giovedì 29 agosto 2019

IN ARRIVO ALTRI 97 BUS PER ATAC


Saranno 97, da 12 metri a 2 porte, a gasolio euro 6 e saranno acquistati dal Comune di Roma sulla piattaforma Consip, come i famosi 227, 80 dei quali arrivati e presentati svariate volte dal sindaco, Virginia Raggi. Parliamo dei bus che andranno a rimpinguare le sempre più esauste rimesse di Atac. E che Atac non pare in grado di comprare da sola, finendo per essere sostituita dal Campidoglio.
E sei i 30 milioni di euro che serviranno a pagare questa tranche di vetture usciranno dai capitoli del bilancio comunale 2019-2021, sono stati stanziati altri 30 milioni, con l’assestamento di bilancio approvato a inizio estate scorsa, che verranno impiegati per acquistare una terza fornitura di vetture. 
Non ancora comunicato ufficialmente quando queste vetture inizieranno a girare ma difficilmente li vedremo sulle strade cittadine prima della primavera del 2020. E,  visto il precedente dei 227 della prima gara Consp (avrebbero già dovuto essere tutti operativi e invece siamo a mala pena un terzo consegnati) forse è pure una previsione ottimistica. Per altro, quelle già arrivate continuano a manifestare problemi: porte bloccate, spie e indicatori accesi. Tanto che dai monitoraggi online, nei giorni scorsi sugli 80 bus Consip arrivati, una ventina abbondante risultavano in servizio sostituitivo sulla metro A in occasione delle chiusure per lavori e una quarantina sul resto delle linee. All’appello online mancavano una quindicina circa di vetture legittimando il sospetto che fossero già finite in officina per riparazioni.
In ogni modo, l’arrivo futuro di questi 97 bus porta con sé due considerazioni: senza il costante supporto economico del Campidoglio, Atac sarebbe già fallita anche con tutto il concordato preventivo. Se non paga il Comune, Atac non pare in grado di condurre a compimento gare d’appalto di questa portata. Il ricorso a Consip, però, non è proprio a buon mercato: secondo una serie di inchieste e di lamentele avanzate dalle Regioni, il ricorso a Consip costa mediamente quasi il 18% in più di quanto si spenderebbe con gare d’appalto dirette. 
Seconda questione: l’arrivo di queste vetture, unite ai 227 ancora in corso di consegna, va solo a completare la quota parte di competenza del Campidoglio per rispettare i termini del concordato preventivo. Infatti, l’annuncio del Comune di stanziare altri 30 milioni per acquistare nuove vetture - si vedrà in futuro quante e di quale tipo - sposta, e di molto, in alto l’asticella della partecipazione diretta del Comune nel supporto all’Atac concordataria. 
Soliti toni roboanti da parte del sindaco, Virginia Raggi, che parla di “ulteriore passo avanti per il rilancio del trasporto pubblico, dopo l’arrivo dei nuovi bus ordinati nel 2018”. 
Tenore analogo per l’assessore alla Mobilità, Linda Meleo: “questo nuovo ordine ci permette di rinnovare il parco vetture e presto con gli altri 30 milioni di euro a disposizione potremo ordinarne altri sulla piattaforma Consip”. 
Pare quasi cattiveria ricordare le splendide affermazioni sui 600 autobus già comprati e pronti ad arrivare che il sindaco Raggi elargì all’attonita platea dei supporter grillini giusto un paio d’anni fa. 

PARCO D’ABRUZZO, L’ORSETTO SPAVENTATO NON SI TROVA PIÙ




F08, per gli amici guardiaparco, Sebastiana. È il nome che le Guardie del Parco Nazionale d’Abruzzo hanno dato a un’orsa marsicana, un esemplare di circa 15 anni di età e che da qualche giorno tiene in apprensione i Carabinieri Forestali e l’intera équipe del Parco. Sabato notte scorso, Sebastiana e i suoi tre cuccioli sono scesi nelle strade di Pescasseroli, il centro in provincia dell’Aquila “capitale” del Parco. Era trascorsa da poco l’una di notte ma qualche persona in giro ancora c’era. E quando Sebastiana e i suoi tre marmocchi sono passati di fronte al Municipio, una macchina ha iniziato a seguirli: abbaglianti accesi per illuminare meglio la scena e, per giunta, musica a tutto volume. Insomma, il più classico dei poveri di spirito irrispettosi della natura e delle sue meraviglie ha finito per spaventare Sebastiana e prole. Che si sono divisi: mamma e un piccolo da una parte e gli altri due cuccioli dall’altra.
Da allora, è scattata una sorta di grande “caccia all’orso”: 6 squadre del Parco, inclusi i Carabinieri Forestali di giorno e una di notte, in giro con enormi binocoli a perlustrare le aree dove Sebastiana è solita aggirarsi.
Intanto i cuccioli hanno continuato, di notte, a girare per le stradine del paese, finendo per essere nuovamente intercettati da altri curiosi. 
L’ultimo aggiornamento - confermato dall’équipe scientifica del Parco - è che al quarto giorno uno dei due cuccioli disperso si è riunito con la madre. Ma dell’altro ancora non si hanno notizie. 
E questo è un problema. Spiega Roberta Latini, biologa del Parco: “Normalmente succede che madre e figlio possano separarsi, anche per qualche giorno. Ma i ricongiungimenti noti raramente avvengono dopo il quattordicesimo giorno di lontananza”.
Insomma, cinque giorni sono già passati e ne mancano 9. La popolazione di orsi del Parco è stimata in “una cinquantina di esemplari, più o meno equamente ripartiti fra maschi e femmine”. E Sebastiana è una gran mamma: “di solito fra una gravidanza e l’altra passano almeno due, spesso 3 e a volte anche 4 anni. Sebastiana, invece, è al secondo parto annuale consecutivo. L’anno scorso come quest’anno ha dato alla luce tre cuccioli”. 
I tre “orsacchiotti” hanno più o meno 8 mesi e non sono ancora stati censiti, quindi non è dato sapere il sesso. 
“Otto mesi - spiega ancora la dottoressa Latini - è l’età in cui gli orsi iniziano a diventare autosufficienti. Quindi, al limite, il cucciolo di cui ancora non si hanno tracce potrebbe anche riuscire a cavarsela da solo. Ma è chiaro che le possibilità non sono alte. La mortalità fra li orsi marsicani, più o meno analogamente a quanto riferito nella letteratura scientifica relativa ad altri gruppi, si attesta fra un 30 e un 50%. Un cucciolo con la madre ha molte più chance di sopravvivere”. I loro predatori naturali, i lupi che nel Parco sono di casa, vengono raddoppiati dai cani. “Qualche tempo fa abbiamo avuto un caso di recupero di un cucciolo, per altro, anche più piccolo perché aveva solo 5 mesi. Lo abbiamo tenuto nella riserva e fatto crescere e poi reimmesso in natura. Ha anche superato l’inverno ma in primavera si è avvicinato troppo a uno stazzo ed è stato ucciso dai cani da guardia”.
Negli ultimi anni, nel Parco Nazionale d’Abruzzo si sono verificate numerose nascite, quanto meno quelle controllate: 10 nati nel 2016, 11 nel 2017 e 12 lo scorso anno. 
Per evitare ulteriori “traumi”, le autrorità del Parco hanno ricordato alla popolazione - turisti e residenti - che seguire gli orsi, animali attivi principalmente al crepuscolo e di notte, in macchina è vietato. In caso di avvistamenti, è attivo nelle ore notturne un numero di pronto intervento 800010905 e, di giorno, si può contattare il servizio di sorveglianza del Parco, 08639113241.





mercoledì 28 agosto 2019

ARRIVA IL TETTO PER IL CENTRALE DEL TENNIS



Il “Centrale del Tennis” del Foro Italico si avvia ad avere una copertura. Lo ha deciso la Giunta Raggi che, ieri, ha approvato una delibera congiunta dei Dipartimenti Sport e Urbanistica, che, nell’ambito di una pluriennale valorizzazione del quadrante Stadio e Foro Italico, prevede un futuro concorso internazionale di progettazione per realizzare la copertura del campo da tennis sul quale si disputano gli Internazionali di Roma.
Molti ancora i passaggi da completare per un iter, quello della valorizzazione, iniziato nel lontano 2005: si parte con la firma di un protocollo di intesa fra Campidoglio, Coni, la nuova Sport & Salute (che ha preso il posto della vecchia Coni Servizi nella gestione di tutto il complesso del Foro Italico e dello Stadio Olimpico), Ministero per i Beni culturali e Regione Lazio. 
A questo è servita la delibera approvata ieri in Campidoglio, ad autorizzare il Sindaco alla firma di questo protocollo di intesa con il quale ognuno dei soggetti coinvolti si impegna “ciascuno per le proprie competenze, a porre in essere i procedimenti, le iniziative e le attività idonee” alla “riqualificazione architettonica e funzionale” del Centrale del Tennis. Il “progetto perseguirà obiettivi di alta qualità architettonica e urbana, prevedendo la realizzazione di una copertura mobile in grado di garantire un pieno utilizzo dell’impianto polivalente al coperto allineandosi agli standard prestazionali richiesti” dalle federazioni internazionali di tennis e “consentendo in tal modo alla città di Roma di poter continuare ad ospitare il Torneo Internazionale del circuito ATP”.
Ciascun Ente coinvolto ha il proprio ruolo: il Comune assicurerà “ogni necessario supporto allo svolgimento delle attività tecniche e amministrative”; Sport & Salute, oltre che pagare, sarà impegnata a produrre i documenti preliminari per la redazione del progetto. Il Ministero, attraverso la Soprintendenza, dovrà effettuare una “valutazione dei vincoli” che gravano sull’intero complesso del Foro Italico e a lavorare per identificare la “più idonea” procedura utile a garantire “un’alta qualità architettonica” della ristrutturazione. Un po’ più sfumati i compiti di Regione (“piena collaborazione per le attività tecniche e amministrative”) e del Coni (“massima collaborazione e pieno sostegno istituzionale”).
Roboante il canonico post su facebook del sindaco, Virginia Raggi: “Abbiamo dato via libera a una delibera che prevede la valorizzazione architettonica di un polo strategico dello sport a Roma”, scrive, sorvolando sull’inizio - Veltroni sindaco, anno 2005 - di questa “valorizzazione architettonica”. Seguono i ringraziamenti di rito a “Daniele Frongia, assessore allo Sport, e all’assessore all'Urbanistica, Luca Montuori, per aver lavorato a questo obiettivo”. 
Spiega, poi, il Sindaco: “A breve sottoscriveremo un protocollo d'intesa con Ministero per i beni e le attività culturali, Regione Lazio, Coni, Sport e Salute Spa: quest'ultima società farà partire un concorso di progettazione internazionale per la riqualificazione del Foro Italico, che tenga conto dei suoi caratteri originari, garantisca un'alta qualità architettonica e preveda la copertura mobile del Centrale”.
Il vero banco di prova di questo intervento sarà proprio il rispetto dei “caratteri originari” del Foro Italico, ideato e realizzato dall’architetto Enrico Del Debbio, fra la fine degli anni ‘20 e l’inizio degli anni ‘30 del secolo scorso, pur se completato dopo la guerra.


lunedì 26 agosto 2019

STADIO; ANALISI DELLA SENTENZA DELLA CASSAZIONE SU DE VITO

Trentuno pagine che sono una mazzata. Non tanto al lavoro svolto dalla Procura, quanto al metodo seguito dal Giudice per le Indagini preliminari (GIP) e poi dal Tribunale del Riesame nel (mal) valutare gli elementi probatori a carico di Marcello De Vito, Camillo Mezzocapo, Gianluca Bardelli e Fortunato Pititto, i quattro indagati e, poi, finiti in carcere o ai domiciliari, nell’ambito dell’Inchiesta “Congiuntura Astrale”, ovvero la costola delle indagini della Procura che nasce dalla vicenda Scarpellini confluita poi nel fascicolo “Rinascimento” a carico di Luca Parnasi, alcuni suoi collaboratori, Luca Lanzalone e altri politici, sullo sfondo del progetto Stadio della Roma di Tor di Valle.

Le trentuno pagine le hanno vergate i giudici della Corte di Cassazione, quindi l’organo supremo della magistratura ordinaria. La sentenza pubblicata integralmente a questo link - numero 1343 del 2019; camera di consiglio dell’11 luglio e depositata in cancelleria il 19 agosto - esamina l’intera vicenda che ha portato alle misure di privazione della libertà personale di De Vito, presidente dell’Assemblea Capitolina e uomo di punta del Movimento 5Stelle a Roma; l’avvocato Mezzocapo, che di De Vito è socio di studio. Più gli altri due esponenti del mondo grillino, Bardelli e Pititto. 

LA CASSAZIONE ANNULLA L’ORDINANZA DI ARRESTO
I Giudici di ultima istanza sconfessano totalmente l’operato del GIP e del Tribunale del Riesame di Roma, rinviando a quest’ultimo le posizioni di De Vito e Mezzocapo, e annullando senza rinvio le misure cautelari a carico di Bardelli e Pititto. 
Senza rinvio, vuol dire che i due tornano liberi direttamente. 
Con rinvio, vuol dire che il Tribunale del Riesame dovrà rifare la propria ordinanza ma tenendo conto dei rilievi mossi dalla Cassazione alla prima emessa il 3 aprile scorso (e che confermava gli arresti e l’impianto accusatorio così come uscito dalle ordinanza emesse dal GIP). 
In sostanza, o la Procura porterà a questa nuova udienza (fissata per il prossimo 10 settembre) nuove e molto più consistenti prove che il Riesame dovrà attentamente vagliare, oppure De Vito e Mezzocapo torneranno in libertà. Con la possibilità, neanche troppo improbabile, che di lì a poco, De Vito riprenda a condurre i lavori dell’Aula Giulio Cesare.

Vediamo, allora, un po’ più nel dettaglio i rilievi mossi dagli “ermellini” al lavoro svolto da Procura, GIP e Tribunale del Riesame.

CASSAZIONE: SEPARAZIONE FRA INQUIRENTI E GIUDICI
Partiamo da una considerazione che i Giudici esprimono in un passaggio fondamentale (pag. 29): “nella logica del codice vigente, il procedimento di applicazione delle misure cautelari è informato alla netta separazione dei ruoli tra soggetto istante e organo decidente” - ovvero fra Procura (soggeto istante) e GIP e Riesame (organo decidente) - “a significare, cioè, che spetta al pubblico ministero il potere-dovere di richiedere la misura, con il supporto dell’allegazione degli elementi sui cui la stessa si fonda, cui si correla il potere-dovere del giudice di provvedere con un atto motivato”. 


Ovvero: il PM, se le prove lo supportano, ha il potere e il dovere di chiedere le misure di privazione della libertà personale di un indagato, ma il giudice ha il potere-dovere di vagliare queste prove e non è che pedissequamente prende e firma i mandati di arresto.

CASSAZIONE: NON È REATO DIALOGO FRA POLITICI E IMPRENDITORI
Non solo. Stigmatizzano i Supremi Giudici: la discutibile “pressoché automatica criminalizzazione del livello di interlocuzione fra un imprenditore, interessato a un progetto di ampio respiro e di notevole esborso economico, ed un soggetto appartenente alla maggioranza politica che dovrà valutare il progetto medesimo”. 
Ovvero: non è che il semplice fatto che un imprenditore e un politico se parlino ne fa automaticamente dei criminali. 



E, infatti, aggiungono gli ermellini: “il paradigma della corruzione richiede che l’atto oggetto di mercimonio rientri nelle specifiche competenze del pubblico ufficiale corrotto ovvero comunque nella sfera di influenza dell’ufficio cui il predetto è assegnato, per l’effetto in grado di esercitare una qualsivoglia forma di ingerenza”.
Vale a dire: la corruzione non è data da una chiacchierata ma dal fatto che l’atto da corrompere debba essere corruttibile dal pubblico ufficiale. Insomma, io imprenditore che corrompo, devo corrompere qualcuno che possa effettivamente intervenire e darmi una mano.

Questi tre elementi - poteri-doveri del giudice nel valutare le prove; non è corruzione un dialogo fra politici e imprenditori; e, infine, perché vi sia corruzione si deve corrompere qualcuno che possa intervenire concretamente - rendono la posizione del De Vito “corrotto” decisamente poco realistica.



L’APPROVAZIONE DELLA DELIBERA RAGGI SULLO STADIO
Infatti, a pagina 24, i Giudici affermano che, “in relazione alla realizzazione dello Stadio della Roma”, l’”atto contrario ai doveri d’ufficio” compiuto - secondo la Procura e il GIP e il Riesame - da De Vito andrebbe identificato “nell’aver il De Vito presieduto l’Assemblea del 14 giugno 2017, esprimendo in quella sede il proprio voto favorevole all’approvazione del progetto medesimo e alle connesse varianti di PRG (avvenuta con 28 voti favorevoli e 9 contrari)”.



Ora, sin dall’inizio, è apparso semplicemente un mostro giuridico imputare come reato al Presidente di un’Assemblea elettiva come è De Vito il compimento dei propri doveri connessi con la funzione svolta: il presidente non determina l’iter di una delibera, né il calendario dei lavori che viene deciso dalla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi consiliari (la capigruppo). 
E certo, non poteva essere il voto di De Vito determinante ai fini dell’approvazione del provvedimento visto che questo aveva ricevuto - su 37 voti espressi - ben 29 a favore e solo 9 contro, ovvero c’erano ben altri 10 voti favorevoli che resero quello di De Vito assolutamente ininfluente ai fini dell’approvazione della Delibera di pubblico interesse sullo Stadio (Delibera di Assemblea Capitolina - DAC - 32/2017).
Non mancano, infatti, i giudici di sottolineare questo passaggio: “la ricordata seduta”, scrivono a pagina 25, “del 14 giugno 2017 - presieduta da De Vito coerentemente alla veste istituzionale propria - interviene all’esito di un già apprezzabile iter procedurale scandito, dopo la presentazione del progetto oltre 3 anni prima sotto la sindacatura Marino e una prima dichiarazione di pubblico interesse dell’opera da parte della Giunta del tempo (in realtà dell’Assemblea Capitolina, delibera 132/2014; ndr), da una convergente dichiarazione pubblica in tal senso del sindaco Raggi e dalla successiva adozione di una collimante delibera di Giunta cui avevano fatto seguito i pareri positivi delle Commissioni permanenti e del IX Municipio interessato dell’esecuzione del progetto, prima della seduta” del 14 giugno 2017.



Non solo. I giudici vanno più in profondità e sottolineano in modo molto netto come la votazione della delibera Raggi sul pubblico interesse (DAC 32/2017) si avvenuta senza che siano state prodotte prove che testimonino “l’inopinato mutamento di linea” da parte dei Pentastellati né “un’attività da parte di De Vito” volta o a “scongiurare siffatta ipotesi” di cambio di linea politica o a favorire “gli interessi del privato”.
Insomma, secondo la Cassazione, non esistono prove che De Vito abbia esercitato né un potere di alterazione dell’atto, né una forma di coercizione/convincimento verso i consiglieri del proprio gruppo, né abbia fatto altro che svolgere le proprie funzioni di presidente del Consiglio comunale guidando i lavori dell’Assemblea che approvò la Delibera Raggi che aveva avuto un iter “apprezzabile”.


PERCHÉ DE VITO È IN CARCERE, ALLORA?
E, allora, come mai De Vito è finito in carcere?
Anche qui, i Giudici danno una sferzata piuttosto pesante alle ricostruzioni degli organi inquirenti e dei giudici di prima istanza.
Scrivono gli ermellini: “l’incipit” dell’Ordinanza di arresto firmata dal GIP e successivamente convalidata dal Riesame, si richiama al “metodo Parnasi” e al “gruppo criminale Parnasi”. E, effettivamente, “l’erogazione di denaro in occasione di elezioni” o la “messa a disposizione ai politici di varie altre utilità” può essere “finalizzata all’instaurazione e concretizzazione di vere e proprie pratiche correttive” ma questa “circostanza non può risolversi in un automatico pre-giudizio alla stregua del quale orientare la lettura di tutti i fatti successivi” perchè occorre, soprattutto “in funzione dell’emissione di un provvedimento cautelare”, che esso sia supportato da “una provvista indiziaria che assicuri una qualificata probabilità di colpevolezza” nel giudizio.



A dimostrazione di questa posizione molto netta, la Cassazione scrive che “le dichiarazioni rilasciate da Parnasi” riassunte a pagina 22 non hanno il “valore confessorio dell’esistenza di un patto corruttivo [...] attribuito ad esse dai giudici capitolini” visto che “non rispecchia l’obiettivo tenore delle stesse potendo pertanto riconnettersi solo ad un’operazione interpretativa che assegni loro una portata “addomesticata”” che non è suffragata da “ulteriori dati indiziari”.



Volendo tradurla in maniera spiccia, i soggetti che hanno operato prima della Cassazione, hanno “addomesticato” le dichiarazioni di Parnasi, con un’”operazione interpretativa” che “non rispecchia l’obiettivo tenore” di ciò che Parnasi ha detto. 

TUTTI FUORI?
Come detto all’inizio, già sono stati annullati i provvedimenti di restrizione della libertà personale emessi nei confronti di Bardelli e Pititto. Per De Vito e Mezzocapo, invece, dovrà pronunciarsi nuovamente il Riesame il prossimo 10 settembre. Quindi, per quell’epoca, o la Procura avrà portato prove molto più solide di una “operazione interpetativa” non suffragata da “ulteriori dati indiziari” delle dichiarazioni di Parnasi “addomesticate” oppure anche gli ultimi due inquisiti saranno rimessi in libertà.

CONSEGUENZE POLITICHE
In attesa della nuova pronuncia del Riesame, quindi, si possono già tracciare alcune considerazioni “politiche” sulla vicenda. 
La prima, di ordine politico-giudiziario-mediatico: una persona sottoposta a indagine è colpevole dopo il processo. Quanto meno quello di primo grado, se non si vuole aspetta il compimento dell’intero iter processuale con i suoi gradi di giudizio. E, quando un’inchiesta deflagra, tanto i giornalisti quanto chi legge dovrebbe sempre ricordarsi che intercettazioni, stralci, veline, audio, sono parte solo del sistema messo su dall’accusa. Manca sempre la voce degli accusati che non hanno mai spazio per difendersi. E che, troppo spesso, inchieste roboanti all’inizio si sono sgonfiate in dibattimento come i peggiore dei sufflè.
E questo vale anche per quegli (ignobili) personaggetti politici che, non avendo nulla altro di meglio da dire, vivono per ghigliottinare pubblicamente gli inquisiti al primo sussurro. Salvo poi piangere amare lacrime di coccodrillo quando capita anche a loro di cambiare la posizione e finire sul banco degli imputati, silenziati e aggrediti mediaticamente da altri personaggetti politici di sempre più infimo calibro.

Seconda considerazione: se De Vito tornasse un cittadino libero a tutti gli effetti, avrebbe tutto il diritto di rientrare in Aula Giulio Cesare non solo come consigliere comunale ma nella sua veste di presidente dell’Assemblea. Sarà interessante vedere, in questo caso, cosa accadrà, quali saranno i rapporti con la Giunta (che l’ha prontamente abbandonato al primo tintinnar di manette) e con i consiglieri suoi colleghi di partito.


Terza considerazione, sullo Stadio. Al netto delle problematiche inerenti gli accordi con il Campidoglio sulle opere pubbliche, questa sentenza - se sarà confermata la liberazione di De Vito - smonta in maniera fortissima l’operato della Procura: mancano le prove in un’inchiesta che, per altro stando a quanto dichiarato pubblicamente e con gli atti dalla Procura stessa, non aveva mai toccato in alcun modo l’iter approvativo dello Stadio di Tor di Valle. Quanto meno per De Vito. Quindi, quella fetta di antistadio - ciarliere associazioni di consumatori, consiglieri comunali in cerca di quindici minuti di visibilità, presunte tavolate di urbanisti con e senza ex assessori, omuncoli dell’etere romano, vecchie glorie del giornalismo sulla via del bollito ripassato, rane, mentori degli allagamenti di Tor di Valle, ufologi, terrapiattisti e utilizzatori della pancetta e della panna nella Carbonara - potrà continuare a condurre la propria battaglia ma usando altre armi e non quella dell’iter corrotto.      

domenica 25 agosto 2019

STADIO, ECCO LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE SU DE VITO

Di seguito, integrale, la sentenza numero 1343 del 11 luglio 2019, pronunciata dalla Sesta sezione penale della Corte di Cassazione - presidente, Luigi Di Stefano; relatore, Andrea Tronci; collegio, Maria Silvia Giorgi, Antonio Costantini, Pietro Silvestri - sul ricorso depositato dai legali di Marcello De Vito, Camillo Mezzocapo, Gianluca Bardelli e Fortunato Pititto, contro l’Ordinanza del 3 aprile 2019 del Tribunale della Libertà di Roma.

La sentenza è stata depositata in cancelleria il 19 agosto 2019

La sentenza annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone l’immediata liberazione di Gianluca Bardelli e Fortunato Pititto, mentre per De Vito e Mezzocapo la Corte dispone il rinvio al Tribunale del Riesame per una nuova deliberazione.

sabato 24 agosto 2019

NON PAGA L’AFFITTO DAL ‘50, IL COMUNE LO SGOMBERA


Trent’anni: tanti ce ne sono voluti al Comune per rientrare in possesso di un locale a Testaccio, occupato - stando a quanto afferma sulla propria pagina facebook il sindaco, Virginia Raggi - abusivamente dal 1950 e oggetto di una serie di ordinanze di sgombero fin dal lontano 1989. 
Nell’anno di grazia 2019, secondo quanto riferisce il Comando della Polizia locale, escamotage e ricorsi sono finiti e, finalmente, i vigili, nei giorni scorsi, hanno potuto procedere al reintegro del locale al patrimonio comunale. 
Trent’anni, appunto, fatti di ricorsi, passaggi di proprietà, cambi di denominazione per un’autocarrozzeria in via Caio Cestio, a Testaccio. 
Nel 1989 iniziano le procedure di rilascio dell’immobile. Che, però, finiscono per incagliarsi nel più classico esempio di italica burocrazia: il ricorso. Procedura, tutto sommato, semplice: partiva l’ordinanza di sgombero, arrivava il ricorso e, poi, si cambiava società o intestatario. E il giochino finiva in qualche modo per ricominciare. E di ricorso in ricorso, di grado di giudizio in grado di giudizio, sono trascorsi 30 anni prima che la giustizia mettesse un punto fermo a questa vicenda. Intanto, a Palazzo Senatorio, si sono succeduti ben 9 Sindaci - Pietro Giubilo; Franco Carraro; Francesco Rutelli primo e secondo mandato; Walter Veltroni, primo e secondo mandato; Gianni Alemanno; Ignazio Marino e, infine, Virginia Raggi - e 6 Commissari straordinari - Angelo Barbato, Alessandro Voci, Aldo Camporota, Enzo Mosino, Mario Morcone e Francesco Paolo Tronca - tre Papi (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco), 6 inquilini del Quirinale (Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano I e II, Mattarella) e ben 20 Presidenti del Consiglio dei Ministri.
Ovviamente, immancabile, il tentativo della Giunta 5Stelle di attribuirsi il merito, con il sindaco Raggi che riferisce della morosità dell’attività commerciale verso il Comune: “un’evasione complessiva di quasi 650mila euro” e parla di “riqualificazione che passa anche attraverso iniziative di questo tipo”. Aggiunge la Raggi: “Grazie all’assessora al Patrimonio, Rosalba Castiglione, agli agenti del Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale che hanno eseguito lo sgombero” che, appunto, segue un trentennio di cause in tribunale. 
L’assessore Castiglione, nel proprio post, parla non di 650 ma di 640mila euro di debito, e si avventura in un “proseguiamo con coraggio e determinazione nel difendere il patrimonio pubblico” ringraziando i Vigili e i dipendenti del Dipartimento. Manca, tanto dalla Raggi quanto dalla Castiglione, il ringraziamento all’Avvocatura comunale che, vincendo le cause in Tribunale, ha conseguito questo risultato. 

METRO A ANCORA NEL CAOS, SALTA MANZONI

Niente pace per la metro A: non bastassero i lavori - quelli sì, necessari ma che comunque arrecano un temporaneo e inevitabile disagio all’utenza in favore, si spera, si un futuro migliore - che vanno avanti sulla linea Anagnina-Battistini, ci si mette a beffare l’utenza anche lo stop and go improvvisato.
È successo per due volte, ieri, alla stazione Manzoni: i treni passavano e non potevano fermarsi. Prima chiusura, alle 8 di mattina con tweet di @infoatac - l’account aziendale che segnala problemi sulla rete in tempo (quasi) reale - delle 8.21 seguente la segnalazione di un utente che lamentava la stazione completamente al buio. Riapertura alle 9.15. Poi, nuovamente, alle 12.30 altra chiusura. E nuova riapertura alle 14 passate. Motivazioni ufficiali @infoatac non ne rilascia, anche se più di qualche utente chiede conto del perchè di queste ripetute chiusure. L’azienda parla in via ufficiosa di un guasto elettrico, forse per problemi di Acea. Ma, come avvenne quando ci fu il famigerato apri/chiudi per le scale mobili rotte a Spagna e Barberini, informazioni precise e complete non vengono mai fornite.
E non è solo ieri: altri disagi, sempre sulla A, si erano registrati a San Giovanni, mercoledì 14. Prima alle 6 di mattina, poi all’una del pomeriggio la stazione chiude ma, in questo caso, i bus sostitutivi che già prestavano servizio per i lavori vengono allungati anche sulla tratta San Giovanni/Arco di Travertino. E, a parte un generico e pallido “guasto tecnico” non è che la trasparentissima azienda di via Prenestina si prenda la briga di spiegare cosa si sia rotto. Visto, appunto, il precedente del trittico Repubblica/Barberini/Spagna, il sospetto più che giustificato è che si possa trattare di rotture che pongono seriamente a rischio l’incolumità dei passeggeri. Ma, del resto, questo management Atac è già passato alla storia per i “principi di incendio” comunicati ufficialmente per i bus flambé con foto che, però, mostrano vetture completamente bruciate. 
Già che ci siamo, non è il caos sia limitato alla sola linea A: il 17 sera, alle 21, si ferma per un paio d’ore anche la stazione Torre Spaccata della linea C sempre per il solito “guasto tecnico” non precisato. Insomma, non c’è pace per chi ad agosto è rimasto a Roma a lavorare. 

domenica 18 agosto 2019

LAMPEDUSA, IL CAPO DELL’EQUIPE MEDICA: “MICA M’INVENTO LE MALATTIE”



Stanno bene o stanno davvero male i migranti a bordo della nave spagnola Open Arms? Secondo il medico che guida il presidio sanitario di Lampedusa, Francesco Cascio, i migranti stanno “benissimo” tranne una ragazza “con un’otite”. Per i medici volontari a bordo dell’imbarcazione spagnola erano così gravi da dover essere sbarcati rapidamente, ben prima che Salvini si arrendesse al volere del premier, Giuseppe Conte.
L’accusa - formulata in modo capzioso - è che Francesco Cascio, il medico di Lampedusa, sia un uomo di destra, essendo stato deputato di lungo corso sia alla Camera che all’Assemblea regionale siciliana prima per Forza Italia e poi per l’NCD di Angelino Alfano. L’assioma, quindi, nemmeno troppo velatamente insinuato, è che la sua diagnosi (“stanno bene”) sia una sorta di “diagnosi politica”, un po’ come i 6 o i 18 politici del ‘68 nei licei e nelle università.
E la questione è molto più complessa di quanto appaia in prima battuta: perché le condizioni sanitarie dei migranti a bordo delle navi delle ONG sono da sempre state utilizzate per spiegare la necessità e l’urgenza dello sbarco, anche forzando le disposizioni delle legittime autorità nazionali. E strumentalizzate: tanto da chi spinge per lo sbarco, quanto da chi lo sbarco lo contesta. Quasi superfluo ricordare i casi, ad esempio, di Carola Rackete e della sua situazione “disperata a bordo” o di quel mondo che fa girare foto palesemente taroccate come l’ultima, quella di una festa a Londra con ragazzi di colore muscolosi spacciati falsamente per migranti scesi dalle navi.
La prossima settimana, il dottor Cascio sarà sentito dalla Procura a proposito della sua dichiarazione sullo stato di buona salute dei primi 13 migranti sbarcati dalla Open Arms. “Mi fido dei miei medici, i referti sono chiari”, risponde Cascio alle agenzie. “Non so cosa sia successo: se a bordo di Open Arms ci sono naufraghi con le patologie descritte nella relazione dal Corpo Italiano di Soccordo dell’Ordine di Malta (Cisom) - scabbia, emorragia vaginale; ndr -  non sono gli stessi che sono stati fatti sbarcare, perché le loro condizioni erano buone, tranne un caso di otite facilmente curabile”. E alle insinuazioni di diagnosi politiche, Cascio replica: “Se c'è qualche cretino che pensa che io possa fare falsificare un referto o è un cretino o è in malafede. È da pazzi pensare che io possa avere detto che i migranti visitati stanno bene solo per fare una marchetta a Salvini. Io sono un medico, innanzitutto, e parlo con i referti. Se su tredici migranti visitati, che secondo alcuni medici Cisom erano gravi, solo una giovane aveva una otite, cosa posso farci io? Mica posso inventare malattie che non esistono. Vorrei solo sottolineare che io sulla nave non ci sono stato. I medici neppure”, aggiunge, spiegando che i 13 migranti visitati e che “stanno benissimo” sono i primi fatti scendere dalla Open Arms proprio per motivi sanitari. “Io mi sono limitato solo a dire che le persone visitate stavano bene, nient'altro. Io non ho fatto affermazioni politiche o filosofiche - aggiunge - ho solo risposto citando referti dei miei due medici di cui uno con 40 anni di attività di Pronto soccorso".
Lunedì, dopo qualche giorno di vacanza il dottor Cascio rientrerà al presidio di Lampedusa e sarà ascoltato dalla Procura che intanto ha disposto un’ispezione sanitaria sulla nave spagnola.

martedì 13 agosto 2019

I MAESTRINI USA SOMMERSI DAI RIFIUTI




Tutto il mondo è paese o, se si preferisce, se Atene piange, Sparta non ride. Solo che, se non altro, in Italia non abbiamo la presunzione del New York Times di sparlare dei problemi della metropoli stelleestrisce. Al contrario di come il celebre quotidiano fa con Roma. Per altro, con una certa frequenza. 
Vero, a Roma abbiamo molti problemi, a partire da una compagine governativa della città che, a dispetto della realtà tangibile fatta di crisi sistemica per carenza di impianti, continua a sognare una differenziata che salverà il mondo, dimenticando che, anche differenziando, i rifiuti comunque non evaporano. 
E che New York non brilli per pulizia è cosa nota. Anche il paludato New York Times se ne accorge e pubblica, sulla propria edizione online, una “piacevole” raccolta di fotografie postate via twitter dai newyorkesi dal titolo accattivante: “your tales of trash hell”, ovvero “le vostre storie dall’inferno della spazzatura”. Non fosse per le insegne stradali in inglese, il panorama è più o meno quello capitolino: cartoni di pizza, pannolini, buste del latte, sacchetti. E, ancora, scatoloni lasciati sui cigli delle strade, materassi, reti di letto, vestiti, mobilia. E pedoni che si lamentano di non riuscire a passare per la quantità di immondizia che ostruisce i marciapiedi. Il tutto condito dalle amare considerazioni degli utenti che sono stati collazionati in questa galleria di immagini dall’inferno del degrado. “Noi siamo una città rifiuto”, scrive il 5 agosto Shabazz Stuart. Gli fa eco Leah Flax, architetto specializzata in analisi sul ciclo rifiuti, che aggiunge: “Un esercito di 8mila operatori sanitari in uniforme trasporta questa spazzatura. È la più grande operazione di smaltimento dei rifiuti urbani nel paese, con un budget operativo annuale di 1,7 miliardi di dollari”. Praticamente quasi lo stesso numero di addetti Ama che conta quasi 7800 dipendenti di cui 6700 operai. Solo che la differenza con la nostra Municipalizzata la rende bene la cifra: per New York c’è più o meno un miliardo e mezzo di euro per lo smaltimento rifiuti. L’ultimo bilancio licenziato da Ama (ma ancora in approvazione dal Campidoglio) segna un meno 136 milioni di euro. 
“Negli ultimi dieci anni, i newyorkesi hanno effettivamente buttato via meno, riciclando e riutilizzando di più. La raccolta di rifiuti è scesa a 3 milioni di tonnellate all'anno nel 2018, rispetto a 3,2 milioni di tonnellate nel 2008”, scrive ancora Leah che segna tutta la differenza con Roma: quasi 9milioni di abitanti di New York che producono 3,2 milioni di tonnellate annue contro poco più di 2,8 romani che ne producono 1,7. Proporzioni diverse, caos identico. 


domenica 11 agosto 2019

ALLARME RIFIUTI CON LA CRISI DI GOVERNO


La crisi di governo e le vacanze agostane rischiano di creare una nuova crisi rifiuti a Roma. Ammesso che quella dei mesi scorsi si sia risolta. Perché, in realtà, l’Ordinanza Zingaretti si sta rivelando essere solo un brodino caldo ma non la soluzione che deve venire dagli impianti.
Andiamo per ordine. Si parte con i dati sulla produzione dei rifiuti: chi pensava che ad agosto il carico su Ama fosse più leggero, è andato incontro a un’amara sorpresa: nei primi due giorni di agosto, sono state prodotte 500 tonnellate di rifiuti indifferenziati in più rispetto all’anno scorso. E, la scorsa settimana, si sono superate le 18mila tonnellate raccolte, cioè ben 800 in più, +5,4%, sul 2018.
E che la crisi sia stata solo temporaneamente affrontata con l’Ordinanza del Presidente della Regione lo dimostra il fatto che in moltissimi quartieri, dopo qualche giorno di relativa calma rispetto al caos dei mesi scorsi, i cassonetti sono nuovamente stracolmi: Prenestino, Cassia, Tuscolano, Tiburtino.
Ecco, allora che la Raggi - dopo aver praticamente dilapidato tutto il suo patrimonio di credibilità alla terza crisi ciclica dei rifiuti in 3 anni, con il quinto management di Ama a rotazione e il buco dei due assessori all’Ambiente saltati e neanche sostituiti - cerca di mettere le mani avanti e si affretta a chiedere la proroga dell’Ordinanza Zingaretti. 
L’ipotesi di voto per le elezioni politiche a ottobre, con i cassonetti strabordanti di immondizia, significa certificare un nuovo crollo verticale dei voti per i 5Stelle a Roma, dopo i flop regionali, Municipi ed europee. 
Quindi, meglio cercare da subito delle chiamate in correità: ieri mattina, l’ufficio stampa del Campidoglio fa trapelare alle agenzie una indiscrezione secondo cui il Ministero dell'Ambiente avrebbe convocato per il prossimo 29 agosto il tavolo tecnico relativo al monitoraggio della gestione dei rifiuti in città, quello al quale il ministro grillino Sergio Costa, siede insieme alla Regione Lazio, al Comune e ad Ama. Troppo lontano nel tempo, secondo la Raggi, che avrebbe chiesto “con forza di anticipare la convocazione”: la data scelta, fine mese, “è inadeguata e rivela, ancora una volta, una sottovalutazione della situazione”. 
Il problema, ovviamente, è serio e bene fa la Raggi a chiedere non solo l’anticipo della convocazione ma anche a rivolgere un invito agli uffici e ai tecnici del Campidoglio a valutare l'opportunità di riunirsi in questi giorni, anche a Ferragosto se necessario: “Occorre prevenire mettendo in campo le iniziative necessarie ad arginare ogni tipo di criticità. Rimanere fermi altre due settimane costituisce un rischio enorme ai danni della città”.
Ecco, secondo correo, anche la richiesta di prorogare l’ordinanza Zingaretti sui rifiuti, quella emanata al culmine della crisi di inizio estate, che, però, il Campidoglio sta disattendendo in molti punti. 
Ad esempio, nell’approvazione dei bilanci Ama 2017 e 2018. Quello 2017 è stato licenziato, con uno strano computo passivo di 136 milioni di euro già oggetto di numerose polemiche politiche, un paio di giorni fa dal CdA dell’Azienda ma va ancora ratificato dal socio unico, cioè dal Campidoglio. Per quello 2018, poi, siamo in piena notte. 
Resta, poi, a pesare come un macigno il “no” ribadito più volte, anche nei giorni scorsi, della Raggi a prevedere un’impiantistica di smaltimento a Roma. Per cui, sembra che il Sindaco resti con l’idea di non volere impianti e di risolvere l’emergenza semplicemente prorogando l’Ordinanza Zingaretti.

sabato 10 agosto 2019

VECCHI BUS A FUOCO, I NUOVI IN PASSERELLA


Nuovo giro di presentazione del sindaco di Roma, Virginia Raggi, per i nuovi bus turchi di Atac, con vena polemica fra il gruppo grillino in Campidoglio e i cittadini.
Andiamo per ordine. Ieri mattina, la Raggi presenta (per la quarta volta in 10 giorni) il plotoncino degli 80 autobus, antipasto delle 227 vetture comprate direttamente dal Comune (non da Atac) tramite la gara Consip e prodotti dalla turca Industria Italiana Autobus (ex BredaMenarinibus e Iribus). Ieri era il turno di Acilia, nel tour promozionale della Raggi, che segue il primo di Tor Bella Monaca, il secondo a Corviale e il terzo a Casal Bruciato.
Già dopo Corviale e ancor più dopo Casal Bruciato, i cittadini “sgamano” il trucchetto mediatico stile “Istituto Luce”: a ogni presentazione le vetture per il taglio del nastro sono sempre le stesse. Basta guardare i video pubblicati dal Sindaco e spuntano fuori i numeri di matricola. La vettura numero 1302 si è fatta Tor Bella Monaca e Corviale, come la 1304 che stava anche ad Acilia ieri mattina. 
Tutte vetture che girano le strade cittadine già dal 1 agosto ma che - stando alle denunce degli utenti sulla rete - vengono tolte dal servizio per consentire l’allestimento del set di propaganda.
Insomma, l’ironia si spreca e il raffronto al Ventennio è facile e spontaneo: “tour littorio”, paralleli con la leggenda degli aerei di Mussolini che venivano spostati a ogni tappa degli appuntamenti in piazza del Duce, “Istituto Luce” e così via. 
Piccatissima la replica del gruppo grillino in Campidoglio: i “nemici della contentezza”, come i Consiglieri pentastellati etichettano quei cittadini che osano criticare i “set di cartapesta” per l’arrivo di 80 bus su 227 - quando, due anni fa, la Raggi annunciava dal palco della kermesse grillino che ne erano già stati comprati 600 ed erano in arrivo entro l’anno - devono capire che “per presentarli nelle piazze, ne prendiamo un campione fra quelli disponibili. Semplice”. 
Ovviamente, chi critica sta cercando di “fare polemica” e “offuscare il nostro lavoro” e non può che fare “un danno ai romani”. Spiegano ancora i grillini: “Ne sono arrivati 80 già operativi: 20 al deposito di Acilia, 20 al deposito di Grottarossa, 20 a Tor Sapienza, 10 a Tor Pagnotta e 10 a Magliana. Ci accusano che li stiamo distogliendo dal servizio per mostrarli alle persone. Abbiamo deciso di farglieli toccare con mano, perché questi autobus li abbiamo pagati con le nostre tasse. Perché i bus sono di tutti i romani”. 
Magari, quelli rossi comprati nel 2009-2010 e poi nel 2015 erano dei milanesi e li aveva pagati il Comune di Milano. 
E non può mancare la stoccata ben oltre il grottesco a “quelli prima di noi, i capaci” che “non ci sono riusciti e ora rosicano”. Peccato che due vetture, al 1312 e la 1313, in servizio dal 1 agosto per le strade del X Municipio sulla linea 04, siano state utilizzate per la presentazione di Acilia e, stando alle denunce della rete, sostituite con la 6165, immatricolata nel 2003, che nella mattinata stessa è andata a fuoco, con la comunicazione Atac che, come d’abitudine, parla di “principio di incendio” anche se le foto fanno vedere una realtà molto più grave. 
E la rete si interroga: passi per la ripetizione degli appuntamenti propagandistici, ma non sarebbe più semplice mostrare un solo bus nuovo e spiegare, banalmente, che gli altri 226 sono uguali a quello? E, quindi, lasciare che gli altri siano al servizio della gente che li aspetta alle fermate e non a quello della comunicazione del Sindaco? Almeno questo è quel che pensano alcuni fra gli account twitter più seguiti sulla rete in tema di trasporto pubblico: MercurioViaggiatore, Trasporti Romani, Yoda, Il Treno Roma Lido, OdisseaQuotidiana.