni rilasciate da Parnasi” riassunte a pagina 22 non hanno il “valore confessorio dell’esistenza di un patto corruttivo [...] attribuito ad esse dai giudici capitolini” visto che “non rispecchia l’obiettivo tenore delle stesse potendo pertanto riconnettersi solo ad un’operazione interpretativa che assegni loro una portata “addomesticata”” che non è suffragata da “ulteriori dati indiziari”.
Volendo tradurla in maniera spiccia, i soggetti che hanno operato prima della Cassazione, hanno “addomesticato” le dichiarazioni di Parnasi, con un’”operazione interpretativa” che “non rispecchia l’obiettivo tenore” di ciò che Parnasi ha detto.
TUTTI FUORI?
Come detto all’inizio, già sono stati annullati i provvedimenti di restrizione della libertà personale emessi nei confronti di Bardelli e Pititto. Per De Vito e Mezzocapo, invece, dovrà pronunciarsi nuovamente il Riesame il prossimo 10 settembre. Quindi, per quell’epoca, o la Procura avrà portato prove molto più solide di una “operazione interpetativa” non suffragata da “ulteriori dati indiziari” delle dichiarazioni di Parnasi “addomesticate” oppure anche gli ultimi due inquisiti saranno rimessi in libertà.
CONSEGUENZE POLITICHE
In attesa della nuova pronuncia del Riesame, quindi, si possono già tracciare alcune considerazioni “politiche” sulla vicenda.
La prima, di ordine politico-giudiziario-mediatico: una persona sottoposta a indagine è colpevole dopo il processo. Quanto meno quello di primo grado, se non si vuole aspetta il compimento dell’intero iter processuale con i suoi gradi di giudizio. E, quando un’inchiesta deflagra, tanto i giornalisti quanto chi legge dovrebbe sempre ricordarsi che intercettazioni, stralci, veline, audio, sono parte solo del sistema messo su dall’accusa. Manca sempre la voce degli accusati che non hanno mai spazio per difendersi. E che, troppo spesso, inchieste roboanti all’inizio si sono sgonfiate in dibattimento come i peggiore dei sufflè.
E questo vale anche per quegli (ignobili) personaggetti politici che, non avendo nulla altro di meglio da dire, vivono per ghigliottinare pubblicamente gli inquisiti al primo sussurro. Salvo poi piangere amare lacrime di coccodrillo quando capita anche a loro di cambiare la posizione e finire sul banco degli imputati, silenziati e aggrediti mediaticamente da altri personaggetti politici di sempre più infimo calibro.
Seconda considerazione: se De Vito tornasse un cittadino libero a tutti gli effetti, avrebbe tutto il diritto di rientrare in Aula Giulio Cesare non solo come consigliere comunale ma nella sua veste di presidente dell’Assemblea. Sarà interessante vedere, in questo caso, cosa accadrà, quali saranno i rapporti con la Giunta (che l’ha prontamente abbandonato al primo tintinnar di manette) e con i consiglieri suoi colleghi di partito.
Terza considerazione, sullo Stadio. Al netto delle problematiche inerenti gli accordi con il Campidoglio sulle opere pubbliche, questa sentenza - se sarà confermata la liberazione di De Vito - smonta in maniera fortissima l’operato della Procura: mancano le prove in un’inchiesta che, per altro stando a quanto dichiarato pubblicamente e con gli atti dalla Procura stessa, non aveva mai toccato in alcun modo l’iter approvativo dello Stadio di Tor di Valle. Quanto meno per De Vito. Quindi, quella fetta di antistadio - ciarliere associazioni di consumatori, consiglieri comunali in cerca di quindici minuti di visibilità, presunte tavolate di urbanisti con e senza ex assessori, omuncoli dell’etere romano, vecchie glorie del giornalismo sulla via del bollito ripassato, rane, mentori degli allagamenti di Tor di Valle, ufologi, terrapiattisti e utilizzatori della pancetta e della panna nella Carbonara - potrà continuare a condurre la propria battaglia ma usando altre armi e non quella dell’iter corrotto.