C'è il mare, il rumore dell'acqua che si infrange sugli scogli e se ne potrebbe quasi avvertire l'odore, quel profumo salmastro che rende una spiaggia dolce anche d'inverno. Su questa sabbia dove è facile immaginare ombrelloni, asciugamani colorati, bambini che giocano allegri, passa un corteo di morte. Uno a uno, accoppiati, come si faceva all'asilo. Solo che uno dei due è vestito di arancione, lo sguardo in basso, le mani legate dietro la schiena. L'altro è vestito di nero, incappucciato, la testa in alto e conduce l'altro per la collottola: non si odono urla, non ci sono pianti, lacrime, strepiti. C'è solo un silenzio irreale, rotto dal rumore del mare.
E poi c'è lui, l'unico vestito con dei colori addosso, fossero pure quelli di una mimetica color sabbia. Impugna un coltellaccio che alza e brandisce con piglio deciso. Parla un inglese un po' accentato da arabo, con quella erre arrotata e quei suoi gutturali che si associano alla lingua araba.
Lo stillicidio prosegue: non riesci ad incrociare gli sguardi degli agnelli. La telecamera li riprende da vicino solo di tre quarti, mai dritti in viso. Questo onore è riservato al boia capo, quello vestito in mimetica. Ma lui porta gli occhiali da sole. Non ci è dato di vedere se ha gli occhi azzurri o neri, se dentro quegli occhi c'è un briciolo di umanità o sono ciechi come quelli di uno squalo, coperti da una cataratta di odio. Parla in arabo, adesso. E non si capisce cosa dica. Ma non occorre comprendere il significato delle parole. La mano è già sporca di sangue. Il coltello anche.
L'ultima scena è questa risacca. Non è più azzurra, non c'è più schiuma bianca. C'è solo sangue. Un mare di sangue.
Non si può non provare orrore, un fremito alla narici, una contrazione allo stomaco.
Ma, dopo l'orrore, deve riattivarsi il cervello.
Monaco 1938 non ha insegnato davvero nulla. Si pensa sempre che si possa scendere a patti con il demonio. Si rimanda fino all'ultimo il confronto, quando esso è non solo davvero l'extrema ratio ma è anche molto più costoso, umanamente in termini di sangue da versare, economicamente in termini di soldi da spendere e costi da sostenere.
Abbiamo sbagliato tutto, noi occidentali. E ci sono degli imbecilli che vanno ringraziati.
I primi sono quei coglioni, tutti anabolizzanti e zero cervello, che stanno al di là dell'Atlantico, sotto la bandiera Stelle e Strisce.
Questi idioti non hanno mai capito la politica, specie quella europea. Con quella loro aria da manzi ingrassati a steroidi hanno sempre pensato alla politica in termini di potenza militare e basta. E poi, dopo essere giunti al rango di prima potenza mondiale, nicchiano sempre quando c'è da trarre le conseguenze del proprio ruolo. A meno che non ci sia il petrolio in ballo.
Insieme a loro, ringraziamo quei cuginetti londinesi, quelli che hanno dimenticato cosa significhi essere una potenza imperiale, quali ruoli, compiti e responsabilità siano legate indissolubilmente alla politica estera.
Infine, i cugini d'oltralpe, quelli che hanno brigato più di tutti per eliminare i dittatori, come Gheddafi. E non per un senso di giustizia, non scherziamo. Ma per sedersi loro al tavolo della ciccia.
Grazie, imbecilli!
Tre Paesi, tre potenze, vent'anni di politiche sbagliate. Continuiamo a pensare che la "democrazia" assurta al ruolo mitico di panacea, sia il desiderio naturale di tutti i popoli. Con il pensiero positivo dell'evoluzione della storia, che va sempre verso il meglio, riteniamo che l'approdo naturale del mondo sia la nostra cultura.
Quale arroganza, quale ignoranza.
Abbiamo contribuito, noi italiani con il nostro pavido silenzio, a che venissero appoggiati i movimenti rivoluzionari. Abbiamo contribuito a che i leader cattivi di queste regioni - Gheddafi, Mubarak, Ben Alì - fossero rimossi con la forza. E con la forza ora dobbiamo confrontarci con questa realtà orribile: sono le nostre mani plaudenti quelle che vengono morse adesso. Abbiamo liberato la bestia, in nome della democrazia. Non comprendendo che la democrazia non è universalmente un valore. Dimenticando le differenze storiche, culturali, sociali, politiche fra noi e il percorso millenario che ha secolarizzato, cambiato, a volte annichilito la nostra società tradizionale, e società diverse, strutturate diversamente, con valori e ideali totalmente differenti dai nostri.
Non abbiamo compreso queste diversità. E oggi ne paghiamo e ne pagheremo ancora di più lo scotto e il costo. In termini umani, materiali e di valori.
Dovremo scendere all'inferno e sperare di farvi ritorno, prima di considerare concluso questi periodo storico.
La verità è che abbiamo dimenticato la lezione di Machiavelli in favore di Pufendorf.
E adesso il nemico è sulla nostra soglia. Forse è davvero il caso di porre fine a quei paraventi ideologici che ingessano e fermano ogni reazione. Forse è il caso di assumere delle responsabilità individuali e non di continuare a sperare nella bontà dell'uomo. Traduzione: smettiamo di aspettare gli altri, l'Onu. E iniziamo da soli. Ad esempio, con un cambiamento radicale delle regole di ingaggio della Marina Militare: armati e pronti, si trainano direttamente in Libia quelli che sono partiti. Sotto scorta armata, cosicché non venga in mente a qualche pisquano di minacciare i nostri soldati, i barconi non entrano più in Italia ma ritornano in Libia. Se necessario, li si lascia al limite delle acque territoriali libiche. E stop. E se qualcuno prova a superare lo sbarramento: si spara.
Perché dietro quegli occhiali da sole non si vede nulla. E di sicuro non c'è bontà.