Pareri segreti, appelli al Sindaco e manovrine di piccolo
cabotaggio: più che lo “Stadio della Roma” di Tor di Valle sembra uno spy movie
di serie C. Dove l’ignoranza, colossale e abissale, regna sovrana: ignoranza
delle leggi e delle procedure. E, insieme all’ignoranza, albergano giochi
politici più lerci e maleodoranti dei cassonetti di Roma.
Armatevi di un po’ di pazienza per leggere tutto…
PARERI LEGALI A GOGO
Iniziamo dal giochino dei pareri legali. Senza entrare nell’autorevolezza
del singolo legale che li estende, per tanti pareri contrari allo Stadio se ne
troveranno altrettanti favorevoli.
Un po’ perché – parafrasando quel celebre sketch di Gigi Proietti avvocato (“te
se inculano”, “se li inculamo”) – lo studio legale risponde alla
domanda del cliente, ma, soprattutto, perché non esiste una vera giurisprudenza
in materia di “legge Stadi”.
Perciò in primo luogo dipende dal cliente e poi dalla
domanda che il cliente pone. Con tutto il rispetto per un qualunque studio
legale è lecito domandarsi quale tipo di risposta potrebbe venire già solo in
relazione a quale cliente ponga il quesito: se fosse la Roma, le risposte di
chi ha detto “no”, sarebbero sempre “no”?
O, se fosse qualche antiStadio a rivolgersi a uno studio
legale che ha espresso “sì” al progetto, la risposta sarebbe sempre “sì”?
Inoltre, la risposta dipende sempre dalla formulazione e
dalla sostanza della domanda.
Due variabili – cliente e formulazione della domanda – che da
sole legittimano il dubbio sulla risposta.
Dopo di che, ci sono aspetti giuridicamente oggettivi della
vicenda.
Il caso As Roma/Tor di Valle è una prima assoluta e,
quindi, a meno che le domande non siano palesemente campate per aria (e, negli
anni ne abbiamo vista più di qualcuna) potremmo dire quasi che “uno vale uno”.
Quanto meno, un parere varrà un altro almeno fino a che non si andrà davanti
all’organo giurisdizionale preposto (la magistratura amministrativa, cioè
Tar e Consiglio di Stato) che ci spiegherà con sentenza come determinate norme
vadano interpretate.
Quindi,
che lo Studio Legale Milton dica “sì” o “no” all’iter,
garantisca che vi siano rischi o che non vi siano rischi di risarcimento,
suggerisca o sconsigli di procedere verso una qualunque ipotesi di soluzione, vale esattamente come il suo contrario.
Detto questo, passiamo ad esaminare le ultime posizioni
espresse – il parere segreto dell’ultim’ora – partendo, però, dalle sue
connotazioni meno giuridiche e più politiche.
Un Gruppo consiliare – M5S – commissiona un parere legale a
uno studio privato.
Solo che chi lo commissiona non è certo un amico della Raggi
(stantia anzicheno la querelle Lombardi-Raggi, tipo cane e gatto) e, con la
Raggi in palese difficoltà praticamente ovunque, dimostra solo che le bande
dei grillini esistono, sono vive e lottano fra di loro senza ritegno. Ma
dimostra anche un’altra cosa: che il gruppo dei lombardiani – dopo aver
perso i due leader, uno in carcere, Marcello De Vito, l’altro per
strada, Paolo Ferrara – esiste in Consiglio comunale ed è quello che non
garantisce alla Raggi di avere la maggioranza sul voto per lo Stadio.
La seconda considerazione: al netto del valore di un parere
legale terzo, è interessante vedere il “vai avanti, cretino” di banfiana
memoria: il gruppo grillino che lo commissiona non è mica chiamato al voto.
Non è né sulla Lombardi, né su Porrello né su alcun altro pentastellato alla
Pisana che, un domani, può appuntarsi l’attenzione della tanto temuta Corte dei
Conti. Insomma, usando il vecchio detto romano, è davvero facile “fa er
frocio cor culo dell’altri”.
Trasponendo il tutto su un piano meno colloquiale: una fazione
di un gruppo che non deve votare nulla in quanto appartenente ad altro Ente e
quindi totalmente privo di responsabilità, dice a un altro gruppo – questo sì
che deve votare e, quindi, è esposto al rischio causa, risarcimenti e corte dei
conti – di votare in un certo modo e eroga questo alto consiglio forte di un
parere legale.
Il parere legale
Entriamo, ora, nel merito del parere legale.
Prima considerazione: al netto, lo ripeto, dell’acume legale
del singolo avvocato o gruppo di avvocati che stende un parere; al netto della
specializzazione del/dei legale/i di cui sopra; al netto della conoscenza
minuziosa e approfondita di ogni carta prodotta in questo lungo e travagliato
iter; al netto del cliente che pone il quesito; e, infine, al netto della
formulazione del quesito stesso; va evidenziato un fatto.
Se – dio non volesse – il gruppo consiliare M5S capitolino chiamato
al voto seguisse il consiglio ricevuto e, un domani, di fronte all’eventuale causa,
il Comune venisse sconfitto, di tutti quelli potenzialmente chiamati a
risarcire il pubblico erario non vi sarebbe mai e poi mai lo studio legale che quel parere ha
rilasciato.
Perché il Comune un supporto legale ce l’ha già: si chiama Avvocatura comunale.
Può piacere o non piacere: è formata da alcuni avvocati
molto bravi se non altro perché da anni e anni si occupano solo certe materie,
perché l’iter Stadio l’hanno seguito fin dall’inizio, giorno per giorno, e,
soprattutto, perché, in caso di errore professionale, possono esserne
chiamati a risponderne dalla Corte dei Conti.
In sostanza, se l’Avvocatura comunale sbaglia a
consigliare il Sindaco, la Giunta e l’Aula Giulio Cesare, l’Avvocato che ha errato
può essere chiamato a pagare di tasca propria l’errore.
Cosa che non avviene con uno Studio Legale terzo.
Fosse pure, appunto, quello di John Milton.
Seconda considerazione, molto
più legale.
Esistono solo due modi per cancellare il progetto
Stadio.
Il primo è l’annullamento d’ufficio (più volgarmente
chiamato “in autotutela”). Procedura regolata dall’articolo 21 nonies della
legge 241/1990.
Il secondo è la revoca, regolata dall’articolo
21 quinquies sempre della 241/90.
Cosa dice il testo di legge (allegato alla fine in forma
integrale).
È illegittimo un provvedimento amministrativo che sia
stato adottato in violazione di legge, viziato da eccesso di potere o da
incompetenza.
Il provvedimento illegittimo può essere annullato d’ufficio,
“sussistendone le
ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore
a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o
di attribuzione di vantaggi economici”.
Inoltre, “i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false
rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e
dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti
reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati
dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi”.
Per semplificare la materia, quindi: il Comune ha (aveva)
al massimo 18 mesi per annullare un atto amministrativo che sia (fosse) stato
adottato in violazione di legge.
- Nel caso della Delibera Marino (la 132 del 22/12/2014)
i 18 mesi sono scaduti il 20 giugno 2016.
- Nel caso della Delibera Raggi (la 32 del 14/06/2017)
i 18 mesi sono scaduti l’11 dicembre 2018.
- Nel caso della Conferenza di Servizi decisoria, il
Verbale del 22 dicembre 2018, ha completato i suoi 18 mesi il 21 giugno 2019.
Al di là del fatto che il Consiglio comunale, organo
oggi interessato dalla querelle, non ha potere di annullamento del Verbale
della Conferenza di Servizi decisoria trattandosi di determinazione
assunta da altro Ente, come si vede i 18 mesi che la legge indica come
tempo massimo entro cui procedere all’annullamento dei soli tre atti adottati
dalla Pubblica Amministrazione in questi lunghi anni sono già esauriti.
Tuttavia, la norma dice anche che questi 18 mesi possono
essere superati se gli atti da annullare sono stati redatti “sulla base di false
rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e
dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti
reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.
Va quindi evidenziato come non solo non esiste nessuna
sentenza passata in giudicato (sentenza passata in giudicato è quella che
ha superato tutti i gradi di giudizio oppure che non è stata appellata entro il
termine previsto) ma qui non siamo neanche giunti, nel caso Parnasi, alla sentenza
di primo grado! Figuriamoci a quella passata in giudicato!
Inoltre – e sono le dichiarazioni ufficiali del procuratore,
Paolo Ielo, supportate da atti conseguenti della Procura di Roma – l’iter
dello Stadio è stato riconosciuto come non toccato dall’inchiesta penale
riguardante Luca Parnasi, i suoi collaboratori, l’avvocato Luca
Lanzalone, i politici coinvolti nella prima inchiesta (“Rinascimento”) e in
quella successiva, Marcello De Vito e altri.
Non sembra
proprio, quindi, esistere nessun tipo di appiglio
giuridico valido di fronte a un giudice per poter derogare ai 18 mesi.
Non a caso, questa è la posizione più volte espressa in modo
netto dall’Avvocatura capitolina ai Consiglieri comunali: attenzione, l’annullamento
d’ufficio non è una strada giuridicamente percorribile in modo valido;
prenderla significa andare a sbattere e farsi (molto) male.
E,
allora, perché si continua a cercare – almeno da un punto di vista mediatico –
una via per ricorrere all’annullamento d’ufficio?
Semplice: è gratis. O quasi. L’annullamento d’ufficio non comporta la
corresponsione di un indennizzo. Almeno su carta. Perché poi, con l’ovvia
causa, il rischio che la pubblica amministrazione qualcosa possa dover pagare c’è
sempre anche se è minimo. Sicuramente, anche fosse espresso un giudizio in
questo senso, sarebbe comunque un pagamento esiguo e davvero minimo.
Questo perché l’altro modo di cancellare il progetto, la revoca, invece,
prevede – in modo esplicito – il pagamento al danneggiato di un indennizzo.
La revoca, infatti, è disciplinata sempre dall’articolo 21
della legge 241/90 ma, in questo caso, dal comma quinquies che recita che “per sopravvenuti motivi di
pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non
prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i
provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di
nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento
amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo
che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca
determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori
effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente
interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. Ove
la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida
su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli
interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia
dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della
contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico,
sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea
valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico”.
In sintesi: il Comune può sempre revocare un suo
provvedimento. Potrebbe farlo anche il giorno prima dell’apertura del cantiere
dello Stadio. Può farlo perché politicamente si assume la responsabilità di
dire che è cambiato il pubblico interesse. Tuttavia, questo cambiamento
ha un costo che è, quanto meno, calcolabile sulla base del “danno
emergente”. Vale a dire: non ti ripago certo i futuri mancati incassi da
biglietti o eventi perché soggetti a elementi casuali e non predeterminabili ma
solo per il danno che hai effettivamente subito. Il che, attenzione, non
include solo le spese effettivamente sostenute non tanto o non solo per
presentare il progetto quanto per modificarlo a ogni sussurro, starnuto,
sospiro del Comune, ma anche del danno che può derivarti dagli eventuali accordi
commerciali.
Facendo un esempio: la Roma ha con la società XYZ un accordo
per la vendita dei diritti sul nome dello Stadio alla cifra V per N anni.
Il danno emergente, quindi, sarebbe calcolabile moltiplicando il danno ricevuto
ogni anno per il numero di anni.
E, infine, quello più temuto: il danno di immagine.
Andare in giro per il mondo, banca banca, a chiedere finanziamenti garantendo
con la propria faccia che un’opera sia fattibile e sia in via di approvazione
causa un danno di immagine enorme. Che, se riconosciuto dal giudice, rischia di
valere da solo molto più dei danni da spese sostenute e accordi saltati.
Nel caso Tor di Valle, è lecito supporre che la richiesta di
risarcimento danni possa essere quanto meno pari al valore dell’opera stessa
(800 milioni/1 miliardo di euro)
Sia chiaro: richiesta, non condanna. La condanna arriva alla fine del processo.
E non è mica detto che se la Roma chieda 100, il giudice le riconosca effettivamente
100.
Tuttavia, c’è un problema pratico. Le norme sulla
formazione del bilancio del Comune.
Se il tavolo salta e ci si vede in tribunale, il Comune ha l’obbligo
di accantonare sui propri bilanci la somma che la Roma richiede scontata al
massimo della ragionevole probabilità di condanna divisa per la presumibile
durata annua del processo.
Traduzione: la Roma chiede 1 miliardo di euro e il processo
potrebbe durare 5 anni?
Il Comune deve mettere da parte 200 milioni di euro l’anno
per cinque anni (200milioni x 5 anni = 1 miliardo). Al massimo, se la stima
sulla possibile condanna è di un risarcimento di 800 milioni il Ragioniere
Generale dovrà “bloccare” 160 milioni annui per un quinquennio.
Tutto questo perché esiste il cosiddetto “legittimo affidamento”:
il fatto cioè che il soggetto proponente “legittimamente” nutra “fiducia” verso
il buon esito della sua proposta visto che la Pubblica Amministrazione l’ha
portata avanti.
Anche perché – va ricordato – la Pubblica Amministrazione ha
il brutto viziaccio di procedere per carte bollate. Ovvero: non è che il primo
che si sveglia, si alza e dice “facciamo così”. Ci sono procedure che vanno
rispettate. Fra queste, nel nostro caso, c’è il fatto che Penelope e la sua
tela vanno bene nell’Odissea ma non nelle trattative su Tor di Valle.
Scendendo dal letterario al pratico: se tu tratti con la
Roma tutti i giorni o quasi, ogni giorno di trattative – fossero pure
tempestose come può capitare ed è capitato – rafforzano la posizione della Roma
sotto il profilo del “legittimo affidamento”. E non puoi mentre di giorno tratti,
di sera tramare per cancellare l’opera. Perché poi la Roma cattiva ti porta in
Tribunale ed è assai probabile che ti faccia a fette.
Se il Comune, legittimamente, decidesse di revocare il
progetto Stadio, ha un iter specifico da seguire. Chiaro e netto e analogo a
quello seguito per approvarlo.
Primo: scrive una formale PEC alla Roma comunicando, “ai
sensi dell’articolo 21 quinquies della legge 241/90” di voler “revocare il
pubblico interesse al progetto Stadio” di Tor di Valle e che, pertanto, “con la
presente” si interrompono formalmente i colloqui per la “stesura della Convenzione
urbanistica” e, “contestualmente” si avvieranno le procedure di revoca, cioè delibera
di Giunta e seguente voto del Consiglio comunale. Si ricorda, infatti, che
solo l’organo che ha emanato un provvedimento è legittimato a revocarlo, quindi,
visto che le delibere di pubblico interesse sono state votate dal Consiglio,
sarà il Consiglio a doverle revocare.
Che poi ci si veda in Tribunale per gli indennizzi, questo è
cosa più o meno pacifica.
Art. 21-quinquies. (Revoca del provvedimento)
1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel
caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento
dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione
dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad
efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato
ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità
del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta
pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha
l'obbligo di provvedere al loro indennizzo.
1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia
durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato
dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e
tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei
contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca
all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri
soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse
pubblico.
Art. 21-nonies. (Annullamento d'ufficio)
1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies,
comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi
dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione
di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai
sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo
previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e
al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.
2. È fatta salva la possibilità di convalida del
provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed
entro un termine ragionevole.
2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base
di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di
certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte
costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere
annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto
mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché
delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre
2000, n. 445.