venerdì 18 maggio 2018

VIRGINIA RADDOPPIA: MUCCHE TOSAERBA


Giurava di non aver mai visto un topo a Roma, in un anno, 4 mesi e 29 giorni oggi di permanenza alla guida dell’assessorato all’Ambiente capitolino, il 76% della durata della Giunta Raggi, Pinuccia Montanari ha invaso il web di toccanti dichiarazioni di intenti. Le ultime su pecore e, adesso, anche le mucche. Da usare per tagliare l’erba di parchi e ville storiche di Roma giunti oramai a livelli di giungla. 
L’altro ieri la partenza era con le pecore: “La sindaca Virginia Raggi - raccontava la Montanari su facebook - recentemente mi ha sollecitato l'utilizzo delle pecore e degli animali per effettuare questa attività, che già viene fatta al parco della Caffarella e che vorremmo estendere agli altri parchi e alle grandi ville. È un modo semplice, che fanno in altre grandi città come Berlino, ci sembra giusto e interessante”. 
Oggi è il turno delle mucche. 
Stavolta l’annuncio arriva per radio, su InBlu Radio, il network delle radio della Conferenza Episcopale italiana: “L'idea di utilizzare le pecore per tagliare l'erba la stiamo già sperimentando nel parco della Caffarella. Un'attività che funziona molto bene e dove le pecore falciano un'area vasta”.
Ora, le pecore alla Caffarella sono di allevamenti privati, lì brucano l’erba da decenni e né la Montanari e la Raggi né i loro predecessori c’entrano nulla. E, tuttavia, al di là dei meriti surrettiziamente avocati, le pecore non bastano: se la Montanari si facesse un giretto alla Caffarella scoprirebbe che i 19 e spicci chilometri quadrati del Parco sono tutto fuorché con l’erba corta. In qualche area le pecore bastano. Altrove no: l’erba è ancora modello giungla. 
Prosegue, però, l’Assessore: “Vogliamo estendere l'esperimento in altre zone di verde molto estese considerando che Roma è uno dei territori più vasti d'Europa con 44 milioni di metri quadrati di verde da gestire. E con la carenza di risorse e personale abbiamo cercato di trovare tutte le possibili soluzioni. Il Comune ha già le pecore di proprietà, possiede infatti due aziende agricole a Tenuta del Cavaliere e a Castel di Guido. In queste aziende abbiamo anche alcune mucche che potrebbero essere utilizzate quando l'erba è particolarmente alta. Ovviamente saranno utilizzate sempre in aree chiuse. Siamo anche felici di siglare dei protocolli d'intesa con soggetti che possono mettere a disposizione questo tipo di soluzioni. Ho riscontrato diverse valutazioni positive - ha concluso l’assessore Montanari - dal Wwf alla Coldiretti che ha addirittura riconosciuto che può essere un'alternativa moderna alla transumanza che per secoli ha caratterizzato i nostri territori. È chiaro che gli animali autorizzati devono essere indenni da determinate patologie e sottoposti a profilassi particolari”. 
Non sorprende il plauso di Coldiretti che, tra l’altro, lamenta l’enorme aumento dei prezzi del foraggio per l’allevamento e che, quindi, sarebbe ben felice di portare mucche e pecore a pascolare gratis.
Rimarrebbe il problema dei parassiti di pecore e mucche e quello dei loro escrementi: temi che nell’annuncite acuta della Montanari non hanno trovato spazio e che sono stati, invece, rilanciati dalle opposizioni, Pd in testa.
Poi ci sono anche un paio di conti da fare: una mucca da latte consuma quotidianamente 20 kg di sostanza secca il che, tradotto in erba che è fresca e contiene l’85% di acqua, significa 130 kg al giorno. In media, un ettaro di terreno produce fra i 100 e i 140 quintali di erba all’anno. I parchi e le ville storiche di Roma cubano 85mila ettari. Facendo, quindi, due conti, viene fuori che servirebbero non meno di 20mila mucche per ogni giorno dell’anno per brucare l’erba di queste aree verdi. Ovviamente, l’erba non cresce allo stesso modo tutto l’anno ma “l’esplosione” avviene principalmente nel periodo primaverile, quindi, effettivamente ne basterebbero 6 o 7mila: oltre 10 volte quelle che il Campidoglio possiede.  





Castel di Guido e Tenuta del Cavaliere: sono due aziende agricole di proprietà della Regione Lazio ma governate sin dal 1980 da Roma Capitale. La prima è la più grande tenuta agricola di proprietà pubblica in Italia con i suoi 2000 ettari di estensione sull’Aurelia in direzione mare. 
Al di là di antiche preesistenze archeologiche dell’epoca preistorica, poi etrusca e ancora romana, l’azienda agricola è inserita all’interno della Riserva Statale del litorale romano e rappresenta quindi, con la sua estensione in ettari, un’area protetta di rilevante interesse. 
Trecento ettari sono coltivati a erba medica e foraggio, 50 a mais e 360 a pascoli permanenti. Ben più di un migliaio di ettari, poi, sono a bosco con 500 ettari “di nuovi impianti di forestazione, per i quali si è formulato un piano di assestamento nella prospettiva dello sfruttamento a fini energetici della biomassa” come recita il sito istituzionale del Campidoglio. Ulivi per altri 30 ettari completano l’area dove vengono allevati 400 bovini di razza Maremmana per la produzione di carne e 250 di Frisona per produrre latte che poi viene lavorato nel caseificio impiantato nell’azienda. Da ultimo, è stato avviato anche l’allevamento del maiale nero dei Monti Lepini e Prenestini, specie autoctona.
La Tenuta del Cavaliere, invece, si trova in zona Lunghezza ed è molto più piccola di Castel di Guido. Qui vengono ospitati animali sotto sequestro giudiziario. Tenuta del Cavaliere gestisce anche una sede aziendale distaccata a Tor San Giovanni, verso Bufalotta, inserita all’interno del Parco della Marcigliana.
Nell’estate 2017 86 bovini di Castel di Guido vennero posti sotto sequestro dai Carabinieri Forestali per le “cattive condizioni degli animali e l’inadeguatezza delle strutture di detenzione”. 
In quell’occasione il sindaco, Virginia Raggi, scrisse un lungo post sulla propria pagina facebook parlando di “grande opportunità di rilancio del territorio dell'agro romano. Invece, sono luoghi di sprechi di denaro pubblico e malessere per gli animali allevati”. Aggiungeva la Raggi sei proposte: “Mettere in sicurezza luoghi di lavoro e fabbricati rurali, ripristinare le recinzioni aziendali, i mezzi agricoli e la rete idrica, dismettere l’allevamento intensivo, ripristinare l’oliveto da tempo abbandonato e, infine, mettere in coltura i 45 ettari in agro di Palidoro”. 

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