Lo Stadio della Roma si farà, ma non più come lo avevamo
ammirato nei plastici e nei prospetti per la stampa: avremo due grattacieli in
meno, nessun nuovo ponte sorgerà sul Tevere e il prolungamento della Metro B
non si farà più. Col risultato che per andare a vedere i giallorossi, i tifosi
– finanche quelli di Decima, Malafede, Torrino più prossimi allo stadio –
avranno una sola strada percorribile dove rimanere imbottigliati: la via del
Mare. Con tanti saluti all’avveniristico progetto del presidente Pallotta e del
costruttore Paransi.
Una rivoluzione urbanistica che il Tempo vi racconta in
esclusiva. Tifosi a parte, gli altri protagonisti della partita potranno dirsi
contenti: l’assessore grillino all’Urbanistica, Paolo Berdini, per aver
ottenuto la riduzione delle cubature; Pallotta e Parnasi perché spenderanno
meno (oltre mezzo miliardo sul miliardo e 650 milioni di euro previsti); si
sistemeranno le torri dell’Eur dove potrebbe andare Unicredit; Telecom
risparmia e potenzierà le sedi di Pomezia, Parco Leonardo e Torpagnotta; e
Cassa Depositi e Prestiti si libererà dell’ingombrante scheletro delle Torri
dell’Eur. C’è un sottile e assai complesso filo rosso che lega la storia delle
Torri dell’Eur con quella dello Stadio di Tor di Valle. L’abbandono del progetto
di fare dei grattacieli vicino il Laghetto il quartier generale di Telecom,
libera una casella nel grande domino dello Stadio. Sembrano storie diverse,
lontane, ma così non è. La seconda mossa di questo risiko urbanistico è quella
del ricorso al Tar contro la decisione di Berdini di revocare il permesso a
costruire all’azienda telefonica. Ricorso che non impedirebbe a Telecom di
sciogliere la società con Cassa Depositi e Prestiti e di lasciare le Torri
dell’Eur al loro destino. Davanti al Tar, però, il rischio è che gli atti della
Giunta Raggi vengano annullati facendo tornare i due palazzi pronti per un
nuovo «inquilino».
IL RUOLO DELLA BANCA
A dar retta ai boatos capitolini
potrebbe essere Unicredit già tirata in ballo per l’acquisizione di una delle
tre torri progettate dall’archistar Daniel Libeskind, che dovevano venir su
accanto allo Stadio come compensazione per le opere pubbliche, da utilizzare
come centro direzionale della banca. Questa compensazione – sempre a dar retta
ai funzionari del Campidoglio – avrebbe permesso al costruttore Luca Parnasi di
fare pari e patta dei circa 500 milioni di euro della sua esposizione debitoria
proprio con il gruppo Unicredit. Il 26 luglio 2016 il vicepresidente della
banca, Paolo Fiorentino, «esce» da Unicredit. Il dirigente non sarebbe stato
solo l’uomo che ha guidato il passaggio del pacchetto azionario dell’As Roma
dai Sensi agli americani, ma anche il riferimento del Gruppo Parnasi dentro
l’Istituto. Il 3 agosto 2016 Unicredit vara un piano di riassetto delle società
del Gruppo Parnasi: con questo atto, di fatto, al costruttore rimangono in mano
alcune aziende. La principale è la Eurnova, proprietaria dei terreni di Tor di
Valle e partner della Roma nell’affaire Stadio. Insistenti indiscrezioni
raccolte da Il Tempo in ambienti capitolini narrano di Unicredit pronta a
«mollare» una delle tre torri dello stadio per traslocare, a costi molto più
bassi, dentro quelle di Ligini all’Eur, che tornerebbero sul mercato qualora il
Tar annullasse gli atti della Giunta Raggi. Tutto questo modificherebbe
sostanzialmente le pre-condizioni economiche dell’affare Stadio. Fino a 6 mesi
fa, Parnasi doveva portare a casa l’impianto come da progetto con le tre torri
tutte intere, visto che una era già «assegnata» a Unicredit. La
ristrutturazione agostana del debito e il «bonus» che Parnasi percepirà dalla
Roma se il progetto verrà approvato in via definitiva avrebbero, di fatto,
«messo in sicurezza» il costruttore. Che, quindi, ora potrebbe sedersi al
tavolo delle trattative con il Comune con maggiore serenità.
IL GIOCO DI BERDINI
L’Assessore grillino, per modificare
il progetto, aveva una sola strada istituzionale: portare una nuova delibera in
Consiglio comunale che cambiasse quella votata sotto Marino, diminuendo le
cubature assegnate ai proponenti. Nelle sue dichiarazioni rese in occasioni
ufficiali e non, Berdini ha sempre fatto fuoco e fiamme contro il progetto
Stadio, definito uno «scempio urbanistico» costruito «in un deserto». Il 29
luglio, gli uffici comunali gli hanno fornito l’arma per sopprimere quello
«scempio» ma lui non ha ritenuto di premere il grilletto: sulla sua scrivania è
arrivata una relazione (prot. 141124/2016) letta da Il Tempo, in cui si mette
nero su bianco che il progetto non rispetta i dettami della delibera di
pubblico interesse. Quale occasione migliore per bloccare tutto rispedendo il
dossier al mittente? Eppure Berdini non ha approfittato di un rigore a porta
vuota. Sarebbe interessante capire perché. Sicuramente le vicende Olimpiadi,
Torri dell’Eur e Fiera di Roma avrebbero reso difficile per la Raggi esprimere
un altro «no» anche allo Stadio, dato che i tifosi non guardano tanto al voto
espresso nelle urne ma al colore della maglia. Inoltre, il rischio di esporre
il Campidoglio a una causa di risarcimento miliardaria – già ventilata nei mesi
scorsi da ambienti romanisti – era troppo elevato. Però, a pagina 21 della
relazione firmata dall’architetto Vittoria Crisostomi (la stessa che
rappresenta il Comune in Conferenza di Servizi), si scrive che il progetto, nel
calcolo della Superficie Utile Lorda, chiamata Sul (ovvero il parametro sul
quale si calcola lo sviluppo in termini di cubature che un terreno può avere)
non rispetta le norme e soprattutto viola le prescrizioni contenute nella
delibera di pubblico interesse. Ma Berdini, come detto, ha preferito spedire il
dossier in Regione dove si è aperta la pratica nella Conferenza di Servizi.
L’ok finale alle nuove condizioni sarebbe per Berdini un gran risultato che gli
eviterebbe critiche sia dai tifosi grillini che dai romanisti.
I PILASTRI
Tre sono, secondo quanto si apprende, i
pilastri sui quali Berdini dovrebbe basarsi per ottenere la cancellazione di
due torri su tre. Il primo sono i calcoli per la «Sul». Il secondo è il
problema dei parcheggi. Il terzo, il ponte carrabile sul Tevere a Parco de’
Medici con annessa strada di collegamento fra questo e l’asse via del
Mare/Ostiense. Per quanto riguarda le cubature, già quando venne presentata la
bozza di progetto a giugno 2015, gli uffici capitolini ravvisarono una serie di
errori macroscopici. E anche nel dossier definitivo di maggio 2016, secondo la
stessa «relazione Crisostomi», ci sono nuovi errori: i progettisti hanno
escluso dal calcolo della «Sul» tutta una serie di elementi, come «serre, locali
tecnici, spazi interamente chiusi come gli androni», lasciando dentro solo
quelli che producono utili. Questi errori fecero infuriare Pallotta e costarono
la poltrona al responsabile del progetto Mark Pannes che, a dicembre 2015,
venne sostituito da David Ginsberg e i proponenti chiesero a tutti i tecnici di
ricalcolare esattamente la «Sul».
ABBAGLI E PARCHEGGI
Le imprecisioni che vengono ravvisate
dagli uffici comunali anche nella versione 2016 del progetto potrebbero portare
a una revisione dei metri cubi e, di conseguenza, a una riduzione del cemento
rispetto al progetto presentato. Secondo paletto: i parcheggi. Sarebbero
insufficienti, secondo gli uffici, a garantire il rispetto delle norme per la
parte stadio e per l’area commerciale. La nuova Tor di Valle, infatti, deve
essere considerata anche come una zona commerciale e, quindi, avere dei posti
auto dedicati: non si può evitare una potenziale sovrapposizione fra chi va
allo Stadio per una partita che si giochi in contemporanea all’orario di apertura
dei negozi e chi invece vuole andare a fare shopping nei centri all’interno
dell’impianto. Il risultato, perciò, dovrebbe essere un aumento della
superficie da dedicare ai parcheggi. Che, per compensare, verrebbero affidati
nella gestione e negli incassi ai proponenti (Pallotta e Parnasi) cambiando
l’attuale delibera che prevede i posti auto come opera compresa fra quelle
obbligatorie per legge (a standard) e non tra quelle di pubblico interesse. Ma
c’è di più. Si potrebbe aprire anche un potenziale contenzioso: per assegnare
la gestione di un servizio come i parcheggi occorre una gara d’appalto e non un
affidamento diretto.
IL PONTE NON C’È PIU
Il terzo passaggio che potrebbe
essere tentato dal Campidoglio per ridurre le cubature date in compensazione
alla Roma è contemporaneamente il più delicato e il più impattante. Ed è la
cancellazione del ponte carrabile sul Tevere con svincolo sulla Roma-Fiumicino
e con la strada di collegamento con Stadio e via del Mare/Ostiense. Il
risultato composto di questi tre pilastri, quindi, diviene una variazione
enorme della cubatura data a compensazione ma anche una altrettanto enorme
riduzione delle opere sulle quali si basa non solo l’interesse sportivo della
As Roma ma l’interesse pubblico della città: almeno due torri potrebbero andar
via. Con un risparmio per il duo Parnasi-Pallotta, fra costo delle due torri e
quello del ponte, che supera il mezzo miliardo di euro e una diminuzione del
valore delle opere pubbliche che scendono da 445 milioni di euro a 340.
Tutto questo valzer verrebbe fatto in
Conferenza di Servizi e «reggerebbe» ad una sola condizione: l’accordo del
Campidoglio con il presidente americano e il costruttore romano. Se Pallotta e
Parnasi si opponessero in sede giudiziale chiedendo il rispetto della delibera
di pubblico interesse del 2014 e dei suoi «paletti», Berdini potrebbe trovarsi
in difficoltà. Ma l’intera operazione fra Torri dell’Eur e Unicredit muterebbe
in modo fondamentale il quadro economico. A nessuno, a questo punto,
converrebbe irrigidirsi. Soprattutto ai «proponenti» che non trarrebbero più
giovamento da un progetto divenuto troppo ingombrante e poco vendibile. Non
sarebbe più nell’interesse di Eurnova, qualora Unicredit «mollasse» davvero il
presunto acquisto di una delle torri di Tor di Valle, spingere per la conferma
complessiva del progetto. Da bravo imprenditore, Parnasi è uomo abituato a
trattare e nulla fa ipotizzare una sua resistenza a questo nuovo assetto. Dal
lato As Roma – contattata da Il Tempo – il discorso si rivela molto semplice:
lasciateci fare la parte sportiva del complesso, a partire dallo Stadio, se poi
spendiamo di meno, siamo più contenti. In Conferenza di Servizi, quindi, questi
possibili nuovi accordi verrebbero fatti passare per prescrizioni e inseriti in
variante. Se tutto quello che abbiamo fin qui rivelato dovesse verificarsi per
Berdini sarebbe l’apoteosi: andando in Consiglio comunale, l’assessore farebbe
votare all’Aula una variante che riscriverebbe anche parzialmente la delibera
Marino, prendendo atto che sono intervenute delle modifiche accettate da tutte
le parti. E il gioco è fatto.
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