venerdì 9 novembre 2018

RAGGI, IL PECCATO ORIGINALE


Non so come andrà a finire la vicenda processuale di Virginia Raggi. Siamo alla vigilia. Il PM ha terminato la sua requisitoria e ha chiesto una condanna a 10 mesi per la Prima Cittadina. 
Della vicenda processuale, dei suoi aspetti squisitamente giudiziari, mi interessa poco. E, da una parte, sento un istintivo moto di solidarietà per la Raggi. È una solidarietà umana, sia chiaro. Non politica. 

Perché alla base di tutto, della vicenda Marra come di quella Lanzalone io vedo un problema filosofico di fondo: quello della selezione della classe dirigente da parte del Movimento 5Stelle
La vicenda Raggi dimostra in modo inoppugnabile il fallimento della filosofia dell’”uno vale uno”. 
La politica non si improvvisa. Fare politica, non si improvvisa. 
Una macchina complessa come un Comune non può essere consegnata comunque nelle mani di apprendisti stregoni. 
E l’obiezione - ripetuta così tanto da risultare semplicemente e banalmente idiota - del “quelli bravi che c’erano prima guarda dove ci hanno portato” funziona per quattro lobotomizzati che realmente ritengono che uno valga uno. Si potrebbe controbattere - idiozia per idiozia - "se quelli 'bravi' ci hanno portato sul ciglio del burrone, tu ci hai dato la spinta finale". 

Uno non vale uno. Da nessuna parte e men che meno in politica. 
Fosse vero che in politica uno vale uno, Virginia Raggi e la sua sgangherata ciurma non avrebbero mai avuto bisogno di un Raffaele Marra. Di un Salvatore Romeo. Di un Luca Lanzalone. 
Un cliché che si ripete, tra l’altro, anche con l’arrivo da fuori di manager non scelti dal Comune, ma da altre entità non meglio identificate. Vanno a dirigere chi un’azienda, chi un’altra; chi un assessorato, chi un ufficio. Semplicemente perché i 5Stelle non hanno una classe dirigente. 

Roma è un Ministero. Per complessità, per importanza e per numero di posizioni da coprire. Ci sono gli assessori. Ma mica finisce qui. 
Ci sono i Consiglieri, il cui ruolo è fondamentale: una classe di consiglieri comunali con le palle, esperti, preparati, incrementa certamente il livello qualitativo della produzione amministrativa comunale. Consiglieri che fino al giorno prima dell’elezione facevano altro avranno, nella migliore delle ipotesi, bisogno di mesi e mesi solo per capire, metaforicamente, dove sono i bagni! Figurarsi scrivere delibere, regolamenti e bandi. 
Poi ci sono i presidenti o gli amministratori delegati o i membri dei CdA delle innumerevoli partecipate. C’è l’Ama, l’Atac, le assicurazioni, le farmacie, l’Eur e chi più ne ha più ne metta. 
C’è da saper gestire i rapporti con alcune realtà fondamentali nella vita cittadina: Santa Madre Chiesa con la Curia romana e la realtà del sociale di Sant’Egidio, Caritas e altri. Poteri, quelli religiosi, tra l’altro, non sempre in sintonia fra loro. 
Ci sono i costruttori. I commercianti. E ci sono le categorie dei dipendenti pubblici del Comune: Vigili, autisti, netturbini, impiegati.
C’è il rapporto con gli albergatori che è fondamentale in una città che vive anche di turismo. E ci sono i turisti

Insomma, c’è bisogno di gente cazzuta
E nemmeno poca: servono non meno di 100 persone preparate, specializzate, esperte e di qualità. E quando non hai questo personale politico nei posti chiave, allora arrivano i factotum. Quelli che, di fronte al tuo nulla, assurgono al ruolo di bravi e competenti, diciamo così, se non altro per differenza. E che ti si rigirano come un pedalino. 

Marra, Romeo, Lanzalone: stesso modus operandi. Di fatto, determinano le scelte di chi è chiamato a prenderle per elezione ma non è in grado di assumerne autonomamente. Perché, semplicemente, non sa quello che fa. Non è preparato. Non sa distinguere una delibera da un Ordine del giorno (è una metafora iperbolica, perché se fosse vero… sarebbe davvero una tragedia). 

Quando un potere è debole, sempre ce n'è un altro pronto a prenderne il posto. Se è debole il Sindaco (inteso come parte del tutto), arriveranno da fuori gli altri che, nei fatti, lo esautoreranno, lasciando al Sindaco l'orpello esteriore, la fascia tricolore, e il complesso e delicato compito del taglio dei nastri. 

E non veniteci a dire “stiamo lavorando”. Il gerundio è il modo di questa Amministrazione. Un gerundio che, dopo 28 mesi, gerundio era e gerundio è rimasto. Non si è mai trasformato in un atto compiuto. 

E gli alberi cadono… i secchioni sono stracolmi e si trasformano in Malagrotte diffuse… le buche sono lì… le erbacce crescono… gli autobus vanno a fuoco… la metro è in ritardo… le scale mobili non funzionano… non si vede un vigile in strada manco a pagarlo oro… 

Paradossalmente, spero che la Raggi venga assolta. Avrà così modo di completare (forse) il suo mandato e dimostrare se ho torto. Ad oggi, purtroppo, temo di avere ragione e Roma ne sta pagando le conseguenze.

Spero per lei che non venga usata come capro espiatorio da un Movimento che ha il peccato originale di non poter selezionare una classe dirigente perché perderebbe quella sua presunta verginità dalla politica che si è trasformata, nel tempo, nell'invio dentro le assemblee elettive di ogni livello di gente che sarebbe stata guardata tutt'al più con o commiserazione da compatimento se non con sorrisi di scherno anche fra gli ubriachi abituali del bar dello sport di paese. 
Un Movimento che, ad oggi, è riuscito a produrre nell'ordine i Sibilia, i Pedicini, i Toninelli, i Barillari, le Lezzi. 
Uno vale uno. Forse nella realtà virtuale. 



Nessun commento:

Posta un commento