La data del D-Day, dell’ultima seduta della Conferenza dei Servizi che dovrà deliberare il via libera definitivo al progetto della Roma di costruire il suo impianto di proprietà a Tor di Valle, ancora non è stata fissata. Si parla di martedì o di mercoledì prossimo.
L’intervento del Governo, però, che ha deciso di acquisire il Ponte di Traiano (quello inserito nella “versione Marino” del progetto Stadio: da costruire sull’autostrada Roma-Fiumicino, a Parco de’ Medici, con due chilometri di complanari dedicata in entrate e in uscita per entrambi i sensi di marcia) come opera di utilità pubblica da inserire in un nuovo Accordo di Programma e affiancarlo al Ponte dei Congressi, ha, di fatto, sciolto l’unico vero nodo che ancora rimaneva aperto: quello della mobilità.
Non che tutti i problemi siano risolti: manca, ad esempio, ancora un investimento sufficiente per lo scalcagnato trenino Roma-Lido di Ostia. Tuttavia, l’iniziativa del Governo sblocca il futuro Stadio giallorosso.
Questo ha dei vincitori. E dei vinti.
Vince Roma, per prima. Un’area ridotta a una discarica a cielo aperto, abbandonata da anni, regno incontrastato di ratti e zona di prostituzione diventerà un parco, un’area commerciale e di uffici, il nuovo campo di allenamento della prima squadra giallorossa e la sua nuova casa. Posti di lavoro e infrastrutture per un valore 143 milioni di euro saranno appannaggio della città: strade, ponti, stazioni, treni.
Vincono i tifosi della Roma, quelli che hanno anteposto il bene della società a quello della simpatia per chi detiene pro tempore il pacchetto di maggioranza delle azioni societarie. A quelli che dalla futura nuova Curva Sud faranno sentire l’amore alla squadra, facendo tremare gli animi agli avversari.
Ma, dopo Roma e i suoi cittadini e la Roma e i suoi tifosi, i vincitori hanno anche un volto e un nome e cognome preciso: quello di Mauro Baldissoni, direttore generale della società di James Pallotta. Lui, l’unico “sopravvissuto” alla grande rotazione di dirigenti avvenuta in seno alla società di Trigoria da quando la proprietà è diventata americana, è riuscito, in poco più di tre anni, a portare a casa un risultato storico. Ci aveva provato Dino Viola. E ci riprovò anche Rosella Sensi. Due fallimenti che avevano segnato in modo indelebile il cuore dei tifosi della Roma. Oggi Baldissoni - con buona pace di molti suoi detrattori - riesce ottenendo, insieme al costruttore Luca Parnasi, il risultato in un tempo assai breve (la Juventus impiegò 14 anni dall’avvio delle trattative col Comune di Torino alla partita inaugurale dello Stadium) e, per giunta, mettendo insieme letteralmente il diavolo e l’acqua santa. Prima il centrodestra di Alemanno sindaco, poi, oggi, il Pd di Marino e di Zingaretti, e i 5Stelle della Raggi. Mettendo allo stesso tavolo lo Stato, la Regione, la Città Metropolitana e il Comune di Roma.
Giovanni Caudo, ex assessore all’Urbanistica della Giunta Marino, e Michele Civita, attuale responsabile dell’Urbanistica della Regione Lazio, sono gli altri due vincitori. Il primo, avendo disegnato una delibera che ha avviato l’iter, segnando in modo irrevocabile il suo destino, Ponte compreso. Il secondo, che ha rifiutato il compromesso al ribasso, tenendo ferma la barra sulla necessità di fare uno Stadio davvero fatto bene.
Poi due ministri: quello dello Sport, Luca Lotti, e quello delle Infrastrutture, Graziano Delrio. Entrambi hanno compreso l’importanza del progetto Stadio ma, soprattutto, il reale valore di pubblico interesse del Ponte di Traiano.
Il lato dei perdenti è altrettanto ben frequentato. Partiamo dallo stesso Lotti che, quando inizialmente si acuì lo scontro sul Ponte, tentò di mediare al ribasso. Chapeau a chi ha saputo comprendere il primo errore e porvi rimedio.
Gli altri nomi dei perdenti sono facili da trovare: Paolo Berdini, l’ex assessore all’Urbanistica della Giunta Raggi, è stato l’ispiratore dell’idea che il Ponte dei Congressi fosse intercambiabile con quello di Traiano. Con lui, Virginia Raggi che quell’idea ha sposato. E, forse il più sorprendente, Luca Montuori, successore di Berdini all’Urbanistica capitolina che quell’idea ha continuato a difendere. Da un professionista del suo calibro era lecito attendersi la comprensione e correzione dell’errore.
Questa vicenda, purtroppo, sanziona ancora una volta un fattore semplice: questa Amministrazione non sa quello che fa. Dimostrano di non saper governare: avevano un buon progetto fra le mani, potevano migliorarlo. L’hanno peggiorato e solo l’intervento del Governo ne ha evitato la bocciatura.
Insieme a loro, nel novero degli sconfitti, va segnato quello di Mark Pannes, il dirigente della Roma cui per primo Pallotta affidò il dossier Stadio, e quelle diverse associazioni che avrebbero preferito, in nome di un malinteso concetto di tutela ambientale che oramai si trasforma in una conservazione dell’esistente quale esso sia, lasciare Tor di Valle nel degrado di oggi. Tutto purché non si tocchi nulla.
E, con esse, quella quantità strana di mezzi di informazione, radioline dell’ambiente romano e tifosi anti-pallottiani cui oggi rimane assegnato l’ingrato ruolo di rosiconi, per usare una espressione tipicamente romana. O di gufi dell’ultimo momento.
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