domenica 4 novembre 2018

REFERENDUM ATAC, UNA RIFLESSIONE PER DIFETTO

Prometto: in questi giorni leggerò approfonditamente il quesito referendario cercando di capire cosa votare. Fino ad ora non l’ho fatto.
Dovrò fare questo “studio” con molta cautela, perché parto svantaggiato. 

A favore del “no” vedo schierati soggetti - individuali o collettivi - che reputo o fra i più grandi imbecilli che mai abbiano calcato questo mondo, oppure fra i più abbarbicati soggetti interessati solo a mantenere il loro proprio orticello di potere e non a pensare al bene futuro comune. 
E poi c’è quel che vedo fare - meglio sarebbe dire “non fare” - al Sindaco e alla sua ciurma di scappati di casa. Ufficialmente, la compagine governativa cittadina rientrerebbe nel novero dei sostenitori della democrazia diretta. Non casualmente, il sistema che utilizzano per le loro “votazioni” l’hanno battezzato come uno dei padri costituenti del pensiero filosofico favorevole alla democrazia diretta. 
Che poi, io ritenga Jean-Jacques Rousseau un pensatore da cui star lontani - visti i guasti innumerevoli che il suo pensiero ha portato nella storia - è un discorso a parte. 
Ma loro, no. Loro vivono con la democrazia diretta. Quanto meno, con la democrazia diretta nella sua forma opaca e poco sicura, come ha dimostrato più e più volte l’hacker @r0gue_0, quel #pisQAnon che la piattaforma Rousseau la trita come coriandoli di carta ogni volta che vuole. Ma va bene così. 

L’interesse, però, dei pentastellati è quello di far fallire il referendum. Siamo esattamente a 7 giorni dal voto e questa email è l’unica traccia reale dell’informazione che il Comune di Roma dovrebbe istituzionalmente fare di questo appuntamento elettorale.



Non vogliono che si disturbi il manovratore: hanno deciso che seguire una strada e una sola per Atac, quella del concordato fallimentare. Che ancora non è definitivo. E avere un risultato elettorale che indicasse come prioritario per la maggioranza dei romani il ricorrere alle gare anche per il trasporto pubblico locale, beh, sarebbe un problema politico da affrontare. 
E non a caso la Raggi ha già detto - con notevole fastidio quelle rare volte in cui i giornalisti riescono a incalzarla con le domande - che è solo un referendum consultivo. 
Derubricandolo a poco più di chiacchiera da bar, quasi a dire, che se non ha valore poco ci manca. 
Ecco, quindi, niente pubblicizzazione dell’evento. Sminuirlo come si può. 

E se la compagnia del fallimento del referendum o del “no” al voto è quella di sindacati, ex assessori, grillini, beh, le ragioni del “no” dovranno essere davvero inoppugnabili perché io vada a votare - perché a votare ci andrò certamente - e le scelga. 

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