martedì 26 marzo 2019

IL NOME DELLA ROSA: COME DISTRUGGERE UN CAPOLAVORO


No, quattro buoni nomi del cinema - John Turturro (frate Guglielmo da Baskerville truccato e acconciato da padre Pio!), Rupert Everett (frate Bernardo Gui), Fabrizio Bentivoglio (frate Remigio da Varagine) e, Michael Emerson (abate Abbone) - non bastano per fare di un polpettone noioso, grigio e piatto, un buon prodotto.
Quello che è uscito fuori da queste 8 inutili puntate è stato solo un lavoro di una mediocrità imbarazzante. 

ATMOSFERA
Umberto Eco, nel suo romanzo, affresca, dipinge, illustra, minia quasi un Medioevo vivo. Esistono, nell’opera, infiniti quadri di ambiente: il freddo, l’Abbazia, la biblioteca e lo scriptorium con la sapienza, la cripta con i suoi tesori, il giardino dei semplici e la fucina. Sono descrizioni splendide, curate, profonde e rese con pennellate impressioniste sparse lungo l’intero corso dell’opera. 
Poi ci sono gli affreschi sulla vita: quella dei poveri come quinta teatrale, ma quella dell’Abbazia regolata dallo scandire delle ore, delle liturgie, dei canti, delle preghiere come sfondo principale. 
Niente di tutto questo è stato toccato in otto puntate.

“LICENZE POETICHE” 
È noto che nel realizzare opere cinematografiche o televisive, frequentemente gli sceneggiatori si prendono delle licenze poetiche. Ci sta e non sorprende. Ci sta molto di meno quando nel prendersele, si finisce per stravolgere i sensi dell’opera originale. 
Si decide di sopprimere il personaggio di Ubertino da Casale? Va bene.
Si decide che Jorge da Burgos deve essere un personaggio minore? D’accordo.
Si decide che Alinardo deve sembrare più un isterico che un vegliardo senescente? Si può fare.
Vuoi inventare una sorta di Robin Hood in gonnella creando la figlia di Dolcino e Margherita? Mah.
Di Dolcino più che un frate eretico hai fatto una specie di William Wallace del novarese...  
Ma, se per fare tutto questo, si inventa di sana pianta una storia diversa, allora, non sono d’accordo.
Jorge che benedice e assolve la ragazza del villaggio insieme ad Adso da Melk che ha violato i voti di castità? Ma l’avete letto il libro? Jorge! La fede senza gioia! L’epitome del monaco austero! 
E Bernardo Gui che sta infoiato vicino alla ragazza? 
E Guglielmo che ricatta Bernardo?
Tutta roba che con il libro, l’ambiente e i personaggi, non c’entra nulla. Tanto valeva veder sbucare un De Sica o un Boldi con qualche battuta da cinepanettone. 

FILOSOFIA
Il Nome della Rosa non è solo un giallo. È una narrazione di filosofie: aristoteliche, francescane, curiali. C’è la lotta per il potere temporale dietro la disputa sulla povertà. Il papa, Giovanni XXII, ha 67 anni quando viene eletto e ben 78 quando si verificano gli avvenimenti narrati nel libro.
Hanno reso l’immagine di Jacques de Cahors come quella di un cinquantenne, vestito come un signorotto rinascimentale - nel 1327! - senza nessuno degli orpelli visivi di un pontefice. Resta sullo sfondo, personaggio oscuro nel film, tanto importante nel libro. Delle sue idee viene solo abbozzato, senza spiegazione alcuna, il crocifisso con la borsa che, per altro, nel libro ha un’aggravante: la mano sinistra del Cristo non è inchiodata ma tocca la borsa stessa che non è posta di lato, ma sotto l’ombelico! 
L’imperatore… chi l’ha visto?
La stessa separazione fra i francescani, i teologi imperiali con Guglielmo da una parte, e l’Ordine vero e proprio con Michele dall’altra, non esiste.
Non vi è nulla sulla disputa fra benedettini e francescani - sintetizzata dalla querela sul riso che oppone Jorge e Guglielmo e che è il prologo alla parte più giallistica dell’opera - né su quella fra Domenicani e Francescani, espressa dalla rivalità fra Bernardo e Guglielmo. 
Non ci sono riferimenti alla storia di Abbone, a quella del libro almeno. Di lui viene solo detto, inventando, che la madre aveva seguito l’esempio francescano donando i suoi beni e che il figlio l’aveva fatta internare!
Abbone è la storia dei rapporti fra il mondo romano-italico e quello nordico (Malachia, Severino, Berengario, Bencio), fra spagnoli (Jorge) e italiani (Alinardo e Roberto da Bobbio), della lotta per il controllo dell’Abbazia ma anche di quella per il controllo delle città. 
Di tutto questo, ci sono alcuni spruzzi privi di pathos e profondità, sconnessi e senza costrutto logico e narrativo.

IL GIALLO
C’è la questione del giallo vero e proprio, la ricerca dell’assassino. Ma c’è l’Apocalisse - che si incrocia con la lotta antica fra Jorge e Alinardo - c’è l’omosessualità dei monaci, c’è la lussuria, questa sì, resa ma in maniera confusa e, soprattutto, noiosa e grigiotta. La lussuria del sapere di Venanzio e Bencio, quella di giustizia di Bernardo, quella di potere di Jorge. 
Di tutto questo, c’è pochissimo, raffazzonato, appiattito e reso noioso.

DOPPIAGGI
Massimo Lodolo riesce in maniera fantastica a rendere un Bernardo Gui sottile, odioso, scaltro e pericoloso. 
Ma, la vera domanda, è Angelo Maggi che presta la sua meravigliosa voce a frate Guglielmo, perché? Perché un’interpretazione così monocolore, didascalica, priva di passione. Guglielmo è un uomo appassionato: l’unico sussulto lo abbiamo avuto quando, dopo l’ultimo colloquio con Abbone, Guglielmo si incazza per come viene trattato. E il resto? 
Da apprezzare Bentivoglio più durante l’interrogatorio che nel resto del film dove la sua classe si perde, annacquata dall’ambientazione e dal copione irreale.
La voce di Jorge, Franco Zucca, è poco profetica e vaticinatrice: Jorge vive in una proiezione del mondo fatta di una fede intransigente e ferrea, fredda anche come il ferro. Nulla di questo traspare. 
Da ultimo: Franco Mannella, la voce dell’Abate, lo rende piagnucoloso mentre è un uomo molto risoluto almeno nella gestione del potere. 

CONCLUSIONE
Se decidi di prendere in mano un testo come Il Nome della Rosa, assicurati di saperlo fare, altrimenti meglio limitarsi alle soap stile Il Segreto. 

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