mercoledì 31 luglio 2019

TIBERIS, LA SPIAGGIA APRIRÀ (IN RITARDO)


La partenza è fissata per questo sabato, 3 agosto, alle 18.00. Ovviamente, salvo eventuali catastrofi meteo e l’obiettivo è rimanere aperti il più possibile verso i 3 mesi consentiti dalle normative. Parliamo di Tiberis, la “spiaggia” sul Tevere a Ponte Marconi, che il Campidoglio organizza per il secondo anno di seguito ma che dovrebbe più correttamente essere considerata un “allestimento temporaneo di parco fluviale”. Anche perché di spiaggia vera e propria c’è giusto un po’ di sabbia ma mancano, per il secondo anno di seguito, aree dove fare il bagno, rimanendo disponibili solo delle docce e, in più rispetto all’edizione 2018, anche un’area “rinfrescata” dotata, cioè, di quei getti d’acqua nebulizzata in grado di portare refrigerio sotto il solleone. 
Ancora da quantificare il costo per il Campidoglio: l’anno scorso si sfiorarono i 150mila euro. Quest’anno - spiegano dall’Ufficio Tevere - sono stati necessari lavori minori e, quindi, la spesa sui conti comunali dovrebbe essere inferiore a quella 2018. Anche perché gli arredi - lettini, ombrelloni, tavoli e sedie e via dicendo per un valore di circa 40mila euro - sono stati forniti con una sponsorizzazione dalla Onlus Agenda Tevere che si è anche adoperata per trovare gli sponsor veri e propri. 
Rispetto all’anno scorso le superfici a disposizione degli utenti saranno aumentate di circa il 40% il che dovrebbe contemplare anche un possibile aumento dei posti, ancora da quantificare, che passerebbero dai 40 lettini e 10 tavoli più sedie dello scorso anno, a qualcosa in più. 
La grande novità di quest’anno è l’addio alle macchinette con merendine e bibite in favore di un bar vero e proprio: il Campidoglio non lascia ancora trapelare chi gestirà questo punto ristoro né come sia stato selezionato, se con bando di gara o affido diretto o in quale altro modo, riservandosi di fornire tutte le informazioni il giorno della presentazione ufficiale di Tiberis.
E il giorno dell’apertura è prevista la presenza anche della Regione Lazio, della Soprintendenza di Roma e dell’Autorità di Bacino del Tevere, enti con i quali l’Ufficio Tevere del Campidoglio ha lavorato in stretta collaborazione anche per evitare il ripetersi di quanto avvenuto lo scorso anno con la Soprintendenza sul piede di guerra per il mancato coinvolgimento nella gestione delle aree fluviali.
Resta ancora aperto il quesito del perché il Campidoglio perda metà dell’estate, lasciando al solo mese di agosto la fruizione della “spiaggia”: per il prossimo anno, stando all’Ufficio Tevere, se Tiberis dovesse riaprire potrebbe finalmente coprire il trimestre estivo. 

venerdì 26 luglio 2019

CINQUE ANNI PER IL PONTE DEI CONGRESSI (SE VA TUTTO BENE)


Se tutto andrà bene, fra 5 anni, nel 2024, avremo il Ponte dei Congressi costruito. Almeno nel primo lotto. E sempre se non ci saranno ulteriori problemi come ricorsi e prescrizioni. Un quinquennio è la previsione fatta da Roberto Botta, ingegnere, vicedirettore generale del Comune e, soprattutto, capo del Dipartimento Lavori pubblici che, intervenendo alla seduta della Commissione Lavori pubblici, convocata oggi su richiesta delle opposizioni, in particolare di Ilaria Piccolo (Pd), ha spiegato il progetto, le sue ricadute, costi e tempistiche.
Appena sfiorata - e prudentemente subito accantonata - l’interazione del Ponte con il progetto Stadio della Roma di Tor di Valle.
Il Ponte dei Congressi nasce nel 2000, con un concorso di progettazione internazionale, e il progetto prevede di costruire un ponte con tre corsie per le auto e due piccole complanari per bici e pedoni, che colleghi l’autostrada Roma-Fiumicino con la via del Mare/Ostiense all’altezza di viale Isacco Newton. Una volta realizzato il ponte sul Tevere, verrebbe modificata l’intera circolazione stradale della zona: chi viene dall’aeroporto in direzione centro, dovrebbe uscire obbligatoriamente sul Ponte dei Congressi per prendere poi la via del Mare finendo per riconnettersi sull’autostrada al Ponte della Magliana. Al contrario, chi viene dal centro in direzione Fiumicino, userebbe il Ponte e il Viadotto della Magliana che diventerebbero a tre corsie a senso unico ad uscire da Roma. 
Il progetto, quindi, nel suo complesso prevede due lotti: la costruzione del Ponte dei Congressi  e l’unificazione della via del Mare/Ostiense per il primo lotto e il totale rifacimento del Ponte e del Viadotto della Magliana per il secondo.
Al momento, di finanziato c’è solo il primo lotto con progettazione definitiva avanzata: 172 milioni in totale, di cui 145 messi dal Governo (Renzi) e 28 a carico del Campidoglio per la viabilità accessoria da coprire con un mutuo che, però, verrà attivato solo dopo gli appalti. Per il secondo lotto, si è a mala pena alla progettazione preliminare, mancano i calcoli sui costi e, ovviamente, le relative forme di finanziamento.
Per il primo lotto, la tempistica ipotizzata dal Comune prevede quattro anni di tempo per i lavori più un altro anno e mezzo (almeno) di burocrazia: tre mesi per la validazione del progetto definitivo, poi la gara d’appalto per trovare il General Contractor che dovrà redigere la progettazione esecutiva, fare gli appalti, anticipare la quota di 28 milioni di competenza del Comune e, costruire il tutto.
Diciannove anni di progetti e disegni che hanno visto quattro Conferenze di Servizi (preliminare interna e esterna, decisoria interna ed esterna), due passaggi al Consiglio Superiore dei Lavori pubblici e, stando alle affermazioni di Botta, centinaia e centinaia di prescrizioni che hanno reso lentissimo l’iter approvativo. Solo per un ponte che è entrato anche dentro la vicenda Stadio della Roma. E se ieri, in Commissione, la presidente Alessandra Agnello (5Stelle) ha tentato di attenuare il legame fra i due progetti, ci ha pensato la consigliera Piccolo a sottolineare come il lacciuolo l’abbia legato la Raggi inserendo il Ponte dei Congressi nella delibera di Pubblico interesse sullo Stadio. 
E, a questo punto, emerge la netta discrepanza sui tempi: se anche il cronoprogramma quinquennale del Campidoglio per il Ponte dei Congressi fosse rispettato al minuto (e già sarebbe un miracolo), ci sono almeno due anni in cui, ipotizzando lo “scioglimento” dei nodi ancora aperti anche semplicemente entro il 2019, lo Stadio della Roma di Tor di Valle potrebbe essere aperto e funzionante senza né il Ponte di Traiano, cassato da Berdini e dalla Raggi, né quello dei Congressi. 
Rendering 1: nella parte bassa il futuro nuovo Ponte dei Congressi che si innesta sulla via del Mare/Ostiense unificata e, sullo sfondo, il Ponte della Magliana che sarà ristrutturato. Entrambi i ponti saranno a senso unico: Magliana per uscire da Roma e Congressi per entrare in città creando l'"effetto rotatoria".
Rendering 2: diverse viste del futuro Ponte dei Congressi



Rendering 3: Il futuro Ponte dei Congressi sarà dotato di illuminotecnica scenografica notturna

IL CINEMA METROPOLITAN DIVENTERÀ UN CENTRO COMMERCIALE



Dal 2010 la tettoia in vago stile art déco serve per coprire l’alloggio di fortuna di un senzatetto e del Cinema Metropolitan - all’inizio di via del Corso lato piazza del Popolo - se ne sono perse le tracce. Ieri il Consiglio comunale - 24 voti favorevoli, 7 contrari delle opposizioni, e 1 astenuto - ha approvato la delibera che darà il via alla trasformazione del complesso in un nuovo centro commerciale.
Con l’ennesima giravolta del mondo grillino che, se all’opposizione, scaglia strali contro operazioni analoghe quando fatte da altri partiti, salvo poi farne stando al governo, il Metropolitan - nato nel 1906 come grande magazzino e trasformato pochi anni dopo in cinema/teatro - si avvia a diventare una “media struttura di vendita” consegnando al Campidoglio un tesoretto di 7 milioni di euro di contributi e oneri che saranno versati dai proprietari. 
Questi soldi - ha spiegato in aula l’assessore all’Urbanistica, Luca Montuori - verranno destinati alla riqualificazione di due cinema di proprietà comunale: 3,5 milioni per l’Airone, in via Lidia (Municipio VII) e 3,3 per l’Apollo in via Bixio all’Esquilino (Municipio I)”.
Alla fine dell’intervento, al posto delle 4 sale del vecchio cinema, ci saranno: 1800 metri quadri su tre piani per la vendita, uffici per 50 metri quadri e una sala cinematografica da 320 metri quadri che, per 4 mesi l’anno, sarà messa a disposizione gratuitamente del Comune. Il tutto in variante al Piano Regolatore per le normative tecniche sulle ristrutturazioni edilizie e in deroga alle disposizioni su parcheggi e verde pubblico vista la zona in cui è collocata la struttura.

venerdì 19 luglio 2019

CENTRO CARNI, MAESTRANZE IN AGITAZIONE


Sta per aprirsi un nuovo fronte di tensione in Campidoglio: da oggi, infatti, scendono in agitazione gli operatori del Centro Carni per protestare contro l’assoluta inerzia della Giunta 5Stelle che, dopo tante promesse in campagna elettorale, sta facendo tutto tranne che rilanciare la struttura.
Noi ci occupiamo delle carni - spiega Fabrizio Forti, presidente dell’Associazione Centro Carni di Roma - ma anche del recupero di tutti gli animali, tanto vivi quanto morti: dai pitoni ai cinghiali. Abbiamo ridotto i nostri costi vivi ma molti servizi che svolgiamo per la città vengono ancora considerati come un costo, fra questi proprio il recupero di animali vivi e la loro cura fino a che non si rintraccia il padrone, o lo smaltimento dei corpi in caso di animali morti. Servizi che, se non facessimo noi, dovrebbero andare a finire al privato. In dieci anni, il Comune ha cambiato ben 15 direttori del Centro Carni. Ora, la Raggi manda via il direttore Ciminelli e arriverà al suo posto Barletta. Senza che, però, si operi per un vero rilancio della struttura che già è un centro di eccellenza e potrebbe essere ancora migliore. Per questo, abbiamo deciso uno stato di agitazione e siamo pronti ad andare a occupare il Campidoglio con i camion”.
Nel mirino della protesta ci finiscono l’assessore al Commercio, Carlo Cafarotti, e il presidente della Commissione Commercio, Andrea Coia, colpevoli, secondo le maestranze del Centro Carni di una incapacità decisionale che sta condannando il Centro a una lenta agonia.
Nel Centro - situato nel Municipio V fra la Collatina e viale Palmiro Togliatti  e grande 21 ettari - trovano posto lo stabilimento di macellazione, il mercato all’ingrosso della carne, una serie di stabilimenti privati che operano nel settore della trasformazione e poi stalle, magazzini, celle frigorifere, lavaggio dei mezzi di trasporto delle carni e degli animali, strutture Asl e Protezione civile.
Un richiamo a muoversi arriva anche da Fratelli d’Italia con il capogruppo alla Regione, Fabrizio Ghera che dice: “Raggi garantisca un futuro alla struttura e agli operatori. L’impianto è fiore all’occhiello della città, vigileremo sugli sviluppi con il gruppo in Campidoglio”.

giovedì 18 luglio 2019

STADIO; LA ROMA VA ALLA REGIONE PER LA FERROVIA


La richiesta ufficiale è stata presentata il 10 luglio scorso all’ufficio dell’architetto Manuela Manetti, presidente della Conferenza di Servizi decisoria e la domanda è piuttosto secca: traslandola dal burocratese al linguaggio comune, la Roma chiede alla Regione: “quali opere sul trasporto vanno considerate vincolanti” per l’apertura dello Stadio di Tor di Valle? 
L’impasse che, da più di qualche mese, tiene in un mezzo limbo la stesura della Convenzione urbanistica (il contratto vero e proprio fra il pubblico e la Roma) per lo Stadio potrebbe chiudersi prima della pausa estiva dei lavori del consiglio comunale.
Nelle quattro pagine firmate dalle tre società proponenti - Eurnova come “soggetto proponente”, TDV Real Estate come futura acquirente delle aree e Stadio TDV come futuro sviluppatore del progetto - alla Manetti viene chiesto “di confermare” che, gli “interventi necessari ad assicurare la "contestualità" dell'esercizio del trasporto pubblico su ferro”, sono “esclusivamente” quelli inseriti nel “progetto approvato dalla Conferenza di Servizi” e per i quali il privato proponente dovrà curare la “gara d’appalto, il finanziamento, il completamento ed il collaudo” mentre restano escluse quelle opere “al di fuori del progetto Stadio della Roma” la cui realizzazione è indipendente dallo Stadio.
Scendendo su un piano più pratico, il nodo è quello della “contestualità”: il Comune - dopo aver cancellato tutte le opere pubbliche di mobilità (Ponte di Traiano e interventi per il trasporto su ferro che davano origine a compensazioni) per poter cancellare le tre Torri di Libeskind - vorrebbe subordinare l’apertura dello Stadio al completamento degli interventi di ristrutturazione della Roma-Lido di Ostia che sono finanziati da Stato e Regione e che sono gestiti dalla Pisana. 
La Roma, ovviamente, non ci sta a legare l’apertura di Tor di Valle a opere fatte da altri soggetti su cui né la Roma né il Comune hanno alcun potere di intervento. 
Da qui, lo stallo: gli uffici si sono visti e rivisti limando tutti (o quasi) gli altri dettagli. Nell’ultimo incontro con il vicepresidente della Roma, Mauro Baldissoni, è stato il sindaco, Virginia Raggi, a suggerire questo ricorso alla Presidenza della Conferenza di Servizi. Compiendo, dopo la tragicommedia del Politecnico di Torino, ancora l’errore di rivolgersi a soggetti terzi per chiarire il caos creato dalle decisioni della Giunta grillina. 
E, da parte della Roma si inizia a disegnare la potenziale road map: dando per scontata la risposta favorevole all’interpretazione “giallorossa” della querelle Roma-Lido, la Roma andrà dalla Raggi chiedendole di far concludere i lavori di stesura dei testi e portare tutto, Variante e Convenzione, al voto in Aula magari per settembre quando è anche prevista una visita di James Pallotta a Roma. In caso di risposta positiva, tutto bene, si vota, si firma tutto e si avvia il cantiere. In caso di melina o diniego, verrebbe comunque presentata istanza di voto in modo tale da avere un atto da impugnare in Tribunale per il risarcimento. E a quel punto, prenderebbe quota l’ipotesi Fiumicino






sabato 13 luglio 2019

AL VIA L'ABBATTIMENTO DI PARTE DELLA TANGENZIALE EST


Formalmente partiti i lavori per abbattere una parte della Tangenziale Est, quella, per intendersi, sopraelevata e prospiciente la Stazione Tiburtina
A finire in polvere saranno un totale di 460 metri per un costo di 9,9 milioni di euro che l’Amministrazione Raggi ha investito nell’assestamento di bilancio del 2017
La storia parte molto da lontano con l’Accordo di Programma sottoscritto dall’Amministrazione Veltroni che includeva la nuova Stazione Tiburtina con tutti i parcheggi annessi, la nuova galleria della Tangenziale che passa alle spalle della Stazione stessa, il grande collettore fognario di Tiburtina/Pietralata per evitare gli abituali allagamenti a ogni pioggia e, infine, l’abbattimento di questa parte di Tangenziale sopraelevata.
Se gli altri punti, piano piano, erano stati realizzati - Stazione Tiburtina Alta Velocità nel 2011 e galleria nuova Tangenziale nel 2012 da Alemanno sindaco; nuovo collettore fognario con la nuova viabilità della Tiburtina dal sindaco Raggi - era rimasta fuori la sopraelevata.
Non solo per i soldi. Quanto perché non si sapeva cosa farne. Abbatterla sì, ma dopo? Di annunci su questo abbattimento ne erano stati fatti a iosa: Marino sindaco nel settembre 2014, poi questa Amministrazione nel 2017, a metà 2018 e, finalmente si dovrebbe partire. 
Dopo la gara d’appalto, il costo per l’abbattimento di questo quasi mezzo chilometro di strada con i suoi piloni e le rampe è sceso con un ribasso del 23% circa da 9,9 milioni a 7,6 reali. Tempo stimato per il completamento della demolizione: 450 giorni, vale a dire che il cantiere dovrebbe chiudere per ottobre del prossimo anno.
Nello specifico, il progetto realizzato da Risorse per Roma e dal Dipartimento Lavori pubblici del Campidoglio, prevede la demolizione della sopraelevata nel piazzale ovest con realizzazione di una nuova rete fognaria, poi la rettifica di via Tiburtina con la ristrutturazione di fronte al Verano con sistemazioni stradali anche in via della Lega Lombarda. Ancora: tutta la viabilità davanti la stazione, il rifacimento della stazione dei pullman, la creazione di parcheggi interrati per il quartiere e parcheggi di scambio per i viaggiatori. Rimarranno in piedi le rampe di collegamento tra la Tiburtina in direzione centro e la Tangenziale in direzione San Giovanni; quella di connessione fra via della Lega Lombarda e via Tiburtina compresa la rampetta che consente a chi viene da Stazione Tiburtina di dirigersi verso il Raccordo. Le altre rampe, saranno demolite.   




STADIO; IL MIO INTERVENTO A TELERADIOSTEREO

ECCO IL LINK AL PODCAST AL MIO INTERVENTO DEL 12 LUGLIO 2019 A TELERADIOSTEREO SULLO STADIO DELLA ROMA

venerdì 12 luglio 2019

STADIO: "FARE I 'FROCI' COR CULO DELL'ALTRI" (titolo ironico)


Pareri segreti, appelli al Sindaco e manovrine di piccolo cabotaggio: più che lo “Stadio della Roma” di Tor di Valle sembra uno spy movie di serie C. Dove l’ignoranza, colossale e abissale, regna sovrana: ignoranza delle leggi e delle procedure. E, insieme all’ignoranza, albergano giochi politici più lerci e maleodoranti dei cassonetti di Roma.
Armatevi di un po’ di pazienza per leggere tutto…

PARERI LEGALI A GOGO
Iniziamo dal giochino dei pareri legali. Senza entrare nell’autorevolezza del singolo legale che li estende, per tanti pareri contrari allo Stadio se ne troveranno altrettanti favorevoli. 

Un po’ perché – parafrasando quel celebre sketch di Gigi Proietti avvocato (“te se inculano”, “se li inculamo”) – lo studio legale risponde alla domanda del cliente, ma, soprattutto, perché non esiste una vera giurisprudenza in materia di “legge Stadi”.

Perciò in primo luogo dipende dal cliente e poi dalla domanda che il cliente pone. Con tutto il rispetto per un qualunque studio legale è lecito domandarsi quale tipo di risposta potrebbe venire già solo in relazione a quale cliente ponga il quesito: se fosse la Roma, le risposte di chi ha detto “no”, sarebbero sempre “no”?
O, se fosse qualche antiStadio a rivolgersi a uno studio legale che ha espresso “sì” al progetto, la risposta sarebbe sempre “sì”?
Inoltre, la risposta dipende sempre dalla formulazione e dalla sostanza della domanda.
Due variabili – cliente e formulazione della domanda – che da sole legittimano il dubbio sulla risposta.

Dopo di che, ci sono aspetti giuridicamente oggettivi della vicenda.
Il caso As Roma/Tor di Valle è una prima assoluta e, quindi, a meno che le domande non siano palesemente campate per aria (e, negli anni ne abbiamo vista più di qualcuna) potremmo dire quasi che “uno vale uno”. Quanto meno, un parere varrà un altro almeno fino a che non si andrà davanti all’organo giurisdizionale preposto (la magistratura amministrativa, cioè Tar e Consiglio di Stato) che ci spiegherà con sentenza come determinate norme vadano interpretate.
Quindi, che lo Studio Legale Milton dica “sì” o “no” all’iter, garantisca che vi siano rischi o che non vi siano rischi di risarcimento, suggerisca o sconsigli di procedere verso una qualunque ipotesi di soluzione, vale esattamente come il suo contrario.

Detto questo, passiamo ad esaminare le ultime posizioni espresse – il parere segreto dell’ultim’ora – partendo, però, dalle sue connotazioni meno giuridiche e più politiche.

Un Gruppo consiliare – M5S – commissiona un parere legale a uno studio privato.
Solo che chi lo commissiona non è certo un amico della Raggi (stantia anzicheno la querelle Lombardi-Raggi, tipo cane e gatto) e, con la Raggi in palese difficoltà praticamente ovunque, dimostra solo che le bande dei grillini esistono, sono vive e lottano fra di loro senza ritegno. Ma dimostra anche un’altra cosa: che il gruppo dei lombardiani – dopo aver perso i due leader, uno in carcere, Marcello De Vito, l’altro per strada, Paolo Ferrara – esiste in Consiglio comunale ed è quello che non garantisce alla Raggi di avere la maggioranza sul voto per lo Stadio.
La seconda considerazione: al netto del valore di un parere legale terzo, è interessante vedere il “vai avanti, cretino” di banfiana memoria: il gruppo grillino che lo commissiona non è mica chiamato al voto. Non è né sulla Lombardi, né su Porrello né su alcun altro pentastellato alla Pisana che, un domani, può appuntarsi l’attenzione della tanto temuta Corte dei Conti. Insomma, usando il vecchio detto romano, è davvero facile “fa er frocio cor culo dell’altri”.



Trasponendo il tutto su un piano meno colloquiale: una fazione di un gruppo che non deve votare nulla in quanto appartenente ad altro Ente e quindi totalmente privo di responsabilità, dice a un altro gruppo – questo sì che deve votare e, quindi, è esposto al rischio causa, risarcimenti e corte dei conti – di votare in un certo modo e eroga questo alto consiglio forte di un parere legale.

Il parere legale
Entriamo, ora, nel merito del parere legale.
Prima considerazione: al netto, lo ripeto, dell’acume legale del singolo avvocato o gruppo di avvocati che stende un parere; al netto della specializzazione del/dei legale/i di cui sopra; al netto della conoscenza minuziosa e approfondita di ogni carta prodotta in questo lungo e travagliato iter; al netto del cliente che pone il quesito; e, infine, al netto della formulazione del quesito stesso; va evidenziato un fatto.
Se – dio non volesse – il gruppo consiliare M5S capitolino chiamato al voto seguisse il consiglio ricevuto e, un domani, di fronte all’eventuale causa, il Comune venisse sconfitto, di tutti quelli potenzialmente chiamati a risarcire il pubblico erario non vi sarebbe mai e poi mai lo studio legale che quel parere ha rilasciato.
Perché il Comune un supporto legale ce l’ha già: si chiama Avvocatura comunale.
Può piacere o non piacere: è formata da alcuni avvocati molto bravi se non altro perché da anni e anni si occupano solo certe materie, perché l’iter Stadio l’hanno seguito fin dall’inizio, giorno per giorno, e, soprattutto, perché, in caso di errore professionale, possono esserne chiamati a risponderne dalla Corte dei Conti.
In sostanza, se l’Avvocatura comunale sbaglia a consigliare il Sindaco, la Giunta e l’Aula Giulio Cesare, l’Avvocato che ha errato può essere chiamato a pagare di tasca propria l’errore.
Cosa che non avviene con uno Studio Legale terzo. Fosse pure, appunto, quello di John Milton.

Seconda considerazione, molto più legale.
Esistono solo due modi per cancellare il progetto Stadio.
Il primo è l’annullamento d’ufficio (più volgarmente chiamato “in autotutela”). Procedura regolata dall’articolo 21 nonies della legge 241/1990.
Il secondo è la revoca, regolata dall’articolo 21 quinquies sempre della 241/90.

Cosa dice il testo di legge (allegato alla fine in forma integrale).
È illegittimo un provvedimento amministrativo che sia stato adottato in violazione di legge, viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
Il provvedimento illegittimo può essere annullato d’ufficio, “sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”.

Inoltre, “i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi”.

Per semplificare la materia, quindi: il Comune ha (aveva) al massimo 18 mesi per annullare un atto amministrativo che sia (fosse) stato adottato in violazione di legge.

  • Nel caso della Delibera Marino (la 132 del 22/12/2014) i 18 mesi sono scaduti il 20 giugno 2016.
  • Nel caso della Delibera Raggi (la 32 del 14/06/2017) i 18 mesi sono scaduti l’11 dicembre 2018.
  • Nel caso della Conferenza di Servizi decisoria, il Verbale del 22 dicembre 2018, ha completato i suoi 18 mesi il 21 giugno 2019.


Al di là del fatto che il Consiglio comunale, organo oggi interessato dalla querelle, non ha potere di annullamento del Verbale della Conferenza di Servizi decisoria trattandosi di determinazione assunta da altro Ente, come si vede i 18 mesi che la legge indica come tempo massimo entro cui procedere all’annullamento dei soli tre atti adottati dalla Pubblica Amministrazione in questi lunghi anni sono già esauriti.

Tuttavia, la norma dice anche che questi 18 mesi possono essere superati se gli atti da annullare sono stati redatti “sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.

Va quindi evidenziato come non solo non esiste nessuna sentenza passata in giudicato (sentenza passata in giudicato è quella che ha superato tutti i gradi di giudizio oppure che non è stata appellata entro il termine previsto) ma qui non siamo neanche giunti, nel caso Parnasi, alla sentenza di primo grado! Figuriamoci a quella passata in giudicato!
Inoltre – e sono le dichiarazioni ufficiali del procuratore, Paolo Ielo, supportate da atti conseguenti della Procura di Roma – l’iter dello Stadio è stato riconosciuto come non toccato dall’inchiesta penale riguardante Luca Parnasi, i suoi collaboratori, l’avvocato Luca Lanzalone, i politici coinvolti nella prima inchiesta (“Rinascimento”) e in quella successiva, Marcello De Vito e altri.
Non sembra proprio, quindi, esistere nessun tipo di appiglio giuridico valido di fronte a un giudice per poter derogare ai 18 mesi.
Non a caso, questa è la posizione più volte espressa in modo netto dall’Avvocatura capitolina ai Consiglieri comunali: attenzione, l’annullamento d’ufficio non è una strada giuridicamente percorribile in modo valido; prenderla significa andare a sbattere e farsi (molto) male.

E, allora, perché si continua a cercare – almeno da un punto di vista mediatico – una via per ricorrere all’annullamento d’ufficio?

Semplice: è gratis. O quasi. L’annullamento d’ufficio non comporta la corresponsione di un indennizzo. Almeno su carta. Perché poi, con l’ovvia causa, il rischio che la pubblica amministrazione qualcosa possa dover pagare c’è sempre anche se è minimo. Sicuramente, anche fosse espresso un giudizio in questo senso, sarebbe comunque un pagamento esiguo e davvero minimo.



Questo perché l’altro modo di cancellare il progetto, la revoca, invece, prevede – in modo esplicito – il pagamento al danneggiato di un indennizzo.

La revoca, infatti, è disciplinata sempre dall’articolo 21 della legge 241/90 ma, in questo caso, dal comma quinquies che recita che “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico”.

In sintesi: il Comune può sempre revocare un suo provvedimento. Potrebbe farlo anche il giorno prima dell’apertura del cantiere dello Stadio. Può farlo perché politicamente si assume la responsabilità di dire che è cambiato il pubblico interesse. Tuttavia, questo cambiamento ha un costo che è, quanto meno, calcolabile sulla base del “danno emergente”. Vale a dire: non ti ripago certo i futuri mancati incassi da biglietti o eventi perché soggetti a elementi casuali e non predeterminabili ma solo per il danno che hai effettivamente subito. Il che, attenzione, non include solo le spese effettivamente sostenute non tanto o non solo per presentare il progetto quanto per modificarlo a ogni sussurro, starnuto, sospiro del Comune, ma anche del danno che può derivarti dagli eventuali accordi commerciali.
Facendo un esempio: la Roma ha con la società XYZ un accordo per la vendita dei diritti sul nome dello Stadio alla cifra V per N anni. Il danno emergente, quindi, sarebbe calcolabile moltiplicando il danno ricevuto ogni anno per il numero di anni.
E, infine, quello più temuto: il danno di immagine. Andare in giro per il mondo, banca banca, a chiedere finanziamenti garantendo con la propria faccia che un’opera sia fattibile e sia in via di approvazione causa un danno di immagine enorme. Che, se riconosciuto dal giudice, rischia di valere da solo molto più dei danni da spese sostenute e accordi saltati.
Nel caso Tor di Valle, è lecito supporre che la richiesta di risarcimento danni possa essere quanto meno pari al valore dell’opera stessa (800 milioni/1 miliardo di euro)

Sia chiaro: richiesta, non condanna. La condanna arriva alla fine del processo. E non è mica detto che se la Roma chieda 100, il giudice le riconosca effettivamente 100. 


Tuttavia, c’è un problema pratico. Le norme sulla formazione del bilancio del Comune.
Se il tavolo salta e ci si vede in tribunale, il Comune ha l’obbligo di accantonare sui propri bilanci la somma che la Roma richiede scontata al massimo della ragionevole probabilità di condanna divisa per la presumibile durata annua del processo.
Traduzione: la Roma chiede 1 miliardo di euro e il processo potrebbe durare 5 anni?
Il Comune deve mettere da parte 200 milioni di euro l’anno per cinque anni (200milioni x 5 anni = 1 miliardo). Al massimo, se la stima sulla possibile condanna è di un risarcimento di 800 milioni il Ragioniere Generale dovrà “bloccare” 160 milioni annui per un quinquennio.

Tutto questo perché esiste il cosiddetto “legittimo affidamento”: il fatto cioè che il soggetto proponente “legittimamente” nutra “fiducia” verso il buon esito della sua proposta visto che la Pubblica Amministrazione l’ha portata avanti.

Anche perché – va ricordato – la Pubblica Amministrazione ha il brutto viziaccio di procedere per carte bollate. Ovvero: non è che il primo che si sveglia, si alza e dice “facciamo così”. Ci sono procedure che vanno rispettate. Fra queste, nel nostro caso, c’è il fatto che Penelope e la sua tela vanno bene nell’Odissea ma non nelle trattative su Tor di Valle.
Scendendo dal letterario al pratico: se tu tratti con la Roma tutti i giorni o quasi, ogni giorno di trattative – fossero pure tempestose come può capitare ed è capitato – rafforzano la posizione della Roma sotto il profilo del “legittimo affidamento”. E non puoi mentre di giorno tratti, di sera tramare per cancellare l’opera. Perché poi la Roma cattiva ti porta in Tribunale ed è assai probabile che ti faccia a fette.

Se il Comune, legittimamente, decidesse di revocare il progetto Stadio, ha un iter specifico da seguire. Chiaro e netto e analogo a quello seguito per approvarlo.
Primo: scrive una formale PEC alla Roma comunicando, “ai sensi dell’articolo 21 quinquies della legge 241/90” di voler “revocare il pubblico interesse al progetto Stadio” di Tor di Valle e che, pertanto, “con la presente” si interrompono formalmente i colloqui per la “stesura della Convenzione urbanistica” e, “contestualmente” si avvieranno le procedure di revoca, cioè delibera di Giunta e seguente voto del Consiglio comunale. Si ricorda, infatti, che solo l’organo che ha emanato un provvedimento è legittimato a revocarlo, quindi, visto che le delibere di pubblico interesse sono state votate dal Consiglio, sarà il Consiglio a doverle revocare.
Che poi ci si veda in Tribunale per gli indennizzi, questo è cosa più o meno pacifica.





Art. 21-quinquies. (Revoca del provvedimento)

1. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento o, salvo che per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo.

1-bis. Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico.

Art. 21-nonies. (Annullamento d'ufficio)

1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.

2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.

2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.